Documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II – Sesta parte: Nostra aetate

È stato pubblicato sul canale Spreaker dell’Ufficio Stampa della Real Commissione per l’Italia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio il sesto di una serie di Podcast sui più rilevanti Documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II, nell’occasione del 60° anniversario della promulgazione. Il Referente per la Formazione della Delegazione di Roma e Città del Vaticano, il Prof. Enzo Cantarano, Cavaliere di Merito con Placca d'Argento, propone in dieci podcast una sintesi dei principali Atti scaturiti dall’assise conciliare. I primi tre podcast riguardavano le tre Costituzioni conciliari; questo podcast ed i due successivi si riferiscono ai tre Decreti conciliari Inter mirifica (Tra le meraviglie), Nostra aetate (Nel nostro tempo) e Dignitatis humanae ([Consapevoli] della [propria] dignità di persone). La Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non-Cristiane Nostra aetate del Concilio Vaticano II fu promulgata da Papa Paolo VI il 28 ottobre 1965. Ridefinisce i rapporti della Chiesa Cattolica con le religioni non Cristiane, in particolare con l’Ebraismo. Il breve testo dedica il suo quarto paragrafo, il più lungo, alla “religione ebraica”. Rifiuta ogni forma di discriminazione e “deplora gli odi, le persecuzioni e le manifestazioni di antisemitismo che, in qualunque tempo e da parte di chiunque, sono stati diretti contro gli Ebrei”.
Copertina

Podcast 3-21 – Documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II – Sesta parte: Nostra aetate

Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non-Cristiane “Nostra aetate” dopo 60 anni

Quest’anno ricorre il 60° anniversario dalla promulgazione della Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non-Cristiane Nostra aetate approvata dai Padri del Concilio Vaticano II e promulgata da San Paolo VI il 28 ottobre 1965. È un testo fondativo per il dialogo con le altre Fedi religiose, frutto di un lungo lavoro redazionale e molto contrastato, anche all’interno della Chiesa stessa.

“Nel nostro tempo in cui il genere umano si unifica di giorno in giorno più strettamente e cresce l’interdipendenza tra i vari popoli, la Chiesa esamina con maggiore attenzione la natura delle sue relazioni con le religioni non-cristiane. Nel suo dovere di promuovere l’unità e la carità tra gli uomini, ed anzi tra i popoli, essa in primo luogo esamina qui tutto ciò che gli uomini hanno in comune e che li spinge a vivere insieme il loro comune destino. I vari popoli costituiscono infatti una sola comunità. Essi hanno una sola origine, poiché Dio ha fatto abitare l’intero genere umano su tutta la faccia della terra hanno anche un solo fine ultimo, Dio, la cui Provvidenza, le cui testimonianze di bontà e il disegno di salvezza si estendono a tutti finché gli eletti saranno riuniti nella città santa, che la gloria di Dio illuminerà e dove le genti cammineranno nella sua luce. Gli uomini attendono dalle varie religioni la risposta ai reconditi enigmi della condizione umana, che ieri come oggi turbano profondamente il cuore dell’uomo: la natura dell’uomo, il senso e il fine della nostra vita, il bene e il peccato, l’origine e lo scopo del dolore, la via per raggiungere la vera felicità, la morte, il giudizio e infine l’ultimo e ineffabile mistero che circonda la nostra esistenza, donde noi traiamo la nostra origine e verso cui tendiamo. Dai tempi più antichi fino ad oggi presso i vari popoli si trova una certa sensibilità a quella forza arcana che è presente al corso delle cose e agli avvenimenti della vita umana, ed anzi talvolta vi riconosce la Divinità suprema o il Padre. Questa sensibilità e questa conoscenza compenetrano la vita in un intimo senso religioso” (Nostra aetate).

Nostra aetate ha segnato una svolta irreversibile nei rapporti tra la Chiesa Cattolica e l’Ebraismo sulla scia dei passi intrapresi da San Giovanni XXIII, e ha pure cambiato in modo significativo l’approccio del Cattolicesimo nei confronti delle religioni non Cristiane.

In effetti, il testo iniziale avrebbe dovuto riguardare solo le relazioni col mondo ebraico, tanto è vero che la parte centrale del documento riguarda in effetti l’Ebraismo con il riconoscimento delle radici ebraiche del Cristianesimo e della relazione unica che esiste tra le due Fedi come aveva sottolineato San Giovanni Paolo II nell’aprile 1986, visitando la Sinagoga di Roma. E Papa Benedetto XIV, visitando la Sinagoga della Capitale nel gennaio 2010, ha ricordato come “la dottrina del Concilio Vaticano II abbia rappresentato per i Cattolici un punto fermo a cui riferirsi costantemente nell’atteggiamento e nei rapporti con il popolo ebraico, segnando una nuova e significativa tappa. L’evento conciliare ha dato un decisivo impulso all’impegno di percorrere un cammino irrevocabile di dialogo, di fraternità e di amicizia”.

Oltre a deplorare “gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo in ogni tempo e da chiunque manifestate”, la Dichiarazione conciliare spiega, che la responsabilità per la morte di Gesù “non può essere imputata né indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli Ebrei del nostro tempo”.

Per smorzare, almeno in parte, le resistenze interne alla Chiesa circa il mutato atteggiamento, precedentemente ostile e persecutorio, mantenuto purtroppo per secoli, verso coloro che venivano qualificati, fino a San Giovanni XIII, come “perfidi giudei” e “deicidi”, nella parte iniziale di Nostra aetate si citano Induismo e Buddismo.

“Così, nell’Induismo gli uomini scrutano il mistero divino e lo esprimono con la inesauribile fecondità dei miti e con i penetranti tentativi della filosofia; cercano la liberazione dalle angosce della nostra condizione sia attraverso forme di vita ascetica, sia nella meditazione profonda, sia nel rifugio in Dio con amore e confidenza. Nel Buddismo, secondo le sue varie scuole, viene riconosciuta la radicale insufficienza di questo mondo mutevole e si insegna una via per la quale gli uomini, con cuore devoto e confidente, siano capaci di acquistare lo stato di liberazione perfetta o di pervenire allo stato di illuminazione suprema per mezzo dei propri sforzi o con l’aiuto venuto dall’alto… Ugualmente anche le altre religioni che si trovano nel mondo intero si sforzano di superare, in vari modi, l’inquietudine del cuore umano proponendo delle vie, cioè dottrine, precetti di vita e riti sacri. La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini. Tuttavia essa annuncia, ed è tenuta ad annunciare, il Cristo che è ‘via, verità e vita’ (Gv 14,6), in cui gli uomini devono trovare la pienezza della vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato con se stesso tutte le cose. Essa perciò esorta i suoi figli affinché, con prudenza e carità, per mezzo del dialogo e della collaborazione con i seguaci delle altre religioni, sempre rendendo testimonianza alla fede e alla vita cristiana, riconoscano, conservino e facciano progredire i valori spirituali, morali e socio-culturali che si trovano in essi” (Nostra aetate).

Un paragrafo importante è dedicato alla fede musulmana.

“La Chiesa guarda con stima i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come vi si è sottomesso Abramo, a cui la fede islamica volentieri si riferisce. Benché essi non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano tuttavia come profeta, onorano sua madre vergine, Maria, e la invocano con devozione. Inoltre attendono il giorno del giudizio, quando Dio retribuirà tutti gli uomini risuscitati. Così pure hanno in stima la vita morale e rendono culto a Dio, soprattutto con la preghiera, le elemosine e il digiuno” (Nostra aetate).

Tra i passi significativi compiuti negli anni successivi dai Romani Pontefici nel dialogo con l’Islam vanno citate le parole di San Paolo VI in Uganda, nel luglio 1969, quando il Papa rese omaggio ai primi martiri Cristiani africani facendo un paragone che associava anche i credenti musulmani al martirio subito per opera di sovrani delle tribù locali. “Noi siamo sicuri di essere in comunione con voi”, disse, rivolgendosi agli esponenti di fede islamica nella Nunziatura Apostolica di Kampala, “quando imploriamo l’Altissimo, di suscitare nel cuore di tutti i credenti dell’Africa il desiderio della riconciliazione, del perdono così spesso raccomandato nel Vangelo e nel Corano”. Aggiunse Papa Montini: “E come non associare alla testimonianza di pietà e di fedeltà dei martiri cattolici e protestanti la memoria di quei confessori della fede musulmana, la cui storia ci ricorda che sono stati i primi, nel 1848, a pagare con la vita il rifiuto di trasgredire le prescrizioni della loro religione?”.

Nel novembre 1979, incontrando ad Ankara la comunità Cattolica, San Giovanni Paolo II aveva ribadito la stima della Chiesa per l’Islam: “La fede in Dio, professata in comune dai discendenti di Abramo, Cristiani, Musulmani ed Ebrei, quando è vissuta sinceramente e portata nella vita, è fondamento della dignità, della fratellanza e della libertà degli uomini e principio di retta condotta morale e di convivenza sociale”.

Una pietra miliare di questo cammino è rappresentata da un altro suo discorso, pronunciato nell’agosto 1985 in Marocco, a Casablanca: “Cristiani e Musulmani abbiamo molte cose in comune, come credenti e come uomini. Viviamo nello stesso mondo, solcato da numerosi segni di speranza, ma anche da molteplici segni di angoscia. Abramo è per noi uno stesso modello di fede in Dio, di sottomissione alla sua volontà e di fiducia nella sua bontà. Noi crediamo nello stesso Dio, l’unico Dio, il Dio vivente, il Dio che crea i mondi e porta le sue creature alla loro perfezione”.

Il Papa aveva ricordato che “il dialogo tra Cristiani e Musulmani oggi è più necessario che mai. Esso deriva dalla nostra fedeltà verso Dio e suppone che sappiamo riconoscerlo con la fede e testimoniarlo con la parola e con l’azione in un mondo sempre più secolarizzato e spesso ateo”.

Il 27 ottobre 1986, il Pontefice aveva convocato ad Assisi i rappresentanti delle religioni del mondo per pregare per la pace, un incontro diventato un simbolo per il dialogo e l’impegno comune tra credenti di diverse fedi: “Il trovarsi insieme di tanti capi religiosi per pregare è un invito al mondo a diventare consapevole che esiste un’altra dimensione della pace e un altro modo di promuoverla, che non è il risultato di negoziati, di compromessi politici o di mercanteggiamenti economici, ma il risultato della preghiera, che, pur nella diversità di religioni, esprime una relazione con un potere supremo che sorpassa le nostre capacità umane”.

Celebrando ad Assisi il 25° anniversario di quell’evento, Papa Benedetto XVI metteva in guardia dalla minaccia rappresentata dall’abuso del nome di Dio per giustificare odio e violenza, compreso, ovviamente, quello perpetrato dai cristiani lungo la storia (“lo riconosciamo, pieni di vergogna”), ma osservava pure che “il ‘no’ a Dio ha prodotto crudeltà e una violenza senza misura, possibile solo perché l’uomo non riconosceva più alcuna norma e alcun giudice al di sopra di sé. Gli orrori dei campi di concentramento mostrano in tutta chiarezza le conseguenze dell’assenza di Dio”.

La Dichiarazione conciliare Nostra aetate si conclude con un paragrafo dedicato alla “Fraternità universale”: “Non possiamo invocare Dio come Padre di tutti gli uomini, se ci rifiutiamo di comportarci da fratelli verso gli uomini che sono creati ad immagine di Dio. Viene dunque tolto il fondamento a ogni teoria o prassi che introduca tra uomo e uomo, tra popolo e popolo, discriminazioni in ciò che riguarda la dignità umana e i diritti che ne promanano. In conseguenza la Chiesa esecra, come contraria alla volontà di Cristo, qualsiasi discriminazione tra gli uomini e persecuzione perpetrata per motivi di razza e di colore, di condizione sociale o di religione. E quindi il sacro Concilio, seguendo le tracce dei santi apostoli Pietro e Paolo, ardentemente scongiura i cristiani che, «mantenendo tra le genti una condotta impeccabile» (1 Pt 2,12), se è possibile, per quanto da loro dipende, stiano in pace con tutti gli uomini, affinché siano realmente figli del Padre che è nei cieli”.

A questa tradizione si richiama il documento sulla Fratellanza umana firmato da Papa Francesco d.v.m. e dal Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb il 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi, scritto “In nome di Dio che ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro, per popolare la terra e diffondere in essa i valori del bene, della carità e della pace”.

Indice dei podcast trasmessi.

Avanzamento lettura