06.04.2023 - La Delegazione della Tuscia e Sabina alla Messa “In Coena Domini” in Viterbo
Giovedì Santo 6 aprile 2023, una rappresentanza della Delegazione della Tuscia e Sabina del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, guidata dal Delegato Nob. Avv. Roberto Saccarello, Cavaliere Gran Croce Jure Sanguinis P.O. ha partecipato alla Messa “In Coena Domini” nella Chiesa della Trinità in Viterbo, prestando servizio all’altare.
Inoltre, come da tradizione, tre Cavalieri sono stati prescelti per la lavanda dei piedi, unitamente a rappresentanti di altre Associazione di Fedeli e agli accoliti.
Nella tarda serata i Cavalieri Costantiniani hanno preso parte ancheall’adorazione nell’altaredella reposizione, addobbato in modo solenne.
Giovedì Santo

Cristo Sacerdote istituisce il sacramento dell'amore
L’istituzione dell’Eucaristia come rito memoriale della «nuova ed eterna alleanza» è certamente l’aspetto più evidente della celebrazione di Giovedì Santo, che del resto giustifica la sua solennità proprio con un richiamo «storico» e figurativo dell’avvenimento compiuto nell’Ultima Cena. Ma è lo stesso messale romano che invita a meditare su altri due aspetti dei misteri di questo giorno: l’istituzione del sacerdozio ministeriale e il servizio fraterno della carità. Sacerdozio e carità sono, in effetti, strettamente collegati con il sacramento dell’Eucaristia, in quanto creano la comunione fraterna e indicano nel dono di sé e nel servizio al cammino della Chiesa.

Gesù lava i piedi ai suoi: è un gesto di amore
È significativo il fatto che Giovanni, nel riferire le ultime ore di Gesù con i suoi discepoli e nel raccogliere nei «discorsi dell’ultima cena» i temi fondamentali del suo Vangelo, non riferisca i gesti rituali sul pane e sul vino come gli altri evangelisti. Eppure, questo era un dato antichissimo della tradizione, riportato in una forma ben definita dal primo documento che ne parla, la lettera di Paolo ai Corinzi (prima lettura). Giovanni richiama l’attenzione sul gesto di Gesù che lava i piedi ai suoi e lascia, come suo testamento di parola e di esempio, di fare altrettanto tra i fratelli. Non comanda di ripetere un rito, ma di fare come lui, cioè di rifare in ogni tempo e in ogni comunità gesti di servizio vicendevole - non standardizzati, ma sgorgati dall’inventiva di chi ama - attraverso i quali sia reso presente l’amore di Cristo per i suoi («li amò sino alla fine»). Ogni gesto di amore diventa così «sacramento», cioè visibilizzazione, incarnazione, linguaggio simbolico dell’unica realtà: l’amore del Padre in Cristo, l’amore in Cristo dei credenti.

Gesù dà se stesso in cibo: è il sacramento dell’amore
Il Giovedì Santo, con il suo richiamo «anniversario» all’evento dell’ultima cena, pone al centro della memoria ecclesiale il segno dell’amore gratuito, totale e definitivo: Gesù è l’Agnello pasquale che porta a compimento il progetto di liberazione iniziato nel primo esodo; il suo donarsi nella morte è l’inizio di una presenza nuova e permanente; «il suo corpo per noi immolato è nostro cibo e ci dà forza, il suo sangue per noi versato è la bevanda che ci redime da ogni colpa» (prefazio I).
Partecipare consapevolmente all’Eucaristia, memoriale dei Sacrificio di Gesù, implica avere per il corpo ecclesiale di Cristo quel rispetto che si porta al suo corpo eucaristico. La presenza reale del Signore morto e risuscitato nel pane e nel vino su cui si pronuncia l’azione di grazie, si estende, sia pure in altro modo, alla persona dei fratelli, specialmente dei più poveri (cfr. tutto il contesto della 1 Cor 11). «In questo grande mistero tu (o Padre) nutri e santifichi i tuoi fedeli, perché una sola fede illumini e una sola carità riunisca l’umanità diffusa su tutta la terra» (prefazio II). Chi dunque fa discriminazioni, chi disprezza gli altri, chi mantiene le divisioni nella comunità «non riconosce il corpo del Signore». La sua non è più la Cena dei Signore, ma un rito vuoto che segna la sua condanna.
Il sacerdozio nasce dall’Eucaristia: è il dono per l’unità
All’interno della comunità, i rapporti reciproci sono valutati in chiave di servizio e non di potere, e trovano la loro più perfetta espressione nel momento dell’azione eucaristica. Chi «presiede» la comunità e ne è responsabile, presiede anche l’Eucaristia: la raccoglie nella preghiera comune, come la unisce nelle diverse attività della parola e dell’aiuto reciproco.
Il Concilio Vaticano II afferma: «I Presbiteri... ad immagine di Cristo, sommo ed eterno Sacerdote, sono consacrati per predicare il vangelo, pascere i fedeli e celebrare il culto divino, quali veri sacerdoti dei Nuovo Testamento... Esercitando, secondo la loro parte di autorità, l’ufficio di Cristo Pastore e Capo, raccolgono la famiglia di Dio, quale insieme di fratelli animati da un solo spirito, e per mezzo di Cristo nello Spirito li portano al Padre... » (LG 28). «Il senso ultimo del sacerdozio di Cristo e di ogni sacerdozio che da lui trae origine, è quello di essere modello per tutti coloro che offrendosi in lui, con lui, per lui in sacrificio a Dio gradito, mettono la loro vita a servizio dei fratelli.... Cristo e il suo mistero vive e perdura nella Chiesa; la Chiesa non fa altro che rendere attuale questo mistero di salvezza mediante la Parola, il Sacrificio, i Sacramenti, mentre riceve in sé per la forza dello Spirito Santo, la vita del suo Signore da testimoniare nel mondo».
L'agnello immolato ci strappò dalla morte
Dall'«Omelia sulla Pasqua» di Melitone di Sardi, vescovo(66-67; SC 123,95-101)
Molte cose sono state predette dai profeti riguardanti il mistero della Pasqua, che è Cristo, «al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen» (Gal 1,5 ecc.).
Egli scese dai cieli sulla terra per l'umanità sofferente; si rivestì della nostra umanità nel grembo della Vergine e nacque come uomo. Prese su di sé le sofferenze dell'uomo sofferente attraverso il corpo soggetto alla sofferenza, e distrusse le passioni della carne. Con lo Spirito immortale distrusse la morte omicida.
Egli è colui che ci trasse dalla schiavitù alla libertà, dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita, dalla tirannia al regno eterno. Ha fatto di noi un sacerdozio nuovo e un popolo eletto per sempre. Egli è la Pasqua della nostra salvezza.
Egli è colui che prese su di se le sofferenze di tutti. Egli è colui che si incarnò nel seno della Vergine, fu appeso alla croce, fu sepolto nella terra e risorgendo dai morti, salì alle altezze dei cieli. Egli è l'agnello che non apre bocca, egli è l'agnello ucciso, egli è nato da Maria, agnella senza macchia. Egli fu preso dal gregge, condotto all'uccisione, immolato verso sera, sepolto nella notte. Sulla croce non gli fu spezzato osso e sotto terra non fu soggetto alla decomposizione.
Egli risuscitò dai morti e fece risorgere l'umanità dal profondo del sepolcro.
Foto della liturgia del Cav. Gennaro Vernillo.