«Rigans montes de superioribus suis;
e fructu operum tuorum satiabitur terra»
Ps 105,13).
«Dalle tue dimore tu irrighi i monti, e con il frutto delle tue opere si sazia la terra». È questo il versetto che San Tommaso d’Aquino scelse di commentare nella sua prima lezione universitaria a Parigi.
Il suo commento è giunto fino a noi ed è una piccola perla. San Tommaso si ispira all’immagine della pioggia che scende dal Cielo sulle montagne e da lì attraverso i fiumi scende fino a valle, dove la terra “si sazia”, producendo fiori e frutti.
All’interno di questa bella immagine, San Tommaso si paragona al letto di un fiume, il cui unico scopo è quello di portare a valle l’acqua, l’acqua dei Cieli, ossia di Dio, e l’acqua delle montagne cioè i padri e dottori della Chiesa, rappresentanti della grande tradizione cattolica.
Perché mi è venuto in mente questa prima lezione di San Tommaso, ricordando Don Diego? Anzitutto perché San Tommaso era caro, anzi carissimo, alla sua mamma, oblata domenicana, e a sua figlia Fadrique, ma poi soprattutto perché l’immagine ben rappresenta lo spirito che ha animato la vita di Don Diego.
Egli è stato “letto di fiume”. Ha sempre concepito la sua vita come una missione, quella di portare a valle l’acqua che aveva ricevuto. Ricevuta da Dio e dalla tradizione. Non si è mai concepito individualisticamente, come avviene troppo spesso nella società moderna, ma sempre come anello di congiunzione, parte di una storia, di una tradizione, di un passato. Il suo compito è stato portare a valle l’acqua, come un fiume. Permettere il passaggio dai padri che lo hanno preceduto, dagli antenati della famiglia de Vargas, dai grandi santi del passato, da San Tommaso d’Aquino, il santo napoletano che ha sempre ispirato la sua amatissima mamma, ai suoi figli e ai suoi nipoti. Diego è stato passaggio.
Come tutti i fiumi, ha avuto qualche ansa, e ogni tanto l’acqua faceva mulinello. Erano le sue battute sagaci, la sua ironia, il suo sense of humour e, negli ultimi mesi, qualche suo amareggiato disincanto di fronte all’umano. Ma l’acqua non ha mai smesso di scorrere verso valle.
E lì, l’acqua pulita, che egli ha ricevuto e ritrasmesso, ha saziato la terra, dando frutti meravigliosi: Tomas con Camelia, Didi con Alvise, Ludovica e Letizia, le sue incantevoli nipoti, Violante, Beatrix e Laudomia.
E sì, caro Don Diego, gli alberi si riconoscono dai frutti e i tuoi frutti sono bellissimi. Ma anche gli alberi senz’acqua non produrrebbero nulla. E senza i fiumi l’acqua non arriverebbe a valle. Per questo, dilettissimo Don Diego, grazie. Grazie di aver portato fino a noi, come un fiume, l’acqua. Acqua finissima e pulitissima, acqua di alta montagna.
E poi, tu lo sapevi bene, la parola “passaggio” in greco si diceva pascha, da cui viene la parola Pasqua. Sicché, caro Don Diego, nello spirito che ha animato la tua vita vi era già implicito quello che ti spetta per essere stato testimone di “passaggio”, ossia niente di meno che la Pasqua di risurrezione, la rinascita alla vita nell’alto dei Cieli.
Giovanni Ventimiglia di Geraci
Cavaliere di Giustizia