27 maggio 1718-2024. Considerazioni in margine alla Bolla “Militantis Ecclesiae” e al commento di Antonio Radente

È stato pubblicato il podcast in riferimento alla Bolla Militantis Ecclesiae di Papa Clemente XI, promulgata il 27 maggio 1718 e al Commento di Don Antonio Radente del 1858, con le considerazioni in margine a cura del Referente per la Formazione della Delegazione di Roma e Città del Vaticano del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, il Prof. Enzo Cantarano, Cavaliere di Merito con Placca d’Argento. La Bolla non è stata abolita mai, in tutto od in parte, né emendata o modificata e mantiene, quindi, intatte tutte le sue valenze canoniche. Il testo che riportiamo di seguito - facendo parte di un libro dell’autore che sta per essere pubblicato - presenta interessanti considerazioni sul ruolo laico del Gran Maestro dell’Ordine Costantiniano.
Copertina commento di Radente

Podcast 26 maggio 2024 – Considerazioni in margine alla Bolla “Militantis Ecclesiae” e al commento di Antonio Radente [QUI]

Considerazioni in margine
alla Bolla Militantis Ecclesiae
e al Commento di Antonio Radente
di Enzo Cantarano

Tutti noi, Dame e Cavalieri del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio sotto la Regola di San Basilio il Grande, sappiamo che nell’Anno del Signore 2018 ricorreva il trecentesimo anniversario della promulgazione di un documento pontificio che ha, per così dire, rifondato le basi giuridiche e canoniche del nostro Ordine: la Bolla Militantis Ecclesiae del Papa Clemente XI. In tale Atto, “nel pieno della sua Apostolica Autorità”, il Papa esercita la sua duplice potestà, quella di fons honorum nell’ambito temporale e quella di Capo della Chiesa nello spirituale.

Approva, dunque, e conferma il passaggio del Gran Magistero Costantiniano alla Dinastia Farnese, nella persona del Duca, pro tempore, Francesco e suoi successori e, contestualmente, investe lo stesso Duca, non in quanto tale, ma come Gran Maestro dell’Ordine, di privilegi straordinari ed assolutamente unici nel corpo della normativa canonica tutt’ora vigente. In pratica, ma lo si vedrà meglio nel seguito, il Gran Maestro, laico a tutti gli effetti e coniugato, auspicabilmente con prole per ovvi motivi dinastici e successori, è equiparato, sostanzialmente, ad un Ordinario che tuttavia, canonicamente, è sempre un presbitero, secolare o regolare, prelato insignito personalmente di particolare potestà dalla autorità gerarchica ecclesiastica.

Inoltre, la Bolla prevede una Prelatura di primo ordine, oggi diremo una Prelatura personale, per il Gran Priore Costantiniano e una Chiesa Conventuale o Collegiale come sede canonica in spiritualis dell’Ordine. Il Papa, tuttavia, antepone alla approvazione, conferma, concessione, ecc. ecc. di privilegi, prerogative, potestà, ecc. ecc., cui si è fatto cenno, per quel tempo assolutamente inusitate e mai revocate né revocabili, il motivo più generale che lo aveva spinto alla pubblicazione della Bolla: la sua preoccupazione per il “decoro e l’aumento riguardo agli Ordini Militari, istituiti nei passati tempi, per grandissimo bene della Cristiana Repubblica”. Sulla base di questa considerazione si fonda la assoluta equiparazione ed equivalenza giuridico-canonica del nostro Ordine a tutti gli altri Ordini religioso-cavallereschi, compreso addirittura quello, Sovrano Militare Ospitaliero, di San Giovanni di Gerusalemme, detto di Rodi e di Malta.

Il Costantiniano rimane, comunque, un unicum nel suo genere per quanto attiene alle caratteristiche potestative, in temporalis ed in spiritualis, specifiche del suo Gran Maestro o Perpetuo Amministratore. La lettura, ancorché attenta e ponderata, della Bolla di cui si sta trattando, da parte di una persona poco informata sui documenti ufficiali della Santa Sede, rischia di risultare poco utile o troppo difficile. Per questo abbiamo pensato di utilizzare anche, mutatis mutandis, un Commento della suddetta Bolla redatto da un prete napolitano, Don Antonio Radente, Cavaliere Costantiniano e Vicario di Sant’Antonio Viennese, pubblicato nel 1858 a Napoli.

In effetti, già nella Dedica dell’Opera, troviamo delle considerazioni che, come tutta la Bolla nel suo insieme, non sembrano avere perso di attualità. Afferma, infatti, il Radente: “È noto a tutti che ai nostri giorni i privilegi Costantiniani [di cui si parlerà nel Documento papale] e le spirituali giurisdizioni sono negletti e non appaiono conosciuti, benché emergano chiari ed evidenti dalla celebre Bolla Clementina… Ciò che più colpisce sono i mille dubbi che continuamente si levano contro questa eccezionale giurisdizione e l’oscurità dei documenti dai quali emerge… che, benché non manchino notizie e documenti, questi sono qua e là sparsi e dispersi”.

La situazione di fatto di allora è, ai nostri giorni, se possibile, ancora meno certa nonostante la Bolla non sembri avere subito ritrattazioni sostanziali da parte della Santa Sede nel corso dei secoli. Nella “Idea preliminare” il Radente afferma: “Mi accinsi a dare in luce questa operetta nella quale il benevolo lettore ammirar potrà gli ampii privilegi, dei quali l’Ordine in parola va adorno. Sperando che i miei scarsi sudori offrissero un vantaggio e risparmio di travaglio ad altri, ho creduto opportuno ragionare canonicamente intorno ai privilegi dell’Ordine…”.

L’Autore scrive ancora che questa “impresa è del tutto nuova… e posso asserirlo senza tema di errare giacché lo stesso applaudito Mosenga, che diffusamente tratta di quest’Ordine, non si occupò che della sola parte storica”.

Appare già illuminante l’“Avvertimento dell’Autore” in cui il Radente scrive: “Conosco abbastanza che le Bolle pontificie non debbono interpretarsi a proprio talento, ma bisogna avere per guida quelle regole che a ciò i Dottori assegnarono, tra le quali questa: che i privilegi non operano se non quello che le parole nel loro concetto contengono”.

A tal fine “ho cercato di manifestare quale sia stata la mente e l’intenzione del concedente Pontefice dal modo col quale si è espresso e dai larghi privilegi che concesse” essendo stata evidentemente “sua intenzione quella di istituire una Prelatura di prim’ordine nella Chiesa e di avere voluto decorare e distinguere un Ordine… benemerito di essa…”.

Non rientra nel progetto di questo nostro lavoro la disamina delle vicende storiche, presunte o pretestate in base ai dati verosimilmente in possesso del Radente, dal momento che la stessa è stata da noi già svolta in un apposito capitolo cui si rimanda.

C’è senz’altro da dire che quanto riferito in questo ambito dal Commentatore della Bolla rispecchia le sue conoscenze circa la tradizione esistente nel nostro Ordine, ma che la maggior parte delle asserzioni, purtroppo, difetta di prove scientificamente e storicamente inoppugnabili almeno fino alla metà del secolo XVI. Tutta la “documentazione” precedente non gode di questi caratteri.

In sintesi possiamo dire che nel Breve Quod alias, del 1550, Papa Giulio III riconosceva ad Andrea Angelo e Geronimo Angelo Flavio Comneno, ai loro parenti e discendenti, una serie piuttosto vasta di privilegi, indulti ed esenzioni. Non si fa cenno all’Ordine Costantiniano, ma, se si vuole dare credito alle successive pretensioni dei Comneno, i Beneficati dovevano essere i titolari del Gran Magistero del detto Ordine.

Nel Documento papale e, ancor più nella successiva Lettera patente del Cardinale Guido Ascanio Sforza, il quale, come Camerlengo di Santa Romana Chiesa dichiara di aver accolto la supplica di Andrea Angelo, di Geronimo e di suo nipote Nicola Ducagino, ed ha fatto esaminare e registrare nella Reverenda Camera Apostolica il Breve di Papa Giulio III, emergono espressioni che, nel classico stile curiale dell’epoca, sembrano sollevare più di un dubbio circa la attendibilità delle pretese dinastiche e successorie su diversi territori balcanici della famiglia Comneno: “Duchi nelle parti d’Albania, di Macedonia o d’Epiro… discendente, come è abbastanza noto, da nobili di Roma e da imperatori di Costantinopoli per linea materna e paterna… benché esso sia stato tenuto e occupato ingiustamente da alcuni…e su loro proprietà, pertinenze, attribuzioni come, ad esempio, Ordini più o meno Dinastici: “come viene riferito… come sembra… come asserivasi… come assicurasi”.

In diversi Atti, Brevi, Bolle, ecc. di successivi Pontefici si vedono rinnovati privilegi, esenzioni, regalie, indulti, ecc. a vari Membri della Famiglia Angelo Comneno. Ogni volta i Pontefici assicuravano impunità, salvaguardie, deroghe… quasi a voler, comunque, sanare possibili problematiche, evidentemente ritenute tutt’altro che ipotetiche, circa diritti, veri o presunti, degli Angelo Comneno pur senza mai fare cenno all’Ordine Costantiniano ed al suo Gran Magistero.

Si è soliti, comunque, far iniziare la cronologia “storicamente” accertata dei Gran Maestri da Andrea Angelo Flavio Comneno, morto nel 1580.

Suo fratello Girolamo era stato Co-Gran Maestro a partire dagli anni ’70 del XVI secolo fino alla sua morte, ma ad Andrea successe il nipote Pietro II dal 1580 fino alla morte nel 1592.

Dopo di lui fu la volta del figlio maggiore Giovanni Andrea (1569 – 1630), alla cui morte il Magistero passò al nipote Angelo (ancora minore d’età fino al 1634), deceduto nel 1678. Gli succedettero il fratello Marco, che morì l’anno dopo, e poi un altro fratello, Girolamo, morto nel 1687, cui successe il fratello Giovanni Andrea, l’ultimo della famiglia, morto nel 1703.

Giovanni Andrea Angelo Flavio Comneno, non avendo eredi né, a causa dell’età, sperando di averne, nel 1698 cedette il Gran Magistero dell’Ordine al Duca di Parma Francesco Farnese e il contratto di cessione venne approvato e confermato dal Breve Sincerae fidei di Papa Innocenzo XII del 24 ottobre 1699. Nel testo non si faceva menzione del titolo ducale di Parma e Piacenza, ma solo della famiglia Farnese e della sua titolarità del Gran Magistero Costantiniano.

Perché proprio ai Farnese? Abbiamo tentato di dare una risposta a questa intricante domanda nel seguito di questo nostro lavoro, ma, sta di fatto che, oltre un secolo prima, proprio al secondo Duca di Parma e Piacenza, Ottavio Farnese (1524-1586), sono dedicati i primi Statuti certi, anche se fatti risalire a una pretesa Regula del 1290, del nostro Ordine.

Ottavio o addirittura suo padre, Pier Luigi (1503-1547), primo Duca di Parma e Piacenza, nel corso delle lunghe, complesse e combattute vicende che portarono alla fondazione degli Stati farnesiani in Italia, avevano ipotizzato un possibile interesse del Casato per una Corona regale nei territori balcanici, già Despotato d’Epiro, su cui aveva, forse, pretensioni dinastiche uno dei rami della Famiglia Orsini con cui sia gli Angelo Comneno sia i Farnese erano imparentati e che erano stati Despoti due secoli prima?

Una Lettera Patente di Leopoldo I Imperatore, la Agnoscimus et notum facimus, del 5 agosto 1699, sembrerebbe dimostrare come il Gran Magistero Costantiniano fosse una dignità a carattere familiare, non legata al trono di Parma, ma alla sola Famiglia Farnese ad ai suoi legittimi discendenti.

I precedenti statuti dell’Ordine subirono una revisione farnesiana già nel 1706 e la definitiva conferma della cessione al casato farnese, con tutti i privilegi accennati, avvenne mediante la Bolla Militantis Ecclesiae del 1718 subito dopo la fine della Campagna militare in Dalmazia del Corpo di spedizione costantiniano contro i Turchi.

Veniamo, ora, alla analisi dei commenti del Radente su questa Bolla così importante per l’Ordine e per le sue strutture ed attività.

La parola con cui Papa Clemente XI inizia la Bolla Militantis Ecclesiae, ci indirizza, fin da subito, all’argomento “militare” che fa da motivo conduttore primario al Testo pontificio. In effetti, già nell’introduzione, il Papa afferma di volgere “volentieri le cure della nostra vigilanza principalmente al decoro ed alla implementazione degli Ordini Militari istituiti nei tempi passati per il maggior bene della Repubblica Cristiana, la promozione della Fede ortodossa e del Culto divino, e volgiamo con propensa benignità il nostro Apostolico ministero, come invocato dai Principi Cattolici, cosicché, dopo prudente consultazione, possiamo capire come agire nel Signore”.

Dopo avere, con l’estrema precisione e la canonica prolissità e prevista ampollosità curiale, riassunto i fatti collegati con la “successione” del Gran Magistero Costantiniano dalla Dinastia degli Angelo Comneno a quella dei Farnese, “documentata” e, soprattutto, “giustificata” contro ogni eventuale opposizione, di fatto o di diritto, con diversi Atti della Sede Apostolica, il Papa cita, sintetizza e conferma il Breve del suo predecessore Papa Innocenzo XII Sincerae fidei, e descrive gli sforzi sovrumani e le spese ingentissime del Duca Francesco Farnese per ridare lustro, addirittura per “rifondare e istituire di nuovo” il suo Ordine Dinastico, “deperito per le varie vicissitudini dei tempi passati”, a cui aveva “ascritto, previo maturo esame, moltissimi uomini illustri non tanto per nobiltà, quanto per fortezza d’animo e merito di virtù” e di cui aveva rinnovato gli statuti e le regole.

Anche in questo, come in tutti gli altri Documenti curiali riferiti alla famiglia Angelo Comneno e/o alle antiche vicende dell’Ordine Costantiniano, si nota l’estrema cautela usata per validare considerazioni, esenzioni, concessioni, ecc, ecc: “a maggiore e più abbondante cautela, per quanto fosse necessario ed ancora per ogni miglior modo, via, diritto e forma, onde potesse renderla più ferma e valida… anco essi difettando in qualunque modo nelle qualità ricercate dal diritto, o per qualunque altro impedimento stabilito… in qualsivoglia maniera gli statuti vi ostassero o potessero ostare od osteranno o diversamente stimarsi… egli (Papa Innocenzo XII) dispensollo per grazia speciale”.

Dopo avere fatto riferimento alle gesta del così detto Reggimento Costantiniano, Papa Clemente XI riferisce della richiesta del Duca Farnese circa la necessità di dare all’Ordine, in quanto Sacro oltre che Militare, una sede Canonica, “una determinata Chiesa e Sede Conventuale”, in cui celebrare i Divini Uffici secondo “il loro regolare Istituto” e “conventualmente vivere come le altre milizie” (quelle, per intenderci, degli altri Ordini Monastico-Cavallereschi).

Inoltre, lo stesso Duca domandava “si erigesse e si istituisse in quella un Gran Priorato in persona di un Presbitero milite della stessa Milizia” eletto dal Gran Maestro, in maniera che “presiedesse alla stessa Chiesa ed ai Militi della stessa Milizia ed agli altri Ministri e Cappellani… col titolo di Gran Priore… Preside e Prelato di quelli”.

Tutto ciò veniva richiesto e concesso affinché “la prelodata Milizia ricevesse un fondamento più inconcusso di sua stabilità… il culto divino avesse maggior incremento e i Militi… si infiammassero di maggiore zelo nella pratica delle virtù cristiane e nella promozione di una stabile gloria del loro Ordine”.

Il Papa conferma ed approva nuovamente e definitivamente l’attribuzione del Gran Magistero al Duca Francesco Farnese, ed ai suoi discendenti, della Milizia Costantiniana come “veramente fosse stata di nuovo eretta e istituita con gli onori, prerogative e facoltà delle quali altri Gran Maestri di altre Milizie uguali confermate dalla Apostolica Autorità in qualunque maniera servonsi, fruiscono, godono e posseggono, senza veruna distinzione… in perpetuo”.

Le concessioni fatte al Gran Maestro, con le quali il Papa chiude il terzo paragrafo della sua Bolla, così precise ed inequivocabili, lasciano desumere con sicurezza che ovunque si trovino privilegi, giurisdizione o facoltà accordati dai Sommi Pontefici, in qualunque tempo, ad Ordini Militari, si debbono, allo stesso modo, intendere come accordati da Clemente all’Ordine Costantiniano.

A questo punto è assolutamente necessario citare in sintesi la traduzione di un brano, dal Radente denominato Appendice I, che nel suo Commento segue la Annotazione II al Paragrafo 3 della Bolla. In esso si delineano i doveri e gli obblighi dei Cavalieri Costantiniani in relazione ai voti o promesse o consigli evangelici che ne facevano, e ne dovrebbero fare anche oggi, cristiani impegnati nella vita stessa della Chiesa. A questi impegni si associano, ovviamente, la preghiera costante quotidiana e la meditazione sulla morte ed il suo mistero in ottica cristiana.

“A tre cose sono obbligati i cavalieri del nostro Ordine, cioè, obbedienza, carità e castità coniugale… All’obbedienza certamente è obbligato il cavaliere tanto rispetto al Gran Maestro, quanto agli altri superiori dell’Ordine… La carità due cose ingiunge al cavaliere, la prima, che sopra tutte le cose ami Iddio, lo tema e lo veneri e sia apparecchiato a spargere il sangue e la vita per il suo onore e per la difesa della cristiana religione. La seconda, che ami il prossimo e lo giovi dimostrandogli affetti di sincera benevolenza… e presti sollecito aiuto a chiunque giustamente lo chiederà…

[I cavalieri] visitino gli ammalati e i carcerati, dando soccorso per quanto arrivino le loro forze… Procurino di comporre le discordie… benché non chiamati… Sia vicendevole fra tutti i cavalieri del nostro Ordine la benevolenza… i provetti cavalieri istruiscano i novizii… con amore e diligenza e procurino accenderli alle virtù…

Dovranno ancora procurare la pace e la concordia tra i Principi Cattolici e conservarla con l’estinguere a tutta forza le prime scintille di fuoco da cui può derivare la guerra… La castità, almeno coniugale, obbliga il cavaliere o a custodire interamente [questa virtù nel celibato]… o a prender moglie… santamente osservando la fede coniugale…

Però, avanti di contrarre matrimonio dovrà renderne consapevole il Gran Maestro… ma soltanto perché è conveniente usare un tale uffizio per atto di ossequio…

La croce che si porta dai nostri cavalieri significa non solo l’onore, ma anche il carico o peso che a quello suole andare unito…

[Il cavaliere] dovrà unire alla splendidezza dell’Ordine la bontà de’ costumi e dichiarasi di seguitare quella milizia più per amore della virtù che per la speranza di conseguire le dignità. Sia bramoso dell’onore di Dio… Veneri il sacrosanto segno della Croce del nostro Signor Gesù Cristo… portandolo continuamente in maniera che da tutti sia veduto… ed il medesimo segno di croce portino nelle loro armi delineato a guisa di ornamento.

Ogni giorno dovranno recitare l’Offizio della Santa Croce, o almeno cinque volte l’orazione domenicale e la salutazione angelica, meditando le cinque Santissime piaghe di Gesù Cristo ed anche le Stimmate di san Francesco; l’aggiungere a tutto ciò l’officio della beatissima Vergine non sia legge, ma lode di pietà religiosa…”.

Gli onori ed inusitati privilegi accordati all’Ordine Costantiniano emergono nelle espressioni che il Pontefice usa anche nel paragrafo quarto quando Papa Clemente XI erige ed istituisce la chiesa di Santa Maria della Steccata “in Chiesa e sede certa Collegiale o Conventuale della Milizia Costantiniana”.

L’Ordine Costantiniano dunque ha in comune, totalmente e pienamente, con tutti gli Ordini Militari Cavallereschi, in modo particolare con l’Ordine Ospitaliero di San Giovanni Gerosolimitano, i privilegi passati e futuri agli stessi accordati dai Romani Pontefici. Per tale motivo sembra ovvio attribuire all’Ordine Costantiniano nella persona del Gran Maestro la stessa piena giurisdizione che vantano, per privilegio, i Re Gran Maestri degli Ordini Militari di Calatrava e di Alcantara in Spagna, sulle persone, territori, fortezze loro appartenenti ancorché situate in Diocesi diverse.

Se Papa Benedetto XIV, con la Bolla Inter Illustria religiosas professionis del 1743, restrinse certi privilegi Gerosolimitani e di altri Ordini, non fece altrettanto con l’Ordine Costantiniano di cui non c’è espressa menzione né adottò le procedure specifiche di restrizione come invece previsto al paragrafo nono della Militantis Ecclesiae che pure la precedeva cronologicamente.

Del resto la dottrina canonica afferma che se una Religione gode di privilegi per analogia o comunicazione con un’altra, la stessa non perde automaticamente i suddetti privilegi per il solo fatto che la prima li abbia perduti o per desuetudine o per revoca.

Il Radente, a questo punto, si vede costretto a fare un cenno alla sussistenza o meno della natura religiosa nell’Ordine Costantiniano. “Una sola difficoltà pare che resti, la quale potrebbe oscurare e forse annullare l’evidenza dei privilegi dell’Ordine… e cioè che la comunicazione di privilegi non può essere trasmessa che tra Religioni Regolari approvate dalla Chiesa della cui natura dubitasi essere l’Ordine Costantiniano…

Si definisce Ordine Religioso ogni Associazione di Individui tendenti all’esercizio delle virtù cristiane, subordinati ad una autorità con Regole e Statuti approvati dalla Santa Sede Apostolica. Secondo il Radente, l’Ordine è “vera corporazione morale e Regolare” con un Gran Maestro come Superiore e con Regole e Statuti approvati dalla Santa Sede.

E la tendenza alla cristiana perfezione sarebbe assicurata da tre voti di Castità coniugale, Povertà ed Obbedienza! Anzi, il Commentatore si spinge ad affermare che l’Ordine Costantiniano “avanza in dignità gli altri Ordini Religiosi in quanto… la dottrina è da preferirsi al silenzio, la vita attiva alla contemplazione, il lavoro alla quiete… e una Religione ordinata a maggiore carità perché i suoi membri mettono a rischio la propria vita per gli altri dovrà essere anteposta a tutte le altre”. Del resto l’Ordine sarebbe sempre stato “nella Chiesa riconosciuto come Religione in Brevi, Motu propri, Bolle di Pontefici come Sisto V, Clemente VIII, Paolo III, Clemente X, ed altri.

E la Sacra Congregazione del Concilio nel 1576 dichiarò i Cavalieri Professi Costantiniani “capaci di ottenere benefici Ecclesiastici e Secolari senza bisogno di dispensa Apostolica e… quale privilegio, Papa Sisto V nel 1585… confermò estendendo la grazia ai Cavalieri Laici e coniugati…” Inoltre, al paragrafo sesto della Bolla, Papa Clemente XI dispone, “erigiamo in perpetuo in essa Chiesa [di Santa Maria della Steccata] un Gran Priorato nella persona di un Presbitero idoneo, milite professo della Milizia, da eleggersi ed elevare [da parte del Gran Maestro] a Gran Priore, … Capo, Preside e Prelato della Chiesa predetta, dei Cappellani… degli altri Ministri” stabilendo che “debba presiedere ai Militi nelle cose spirituali”.

Il potere del Gran Maestro di conferire una Prelatura discende da un “singolarissimo privilegio accordatogli, perché, pur in sé e per sé incapace di giurisdizione Ecclesiastica, ne diviene capace per privilegio Apostolico… in forza del quale il Gran Maestro non è Collatore della Prelatura Costantiniana, ma lo è direttamente il Papa che del ministero del Gran Maestro si avvale. “Inoltre con moto simile e certa scienza, nonché nella pienezza della nostra Apostolica Autorità, perpetuamente concediamo e doniamo la facoltà a Francesco e suoi successori… di erigere ed istituire Cappelle, Chiese e Commende della stessa Milizia e di perpetuamente incorporarle, applicarle ed appropriarle al detto Ordine… e provvedere senza punto esservi bisogno del ricercato consenso degli Ordinari locali o di chicchessia altro… Tutti i benefici ecclesiastici eretti o da erigere su Chiese, Cappelle e Commende dell’Ordine dovranno essere canonicamente istituiti da parte del Gran Priore dal quale riceveranno il possesso”.

La suddetta facoltà concessa al Gran Maestro fa di lui un Legato papale dal momento che solo i Legati possono senza consenso di alcuno esercitare tale potestà. Questo privilegio renderebbe “il Gran Maestro superiore in facoltà agli Ordinari”, anzi, proprio “questo privilegio ci permette di conoscere quale sia stata l’intenzione vera del Pontefice nel creare la giurisdizione costantiniana: il volerla piena, non dissimile da quella degli Ordinari Diocesani”. “Inoltre con moto simile perpetuamente, assolutamente e totalmente… sottraiamo ed esimiamo da ogni giurisdizione, superiorità, visita, dominio e potestà di qualunque Vescovo e degli Ordinari locali la Chiesa… detta della Steccata… nonché le Commende, le Cappelle e le Chiese erette o da erigersi… e altresì tutti gli individui dell’Ordine anche insigniti del carattere clericale.  Tanto i beni quanto le persone immediatamente sottoponiamo e totalmente assoggettiamo con pieno diritto alla giurisdizione, visita e correzione, tanto nello spirituale quanto nel temporale, al Duca Francesco Gran Maestro ed ai suoi successori… dichiarando, però, e decretando che lo stesso in nessun modo possa e debba immischiarsi in nessun tipo di causa di qualunque Milite e dei Ministri, ma debba commetterle e delegarle al Gran Priore o ad altre persone insignite del carattere clericale da scegliersi a volontà dello stesso Gran Maestro, cosicché gli Ordinari del luogo e tutti gli altri non abbiano alcuna giurisdizione su Commende, Cappelle, Chiese e beni come sui Militi e le altre persone per qualunque ragione anco più grave.  Ma i Militi e le altre persone debbono rispondere in ogni e qualunque caso alla presenza del Gran Maestro… come loro Ordinario proprio…”.

Dopo avere anche decretato la assoluta nullità ed invalidità di eventuali processi fatti da Ordinari o Vicari dei luoghi “contro di quelli (Militi, Chierici,..)” per negligente vigilanza del Gran Maestro o del Gran Priore, il Pontefice dichiara nulla ed invalida “qualunque sentenza di scomunica e sospensione” ancorché accettata dai Militi o da altre persone dell’Ordine in pregiudizio della giurisdizione del Gran Maestro o del Gran Priore.

Al paragrafo successivo Papa Clemente XI si premura di proteggere, di “blindare”, l’amato Ordine Costantiniano da qualunque ingerenza negativa o abrogazione o censura anche da parte della Santa Sede, dei suoi successori Pontefici Romani, di Cardinali, Legati, Nunzii, Giudici, Uditori, ecc. ecc.  “E stante le cose premesse e concesse allo stesso Francesco, vogliamo ancora che le stesse in nessun tempo potessero impugnarsi e che tutte le dette cose concesse al Gran Maestro o perpetuo Amministratore ed alla Milizia o ai Militi non siano mai comprese nelle sospensioni, derogazioni, revoche, limitazioni, alterazioni sia delle presenti grazie sia di simili o anche dissimili in genere od in ispecie, date da Noi e dai Nostri Successori Romani Pontefici o dalla predetta Santa Sede ancorché lo siano per legittima e giustissima causa, ma che sempre si stimino essere da quelle eccettuate e quante volte quelle si daranno, tante volte si intenderanno le dette premesse grazie restituite nel primiero loro stato e di nuovo concesse sotto qualunque posteriore data allo stesso Gran Maestro o perpetuo Amministratore ed ai Militi che in nessun modo si possano derogare ancorché esistessero qualsivoglia Lettere Apostoliche ancora date con certe clausole generali e speciali anche derogatorie delle derogatorie con espressioni più efficaci ed insolite anche se apparissero contenenti decreti irritanti sotto qualunque espressione di parole né mai si intenda aver potuto derogare quei privilegi concessi [a meno che] le derogazioni di tal fatta siano state emanate in Concistoro… intimate e presentate per via di tre lettere distinte in tre volte destinate al Gran Maestro o perpetuo Amministratore e ai Militi e purché esse abbiano avuto il consenso dello stesso Gran Maestro e dei Militi. Diversamente le dette derogazioni non hanno effetto alcuno ed il Gran Maestro e i Militi non sono tenuti ad ubbidire alle lettere derogatorie così fatte, e non sono legati da censure ecclesiastiche e così, non diversamente, riteniamo irrito e vano in tutte  e le parziali premesse di tutto ciò che di diverso sia fatto o attentato da chiunque di qualunque autorità fornito, scientemente o ignorantemente, o che siano Giudici Ordinari o Straordinari o Delegati, muniti di qualsiasi facoltà, anche Uditori di Palazzo Apostolico e Cardinali della stessa SRC, anche Legati a latere, Vicelegati, Nunzii della stessa Santa Sede e si intenderà ad essi in generale e a ciascuno in particolare tolta la facoltà, la potestà, l’autorità, di diversamente giudicare, definire ed interpretare”.  Nell’ultimo paragrafo della Bolla, il Pontefice scrive: “Ad alcun uomo dunque non sia lecito questa pagina di nostra assoluzione, approvazione, confermazione, costituzione, deputazione, surrogazione, erezione, istituzione, concessione, assegnazione, soggezione, esenzione, dichiarazione, indulto, decreto, mandato, derogazione, volontà infrangere o, con temerario ardire, contraddire” sotto minaccia di “incorrere nella indignazione dell’Onnipotente Dio e dei Beati Pietro e Paolo Apostoli”.

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A questo strumento fondativo di diritto canonico, atto sovrano della fons honorum nemo superior recognoscens [*], che rappresenta l’atto fondativo del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio sotto la Regola di San Basilio il Grande, il Prof. Enzo Cantarano ha dedicato un capitolo del nuovo lavoro, che ha curato insieme alla Prof.ssa Luisa Carini Cantarano: La Cavalleria Cristiana tra potere e misericordia. Considerazioni per i confratelli e le consorelle del Sacro Militare Ordine Costantiniano di san Giorgio (Youcanprint 2024, 214 pagine) [QUI].

[*] Fons honorum nemo superior recognoscens: la fonte degli onori riconosce nessun superiore.
Il termine latino fons honorum (fonte degli onori) è un’espressione che si riferisce al legittimo diritto che ha un Capo di Stato, in virtù della sua posizione ufficiale, di insignire altre persone di titoli nobiliari o ordini cavallereschi o di merito. Durante l’Alto Medioevo, i Cavalieri europei erano essenzialmente guerrieri in armatura e a cavallo: era una pratica comune che i comandanti dei cavalieri conferissero il rango di Cavaliere ai loro migliori soldati, che a loro volta avevano il diritto di conferire la stessa dignità ad altri che l’avessero meritato. Questo sistema con cui si trasmetteva la dignità del Cavaliere cominciò a cambiare durante le Crociate, quando sorsero gli Ordini religiosi cavallereschi: ai Cavalieri appartenenti a questi Ordini, limitati e vincolati dal voto di obbedienza verso il Gran Maestro dell’Ordine, era proibito armare Cavalieri altre persone. Questa forma di trasmissione del rango di Cavaliere fu particolarmente gradita ai Sovrani, come modo per garantirsi le fedeltà dei Cavalieri alla propria causa; a questo scopo i Monarchi fecero proprio i Gran Magisteri degli attuali Ordini cavallereschi, o ne crearono di propri. Dopo la fine del feudalesimo e la nascita degli Stati nazionali, sia gli Ordini cavallereschi sia i titoli nobiliari (nelle monarchie) divennero di dominio e proprietà unica del Sovrano (o del Capo di Stato) che se ne servì per ricompensare i propri leali e meritevoli sudditi (o cittadini). In altre parole, i Sovrani e Capi di Stato divennero fons honorum delle proprie nazioni.
L’espressione latina nemo superiorem recognoscens (riconosce nessun superiore) è utilizzata in diritto costituzionale per indicare i supremi organi dello Stato che, posti in posizione di indipendenza e parità tra di loro, non sono sottoposti ad alcun potere superiore.

Indice dei podcast trasmessi [QUI]

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