Domenica 14 maggio 2023, la Delegazione di Napoli e Campania del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio ha compiuto un pellegrinaggio allo storico santuario-abbazia Santa Maria di Montevergine, complesso monastico mariano a Mercogliano (Avellino), incastonato nel massiccio del Monte Partenio, ad un’altezza di 1270 m.s.l.m. All’interno dell’abbazia territoriale di Montevergine viene venerato il quadro della Madonna di Montevergine e si stima che ogni anno sia visitato da circa un milione e mezzo di pellegrini.

I partecipanti all’incontro devozionale sono stati guidati dal Tesoriere, il Nob. Giancarlo de Goyzueta di Toverena, dei Marchesi di Toverena, Cavaliere di Giustizia, in rappresentanza del Delegato, Nob. Manuel de Goyzueta di Toverena, dei Marchesi di Toverena e Trentenara, Cavaliere di Giustizia; dal Cerimoniere, Domenico Giuseppe Costabile, Cavaliere di Merito; e dall’organizzatore del pellegrinaggio, Luigi Cerciello, Cavaliere di Merito.

I partecipanti si sono ritrovati alle ore 10.00 nella piazza antistante il sagrato dell’abbazia di Montevergine, per poi svolgere una visita alla cripta-cappella della tomba del fondatore del santuario, San Guglielmo dell’Ordine di San Benedetto.

Con successivo passaggio attraverso la Scala Santa e l’Atrio dell’antica Basilica, ove sono collocate numerose lapidi devozionali della Casa Reale dei Borbone, legatissima e devotissima del Santuario, i partecipanti sono passati in Basilica per un saluto alla Madonna e ossequio al quadro di Mamma Schiavona nella cappella voluta dagli Angioini, che nel tempo è stata trasformata e rivestita di marmi barocchi.

I partecipanti al pellegrinaggio sono stati ricevuti poi dal 106° Abate Ordinario di Montevergine, S.E. Dom. Riccardo Luca Guariglia, O.S.B., e da Dom Antonio Chirichella, O.S.B., Direttore dell’Ufficio Liturgico Diocesano e Segretario dell’Abate, per un cordiale scambio di saluti. L’Abate ha espresso il suo apprezzamento per la partecipazione al pellegrinaggio e la sua paterna accoglienza.
Dalla sagrestia è partita la Processione introitale verso la Basilica Nuova, con i Cavalieri Costantiniani guidati dal Cerimoniere, i monaci montevirginiani e alcuni parroci e sacerdoti che guidavano ulteriori pellegrinaggi devozionali, e l’Abate di Montevergine, che ha presieduto la Concelebrazione Eucaristica, salutando e ringraziando all’inizio i Cavalieri Costantiniani con i loro familiari e amici, così come tutti i pellegrini presenti, ringraziamenti che ha ripetuto pure alla fine della liturgia.
Nella sua omelia l’Abate di Montevergine ha parlato della “VI Domenica di Pasqua che ci prepara alla solennità dell’Ascensione del Signore e a quella della Pentecoste. I riferimenti sono chiari nel testo del Vangelo di Giovanni che oggi ascoltiamo e meditiamo. In sintesi, siamo chiamati ad amare Dio, ad osservare i suoi Comandamenti e a rimanere, mediante la grazia santificante che i sacramenti ci donano, in comunione con Lui e con tutti gli esseri del mondo, perché tutto nasce dall’amore e tutto approda all’amore. La creazione e la redenzione sono atti di amore di un Dio che è nella sua essenza e natura solo Amore e Misericordia. Lo fa capire in modo semplice e lineare Gesù stesso, parlando ai suoi discepoli dicendo parole precise e senza fraintendimenti: ‘Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi dirà un altro Paraclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo riconosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi’. L’amore porta alla comunione con Dio Uno e Trino, come è facile capire da questi versetti del testo giovanneo. C’è quindi uno stretto rapporto tra amore ed osservanza della legge del Signore. Chi ama si adegua alla persona amata e nel caso specifico a quanto Dio ha rivelato a Cristo ci ha insegnato, fino a dare la vita per noi. Un amore che va corrisposto e potenziato con la nostra docilità allo Spirito che qui è definito Paraclito ovvero il consolatore. Chi ama Gesù sarà amato dal Padre Suo Gesù e Padre nostro e insieme al Padre Gesù amerà in spirito e verità ogni persona di questo mondo e si manifesterà ad ognuna di essa. Dio che si è manifestato in Cristo nell’incarnazione e Pasqua e tornerà a manifestarsi nella Sua Gloria al termine della storia ovvero nella parusia. Gesù prepara i suoi discepoli al primo distacco, ma li predispone ad accoglierlo nella seconda sua venuta, quella gloriosa e definitiva per tutti noi”.
A conclusione della Santa Messa, il Tesoriere accompagnato dal Cerimoniere all’ambone, ha recitato la Preghiera del Cavaliere Costantiniano. Disposti in processione, i Cavalieri Costantiniani insieme ai presbiteri e all’Abate di Montevergine hanno raggiunto nuovamente la Sagrestia. La Delegazione di Napoli e Campania ha espresso il ringraziamento all’Abate di Montevergine e al suo Segretario per la disponibilità e l’accoglienza; al coro della Schola Cantorum “Orbisophia”, diretto dal Maestro Tatiana Shyshnyak, per aver condiviso il bellissimo momento spirituale con il canto liturgico; e al Cav. Cerciello per l’organizzazione del pellegrinaggio. In segno di gratitudine è stata fatta un’offerta al Santuario. Dopo la Santa Messa, i pellegrini hanno svolto una visita ai Musei e infine un’agape fraterna nel Chiostro dell’Abbazia.

Durante la Santa Messa, il coro della Schola Cantorum “Orbisophia” ha eseguito a cappella i “Canti beneventani”, antiche preghiere antecedenti i Canti Gregoriani. Sono patrimonio sonoro dell’Italia meridionale, nati nel VII secolo nel Ducato Longobardo di Benevento. Il Canto beneventano è un canto liturgico della Chiesa Cattolica, praticato principalmente nei centri ecclesiastici di Benevento e Montecassino. Questo tipo di canto è diverso da quello gregoriano, benché simile a quello ambrosiano. Sostituito ufficialmente nell’XI secolo dal canto gregoriano di rito romano, è però ancora praticato localmente. Sviluppatosi durante il dominio longobardo tra il VI e l’VIII secolo, il canto consisteva in un particolare tipo di rito liturgico e di canto piano tipico di Benevento. All’epoca era chiamato cantus ambrosianus, nonostante la differenza con il canto milanese avente lo stesso nome. Proprio l’uso comune del nome cantus ambrosianus, l’importante influenza dei longobardi sia a Milano sia a Benevento e le similitudini musicali tra le due liturgie e canti fanno intuire come le origini del canto beneventano siano legate ai Longobardi.

La magia del canto beneventano e la sagacia scientifica di Orbisophia, l’associazione che da tempo ha ripreso con merito lo studio dei canti liturgici altomedievali che sono giunti sino a noi sottoforma di pergamene del VII-VIII secolo, l’epoca aurea della presenza longobarda a Benevento. Il coro della Schola Cantorum Orbisophia è diretto dal Maestro Tatiana Shyshnyak, l’artefice di questa riproposizione storica e artistica di una tradizione che sembrava perduta nei secoli e che invece, con l’opera magistrale di ritrovamento e di ricomposizione delle cartapecore liturgiche torna a vivere e a rilanciare la proposta culturale.

L’abbazia Santa Maria di Montevergine, fondata all’incirca nel 1118 da San Guglielmo da Vercelli e intorno al cui santuario si sviluppa presto un forte culto mariano, fu eretta in abbazia nullius con due provvedimenti di Papa Alessandro IV (1261) e Papa Urbano IV (1264). Essi costituiscono il punto di arrivo dell’espansione spirituale e temporale raggiunta dall’abbazia nell’Italia meridionale, arrivando essa a comprendere San Giovanni degli Eremiti in Sicilia ed esercitando, dal 1195, i poteri feudali su Mercogliano.

Nel XII secolo, cuore del medioevo cristiano, San Guglielmo incarna una delle immagini più elevate dell’uomo di Dio. Apostolo e pellegrino, perennemente in marcia, Guglielmo dedicò la sua vita, per molti aspetti avventurosa e fantasiosa, alla diffusione del Vangelo in ogni luogo e presso ogni genere di umanità. Nell’ambito del cristianesimo medioevale, egli rappresentò un anello di congiunzione fra le esperienze dei monaci che guidarono la riforma dell’ordine benedettino dagli eremi di Camaldoli, Vallombrosa e Chiaravalle, e il ritorno ad una religiosità più viva e spontanea, semplice e popolare, meglio adatta a interpretare il modello evangelico. Per questo motivo Guglielmo è stato spesso affiancato alla figura di San Francesco, sebbene il “poverello” di Assisi nascerà soltanto quarant’anni dopo la morte del fondatore dell’abazia di Montevergine. La sua opera di apostolato nel Meridione di Italia precorre quella di San Francesco, tuttavia un’iconografia e una letteratura troppo scarse, sorte comune a quella di molti altri precursori, non ci restituiscono oggi la giusta misura della vita e delle opere di San Guglielmo da Vercelli.
La vera storia del santuario di Montevergine comincia con la consacrazione della prima chiesa da parte del Vescovo di Avellino, quando (come si esprime il primo biografo) «edificata la chiesa e raccolto ivi non piccolo numero di persone per il servizio di Dio, dietro il parere comune, Guglielmo decise che la suddetta chiesa fosse dedicata ad onore di Maria, Madre di Dio e sempre Vergine». Perciò il Santuario di Montevergine deve la sua origine non già ad un’apparizione della Madonna o a qualcosa di simile, ma a quello spirito ascetico mariano di San Guglielmo e dei suoi discepoli, che, non senza ispirazione divina, vollero costruire a Montevergine un faro di devozione alla Madonna, consacrandole su quel monte una chiesa e dedicandole il primitivo cenobio.
San Guglielmo, acceso il fuoco dell’amore di Dio e della Vergine sul sacro monte, si porta altrove consigliere di potenti, soccorritore di umili, operaio infaticabile nell’edificare le case del Signore e dei suoi religiosi, che dappertutto gli fanno intorno spessa corona. La sua laboriosa giornata terrena si chiude il 24 giugno 1142, nel monastero del Goleto, presso Sant’Angelo dei Lombardi (Avellino).

Ben presto alle dipendenze del monastero di Montevergine sorsero molti altri monasteri, sviluppandosi in tal modo la Congregazione verginiana. I secoli XII-XIV segnarono il massimo splendore di questo istituto: papi, re, principi e grandi feudatari fecero a gara nell’arricchire Montevergine chi di beni spirituali, chi di munifici doni, chi di larghi feudi e di protezione sovrana. La Congregazione ebbe molto a soffrire durante il Grande Scisma d’Occidente (1378-1420), e così cominciò a declinare, prendendo addirittura una piega vertiginosa dal giorno in cui l’infausta commenda (1430-1588) fece passare la responsabilità del governo abbaziale su uomini che non avevano altro interesse che di percepire le laute prebende dei benefici ad essi assegnati. Questa fatale discesa si cercò di frenare dopo il 1588 con un secondo periodo di risveglio e di vitalità; ma in seguito intervennero altri fattori, che distrussero quasi completamente la Congregazione nelle due fatali soppressioni del 1807 e 1861. A stento si salvò il Santuario, come a tenere accesa per i secoli la devozione alla Madonna e al suo servo fedele, San Guglielmo da Vercelli.

Nella cappella edificata intorno al XIII secolo da Filippo I d’Angiò, è stata riportata dopo l’ultimo restauro del 2012 la famosissima icona della Madonna di Montevergine. Realizzata su tavole di pino è alta 4 metri e 30 e larga 2 metri e 10. Raffigura una “maestà”, cioè Maria in trono con il Bambino Gesù seduto sulla sua gamba sinistra, che guarda la Madre trattenendo con la manina destra un lembo del suo manto.
L’effigie raffigura una Madonna nera, sulla quale sovrasta la scritta: Nigra et formosa es, amica mea, parafrasi di una famosa espressione riportata nel Cantico dei Cantici. Il culto delle Vergini nere, di origine medioevale, rappresenta l’immagine concreta del principio femminile universale, in quanto la sostanza nera rappresenta il principio della Materia prima, che si trova nelle viscere della Terra. In tal senso il richiamo va oltre che alla stessa Cibele anche all’Iside egiziana, che come Virgo paritura, riportato come iscrizione spesso sul suo basamento, rappresentava appunto quella Materia prima, di colore nero, allo stato di minerale, come e quando viene estratta dai filoni metalliferi, che aspetta di essere fecondata dai raggi del sole. E la Vergine (Materia prima/ Madre per eccellenza) incarna l’Archetipo della fondazione dell’Esistere.
Intorno alla Madonna di Montevergine ruotano non solo storie dallo sfondo teologico, ma anche tante tradizioni e leggende che uniscono sacro e profano. Una tradizione antica, che prende il nome di Juta è quella di salire a piedi verso il santuario nel mese di settembre in occasione della festa del 12 settembre in onore della Madonna Nera. La “juta” infatti è proprio l’“andata” a Montevergine che sin da tempi antichi avveniva con qualsiasi mezzo, a piedi o sui carri. La leggenda che si confonde con la realtà in uno dei culti più seguiti in sud Italia ruota proprio attorno a quel misterioso quadro inserito nel complesso monastico, attorno al quale sono stati raccontati una miriade di vicende. Il Maestro Roberto De Simone nella sua raccolta Rituali e canti della tradizione in Campania celebra la Madonna nera con queste parole: “Esse sono tutte belle, tranne una che è brutta e perciò fugge su di un alto monte, Montevergine”. Perché, secondo la tradizione, le Madonne sorelle erano 6 bianche ed una nera, la Madonna di Montevergine, che per il colore della sua pelle era considerata la più “brutta” delle “7 sorelle”. Da qui l’appellativo “Schiavona”, cioè straniera. Così la Madonna, offesa, si rifugiò sul monte Partenio, giustificando la sua “fuga” così: “Si jo song brutta allora loro hanna venì fino è cà ‘n gopp a truvà!” (Se io sono brutta, allora loro dovranno venire fino a quassù per farmi visita!). La storia poi si ribalta, la Mamma Schiavona diventa la più bella delle sorelle, tanto da essere festeggiata due volte, a febbraio e a settembre.
La Madonna “nera”, stupenda, “coLei che tutto può e tutto perdona”, è celebrata per il suo manto protettivo sugli ultimi, sui deboli, sui poveri, sugli emarginati. Mamma Schiavona è la madre dal cuore grandissimo che perdona tutto ai suoi devoti che scalano la montagna fino a raggiungere il suo santuario.

Nella Solennità di Pentecoste, domenica 28 maggio 2023, il Segretario di Stato di Sua Santità, Cardinale Pietro Parolin, Legato Pontificio, alle ore 10.00 aprirà l’Anno Giubilare Verginiano in occasione del IX Centenario della Fondazione dell’abbazia Santa Maria di Montevergine, alla presenza delle Autorità nazionali, regionali e locali e Ambasciatori accreditati presso la Santa Sede. Alle ore 11.00 presiederà la solenne Celebrazione Eucaristica e alle ore 16.30 terrà l’omelia nella Celebrazione dei Vespri presieduti dall’Abate di Montevergine. Il Cardinal Parolin sarà accompagnato da una delegazione pontificia con due abati benedettini: Padre Mauro Meacci, Abate Visitatore della Provincia Italiana e Abate Ordinario di Subiaco e Padre Diego Gualtiero Rosa, Abate Ordinario di Monteoliveto Maggiore.