Nuovo parroco per la Cattedrale di Santa Scolastica in Subiaco

Ieri 11 aprile 2021, domenica in albis e della Divina Misericordia, alle ore 10.15 si è celebrato la presa di possesso canonica della...

Ieri 11 aprile 2021, domenica in albis e della Divina Misericordia, alle ore 10.15 si è celebrato la presa di possesso canonica della Parrocchia della cattedrale di Santa Scolastica in Subiaco da parte del Cappellano della Delegazione della Sicilia Occidentale del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, Dom. Fabrizio Messina Cicchetti, OSB., Cappellano di merito con placca. Lo rende noto l’Abate dell’abbazia territoriale di Subiaco, Dom. Mauro Meacci, OSB.

Il decreto di nomina è stato firmato il 1° aprile 2021, Giovedì Santo dall’Abate Ordinario di Subiaco e controfirmato dal Cancelliere abbaziale, la Sig.ra Cecilia Trombetta, mentre la professione di fede, il giuramento e la presa di possesso canonica sono avvenuti alla presenza dei testimoni Dom. Michele Huliak, OSB, Vicario generale e di Dom. Frediano Salvucci, OSB, Priore claustrale di Santa Scolastica.

A D. Fabrizio sono arrivate le felicitazioni del Delegato per la Sicilia Occidentale, il Nob. Prof. Salvatore Bordonali, Cavaliere di Gran Croce Jure Sangiuinis a nome di tutta la Delegazione.


Omelia tenuta da Dom. Fabrizio Messina Cicchetti, OSB, durante la sacra funzione

At 4,32-35; dal salmo 117 e 1Gv 5,1-6; Gv 20,19-31

Carissimi fratelli e sorelle,

questa domenica, la seconda del tempo pasquale, domenica dell’Ottava di Pasqua, domenica in albis e, da ultimo, domenica della Divina Misericordia, nonostante i nomi che ha assunto nel tempo con maggiore o minore enfasi, è principalmente la domenica che puntualmente ci ricorda quegli otto giorni dopo la resurrezione di Gesù, quando egli stesso apparve vivo agli apostoli entrando nel luogo dove si trovavano, come abbiamo ascoltato, per timore dei Giudei. A Tommaso, incredulo della testimonianza dei compagni, il Risorto si palesa con le piaghe della passione incastonate, quali geme preziosissime, sul suo corpo glorificato, bello e risplendente come il sole, reale, tangibile, eppur capace di entrare in un luogo chiuso.

Cercando di immaginare l’accaduto, la mia mente corre ad un mosaico che ho avuto davanti agli occhi fin da ragazzo. Mi riferisco al ciclo musivo della Cattedrale di Monreale, dove il Cristo risorto sta in piedi davanti ad una porta accuratamente chiusa, la quale fa da sfondo aureo alla scena. Ne risulta così un’icona dentro l’icona, accessibile solo a quanti, mossi dalla fede, riconoscono in quell’uomo il Risorto, capace di spiegare attraverso il gioco delle forme e delle luci, la vera divinità e l’altrettanto vera umanità di nostro Signore.

La Parola ascoltata in questa Liturgia, pertanto, ci consente di stare davanti al mistero pasquale come bambini appena nati bramosi di genuino latte spirituale, di entrare, cioè, gradualmente, senza stanchezza e con l’entusiasmo che viene dalla fede, nella dinamica di morte e resurrezione di Cristo Gesù. Ciò, però, è possibile ad una condizione: di entrarvi non da spettatori bensì da protagonisti, così come avvenne per gli apostoli dopo il compimento della Pasqua e il preannunciato dono dello Spirito: «Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù» (At 4,33). Come hanno potuto fare ciò? Cosa avevano compreso? La risposta ci viene dalla seconda lettura. Essi avevano compreso chi è colui che vince il mondo, ossia il Figlio di Dio «colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo; non con l’acqua soltanto, ma con l’acqua e con il sangue» (1Gv 5,6).

In quell’acqua e sangue noi, cari fratelli e sorelle, siamo stati lavati il giorno del nostro Battesimo, e in forza di quell’unico lavacro che abbiamo ricevuto una volta per tutte, siamo stati illuminati dal Cristo risuscitato. C’è da chiederselo, facendo eco alla preghiera con cui abbiamo iniziato questa Eucaristia: comprendiamo davvero l’inestimabile ricchezza del Battesimo che ci ha purificati, dello Spirito che ci ha rigenerati, del Sangue che ci ha redenti? Comprendiamo il senso di quella luce che brilla accanto all’Ambone, ossia il cero pasquale che illumina ininterrottamente tanto il tempo pasquale quanto la vita di ciascun battezzato, dal fonte battesimale alla tomba, proprio ad indicare che l’ultima parola è di Cristo, del Risorto?

Comprendere il senso di questo segno posto sotto i nostri occhi non ci rimanda solo al Cristo che illumina, ma ci dice qualcosa sulla nostra identità. A questo proposito ci viene in aiuto una riflessione del nostro compianto e mai dimenticato confratello Dom. Antonio Lista, OSB († 2019), già parroco di questa Cattedrale. Nel 2015 egli scriveva: «In questo periodo pasquale la presenza di Cristo risorto ci viene rievocata dal cero pasquale acceso nella notte di Pasqua. La contemplazione di questo cero dovrebbe essere per ciascuno di noi, non solo il ricordo di Cristo risorto presente in mezzo a noi, ma anche l’invito ad esaminarci se siamo veramente risorti con Cristo ad una vita cristianamente nuova» (A. Lista, Dialoghi sulla vita cristiana. Una prospettiva monastica, p. 303).

Non si tratta quindi di stabilire chi siano i buoni e chi i cattivi, rimarcando il solo aspetto morale dell’essere cristiano, quanto piuttosto siamo invitati a ristabilire il termine prioritario dell’identità: io, tu, noi apparteniamo a Cristo in forza del battesimo che abbiamo ricevuto. Sull’onda di questa consapevolezza anche san Benedetto, laddove ricorda al monaco che «da quel giorno in poi – cioè dal giorno della propria professione – non sarà più padrone neanche del proprio corpo» (RB 58,25) non fa altro che ricordare quanto l’espressione del voto, per quanto solenne e perpetuo, esso non supera l’unicità della grazia ricevuta con il Battesimo.

Allora sì, carissimi, comprenderemo «l’inestimabile ricchezza del Battesimo che ci ha purificati, dello Spirito che ci ha rigenerati, del Sangue che ci ha redenti» e davanti al Cristo dalle piaghe gloriose, non avremo bisogno di toccarlo bensì di contemplarlo con occhi nuovi, con la fede sincera e piena di stupore di Tommaso: «mio Signore e mio Dio» (Gv 20,28). Saremo davvero beati se ci fideremo di lui pur senza averlo visto.

***

Mi sia permesso, adesso, di far eco alle parole dell’Ecc.mo Abate Ordinario all’inizio di questa Liturgia. Lo ringrazio sinceramente per questo ulteriore segno di considerazione e con lui ringrazio ciascuno dei confratelli per la fraternità che viviamo e per la loro testimonianza di fedeltà. Mi scuserete se faccio qualche breve considerazione che però reputo doverosa.

L’uomo di oggi è un po’ schiavo delle cifre, dei numeri, delle statistiche: corriamo il rischio di guardare alla realtà e di valutarla solo alla luce dei numeri e, per questo, in modo arido, a tratti disumano.

A noi monaci, ad esempio, capita spesso che ci venga chiesto: quanti siete? Quanti monaci vivono in quel tale monastero? E siccome i numeri in questa fase della storia che ci è dato di vivere sono piuttosto bassi, allora ci tocca pure sentire risposte che per brevità e per decenza non starò qui a riferire… come se il valore di una comunità fosse stabilito dalle sue cifre. Come se, ancora per fare un esempio, il valore di una famiglia potesse essere quantificato dal numero di figli o di beni posseduti, o come se il valore di una comunità parrocchiale fosse dato, in ultima analisi, dal numero dei suoi abitanti. Non dobbiamo dimenticare, fratelli miei carissimi, che nostro Signore ha assicurato la sua presenza già per due o tre che sono riuniti nel suo nome (cfr. Mt 18,20).

Una parrocchia come la nostra, ancorata alla storia e alla tradizione del Protocenobio benedettino, è chiamata ad amplificare, nel modo che le è proprio, la vocazione all’accoglienza ereditata da San Benedetto: al Cristo che bussa cioè ai fratelli che sopraggiungono, Benedetto dice di lavar loro le mani e i piedi, leggergli la Parola di Dio, portarli in Chiesa a pregare per riconoscere per loro tramite la misericordia di Dio che si fa presente (cfr. RB 53). Ascolto della Parola, condivisione della Preghiera, servizio di carità: sono esattamente i tre ambiti della pastorale profetica, sacerdotale e regale con cui si esprime la sollecitudine della Chiesa verso i suoi figli.

Così com’è avvenuto in passato, non dovrà mai mancare a coloro che a vario titolo busseranno alla porta di questa Parrocchia l’accoglienza sincera, l’indicazione chiara del primato di Dio, una parola di conforto, un gesto di fraternità e di sincera amicizia “sotto lo sguardo di Colui che tutto scruta” (S. Gregorio Magno, Dialoghi, lib. II, 3).

In questi ultimi anni, soprattutto a causa della malferma salute di D. Antonio, ho avuto modo di celebrare in questa Cattedrale diversi battesimi: ringrazio D. Davide per avermi coinvolto “in tempi non sospetti” e avermi così fatto fare esperienza di una realtà che ha una ricca e profonda validità pastorale.

Carissimi fratelli e sorelle, il nostro rendimento di grazie sia unanime al Padre buono e misericordioso, e mentre ci accostiamo al Risorto con fede, lasciamo che lo Spirito, datore di ogni bene, parli alla nostra vita, ci plasmi e ci trasformi in tempio vivo.

Quanto a noi, sosteniamoci gli uni gli altri con la preghiera e la carità fraterna. Sia lodato Gesù Cristo.


Dom. Fabrizio Messina Cicchetti, OSB

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