Su invito della Diocesi di Civita Castellana, la Delegazione della Tuscia e Sabina del Sacro Militare Ordine Costantiniano ha preso parte ai solenni festeggiamenti svoltisi domenica 29 gennaio 2023 a Vignanello, nella vigilia della festa di Santa Giacinta Marescotti.
I Cavalieri Costantiniani, guidati dal Delegato, Nob. Avv. Roberto Saccarello, Cavaliere di Gran Croce Jure Sanguinis con Placca d’Oro, sono stati accolti alle ore 17.00 nel Castello avito di Santa Giacinta dalle rappresentanti della Ecc.ma Casa Ruspoli, Donna Claudia e Donna Giada. Successivamente, i Cavalieri Costantiniani hanno partecipato ai Primi Vespri solenni di Santa Giacinta, celebrati nell’androne del Castello Ruspoli dal Cardinale Mario Grech, Segretario Generale del Sinodo.
Al termine sono stati presentati dal parroco Don Roberto Baglioni al porporato, che si è benevolmente intrattenuto con loro, interessandosi in particolare sulle attività caritatevoli svolte dalla Delegazione Tuscia e Sabina.
Alle ore 20.30 i Cavalieri Costantiniani hanno presenziato alla III edizione della “Uscita” del simulacro di Santa Giacinta dal Castello, presieduta dal nuovo Vescovo di Civita Castellana, Mons. Marco Salvi, con l’Offerta del Cero in Atto di affidamento della Città di Vignanello in Piazza della Repubblica, accompagnata dai Facchini, dal Comitato Festeggiamenti e dalla Confraternita dei Sacconi e delle Dame di Santa Giacinta Marescotti, partiti dalla Chiesa degli Angeli Custodi, accompagnati dalla Banda Musicale “G. Puccini” di Vignanello.
Poi, alle ore 21.00 nella Chiesa Collegiata di Santa Maria della Presentazione, hanno partecipato alla Santa Messa Solenne in onore di Santa Giacinta, presieduta dal Cardinale Mario Grech, animata dall’Ensemble Vocale “Doppiounisono”. Al termine del sacro rito, il Vescovo diocesano, nel rivolgere il saluto ai numerosi fedeli e alle massime autorità del Comune e della Provincia, ha ricordato anche la presenza dei Cavalieri Costantiniani, particolarmente devoti alla grande Santa Francescana ,Patrona della Città di Vignanello.
Alla partecipazione al sacro rito delle Sante Messe in onore di Santa Giacinta è connessa la grazia Giubilare dell’Indulgenza Plenaria alle solite condizioni e disposizioni spirituali.
Giacinta (al secolo Clarice) Marescotti (nata a Vignanello il 16 marzo 1585 e ritornata al padre a Viterbo il 30 gennaio 1640) è stata una religiosa italiana appartenente al terzo ordine francescano. Figlia del Conte Marcantonio Marescotti e di Ottavia Orsini, Contessa di Vignanello (il cui padre aveva realizzato il Parco dei Mostri di Bomarzo), studiò, assieme alle sue due sorelle Ginevra e Ortensia, al convento di San Bernardino a Viterbo.
Sogna uno sposo, non il monastero. È molto bella ed è molto attratta dal giovane Marchese Paolo Capizucchi, ottimo partito per una figlia di Marcantonio Marescotti, alta aristocrazia romana. Ma egli chiese la mano della sorella minore Ortensia. Clarice ne rimase sconvolta. Dopodiché diventa il flagello della casata, insopportabile per tutti. Una delusione simile può davvero inasprire chiunque, ma forse le accuse sono anche un po’ gonfiate per giustificare la reazione del padre, che nel 1605 la fa entrare nel monastero di San Bernardino a Viterbo, dalle Clarisse, dove c’è già sua sorella Ginevra, Suor Immacolata.
Lì prese i voti, adottando il nome di Suor Giacinta, ma senza farsi monaca: sceglie lo stato di terziaria francescana, che non comporta clausura stretta. Fu una vocazione soltanto esteriore. In convento Suor Giacinta tenne atteggiamenti contrari alla disciplina della devozione. Anziché vivere in una cella, si fece arredare due camerette con roba di casa sua a Vignanello ed era servita da due giovani novizie. Partecipa alle attività comuni. Ma non è come le altre. Lo sente, glielo fanno sentire: un brutto vivere. Per quindici anni si tira avanti così: una vita “di molte vanità et schiocchezze nella quale hero vissuta nella sacra religione”. Parole sue di dopo.
Condusse vita mondana e licenziosa fino al 1615, quando, in seguito ad una grave malattia e alcune morti in famiglia., entrò in una crisi spirituale: si ritrovò sola e gridò forte: «O Dio ti supplico, dai un senso alla mia vita, dammi la speranza, dammi la salvezza!». Era profondamente sincera e Dio la ascoltò. Si convertì e cominciano ventiquattro anni straordinari e durissimi, in povertà totale. E di continue penitenze, con asprezze oggi poco comprensibili, ma che rivelano energie nuove e sorprendenti. Dalle due camerette raffinate lei passa a una cella derelitta per vivere di privazioni: ma al tempo stesso, di lì, compie un’opera singolare di “riconquista”. Lei stessa donava tutto quel che riceveva ai poveri.
Personaggi lontani dalla fede vi tornano per opera sua, e si fanno suoi collaboratori nell’aiuto ad ammalati e poveri. Un aiuto che Giacinta la penitente vuole sistematico, regolare, per opera di persone fortemente motivate. Questa mistica si fa organizzatrice di istituti assistenziali come quello detto dei “Sacconi” (dal sacco che i confratelli indossano nel loro servizio) che aiuta poveri, malati e detenuti, e che si perpetuerà fino al XX secolo. E come quello degli Oblati di Maria, chiamati a servire i vecchi. Nel monastero che l’ha vista entrare delusa e corrucciata, Giacinta si realizza con una totalità mai sognata, anche come stimolatrice della fede e maestra: la vediamo infatti contrastare il giansenismo nelle sue terre, con incisivi stimoli all’amore e all’adorazione per il sacramento eucaristico. Non sono molti quelli che la conoscono di persona.
Giacinta morì nel 1640. Dopo la sua morte, tutta Viterbo corre alla chiesa dov’è esposta la salma. Durante la sua veglia funebre tutti vollero portarsi via un pezzetto della sua veste per conservarlo come reliquia e così il suo corpo dovette essere vestito tre volte. Subito fu venerata dalla gente tra i santi, in particolare tra quelli che erano stati grandi peccatori, poi convertiti dalla grazia. A Viterbo lei resterà per sempre, nella chiesa del monastero delle Clarisse, distrutta nella Secondo Guerra Mondiale e ricostruita nel 1959. La sua canonizzazione sarà celebrata da Pio VII nel 1807.
Servizio fotografico del Cav. Gennaro Vernillo.