Il Convegno “I patrimoni aristocratici tra eredità materiali e immateriali” a Messina

Mercoledì 21 febbraio 2024 si svolgerà, presso l’Accademia Peloritana dei Pericolanti in piazza Pugliatti 1 a Messina, il convegno I patrimoni aristocratici tra eredità materiali e immateriali, organizzato dalla Commissione Araldico-Genealogica Siciliana, presieduta da S.E. il Marchese Narciso Salvo di Pietraganzili, Cavaliere di Gran Croce di Giustizia, Consigliere della Real Deputazione e Presidente della Commissione Araldica della Real Commissione per l’Italia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, Presidente del Centro Studi del Corpo della Nobiltà Italiana.

Mercoledì 21 febbraio 2024 si è svolto, presso l’Accademia Peloritana dei Pericolanti in piazza Pugliatti 1 a Messina, il Convegno I patrimoni aristocratici tra eredità materiali e immateriali, organizzato dalla Commissione Araldico-Genealogica Siciliana, presieduta da S.E. il Marchese Narciso Salvo di Pietraganzili, Cavaliere Gran Croce di Giustizia, Consigliere della Real Deputazione e Presidente della Commissione Araldica della Real Commissione per l’Italia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, Presidente del Centro Studi del Corpo della Nobiltà Italiana. Tra i relatori c’è stato il Delegato per la Sicilia Occidentale, il Nob. Prof. Salvatore Bordonali di Pirato, Cavaliere Gran Croce di Giustizia, che è intervenuto nella prima sessione sul tema Problematiche giuridiche del diritto al nome [*].

Il convegno si avvale del patrocinio dell’Accademia Peloritana dei Pericolanti, del Dipartimento di Giurisprudenza “Salvatore Pugliatti” dell’Università degli Studi di Messina, del Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università degli Studi di Catania, del Dipartimento Culture e Società dell’Università degli Studi di Palermo, della Fondazione Cultura e Arte, e del Corpo della Nobiltà Italiana.

Programma

Sessione I – Profili delle eredità immateriali

Presiede: Narciso Salvo di Pietraganzili, Presidente della Commissione Araldico-Genealogica Siciliana e del Centro Studi del Corpo della Nobiltà Italiana

– Ricordo di Carlo Marullo di Condojanni sr.

– Salvatore Bordonali di Pirato (Università di Palermo): Problematiche giuridiche del diritto al nome [*]

– Fabrizio D’Avenia (Università di Palermo): Vescovi tra Spagna, Roma e Sicilia: promozione culturale e patrimonio immateriale (ss. XVI- XVII)

Sessione II – Declinazioni del patrimonio materiale Presiede: Guglielmo Scammacca della Bruca, Vicepresidente della Commissione Araldico-Genealogica Siciliana

– Lina Scalisi (Università di Catania): Di reliquie e altri tesori dello spirito: il sacro nei patrimoni della nobiltà isolana

– Salvatore Bottari (Università di Messina): I Cavalieri della Stella

– Ferdinando Maurici (Soprintendenza del Mare): I Beccadelli di Bologna costruttori di città e castelli nella Sicilia di Carlo V e Filippo II: Marineo e Capaci

– Giacomo Pace Gravina (Università di Messina): La crisi dei patrimoni nobiliari nella Sicilia dell’Ottocento: strumenti dell’eversione della feudalità

Sessione III – Arte, collezionismo, archivi Presiede: Giacomo Pace Gravina, componente della Commissione Araldico-Genealogica Siciliana

– Pierfrancesco Palazzotto (Università di Palermo): La committenza artistica delle Confraternite nobiliari di Palermo

– Francesco Paolo Campione (Università di Messina): Una città come una collezione. Trapani e il Conte Agostino Sieri Pepoli

– Maurizio Vesco (Archivio di Stato – Palermo): La genealogia della nobiltà: i manoscritti dinastico-encomiastici dell’aristocrazia siciliana

– Claudio Gino Li Chiavi (Archivista l.p.): Scrivere di sé, per sé e per gli altri. Rassegna di fonti araldiche manoscritte palermitane

– Conclusioni, Carlo Marullo di Condojanni, Vicepresidente del Corpo della Nobiltà Italiana

L’Accademia Peloritana dei Pericolanti

L’Accademia nasce per autorizzazione del Vicere di Sicilia nel 1729 come organizzazione di ordine scientifico e umanistico per la promozione della cultura negli anni nei quali l’Università di Messina viene chiusa dagli Spagnoli, per punire la città dalla ribellione anti spagnola. Tra le poche Accademie sopravvissute vi fu l’Accademia degli Accorti che diventò l’Accademia Peloritana dei Pericolanti con uno stemma raffigurante una nave che a vele spiegate viaggia tra Scilla e Cariddi e con il motto Inter utramque viam. Era associata con l’Accademia dei Dissonanti di Modena.

Fu detta “dei Pericolanti”, secondo un documento dell’Abate Carlo Vitali, primo Segretario dell’Accademia, per la similitudine tra la navigazione sullo Stretto di Messina “come nel mare tra Scilla e Cariddi pericola sempre il nocchiero” e lo studioso che “nel sapere, tra le varie difficoltà, e con le varie traversie, pericola … e ciò non ostante penetra senza inciampo nella verità ricercata”.

Dal 1729 ad oggi tutti settori culturali sono rappresentati: dalla medicina alle scienze giuridiche, dagli studi letterari a quelli filosofici e filologici, dall’arte alle scienze.

La sala dell’Accademia, ubicata al piano terra del plesso centrale dell’Università, è arricchita dalla presenza di “Cinquecentine” di opere rare e pregiate e dispone di un notevole patrimonio librario.

[*] Estratto (senza le note) dalla relazione Problematiche giuridiche del diritto al nome (alla riscoperta dei nonni) del Prof. Salvatore Bordonali di Pirato

La relazione inizia con un paragone tra la famiglia e l’albero. Entrambi hanno una parte visibile, i rami e una nascosta le radici: senza di queste non esisterebbero entrambi.

La famiglia è percepita all’esterno attraverso il nome familiare, “tuttavia, nel contesto attuale un discorso sul nome familiare in riferimento a valori tradizionali può apparire provocatorio o quanto meno controcorrente”.

“Il punto di partenza è costituito dal modello della famiglia (legittima) come ci è stato tramandato e che viene definito come “patriarcale”, sempre più spesso intendendolo come un disvalore. Rimane però che alla base della famiglia, in tutte le sue accezioni, sta un nucleo forte formato da genitori, figli e – grazie alla vita media allungata – anche dai nonni. In definitiva, il nucleo forte è ancor oggi coincide con quella comunità di soggetti che sono legati dal vincolo naturale della generazione e – in quanto esseri intelligenti – dalla memoria dell’appartenenza a un determinato nucleo di persone”, con un nome che si è trasmesso nel tempo.

Il nome proprio, viceversa, serve a individuare la persona all’interno di un determinato gruppo familiare, ed è assegnato dai genitori. Permane l’usanza – da alcuni avvertita come doverosa – “di dare al nipote il nome dei nonni, in un ideale proseguimento della loro esistenza e in un richiamo alle radici familiari, cioè a una nozione di famiglia che si allarga nel tempo oltre il nucleo summenzionato”.

“Più complesso è il discorso sul cognome familiare, quello che esteriorizza il soggetto identificandolo nei rapporti con la comunità civile”. L’art. 29 Cost. che fa “riferimento a una nozione di famiglia quale istituzione naturale e giuridica”, realizzando una sintesi tra varie concezioni teoriche compresenti in seno alla comunità civile”; tale sintesi tuttavia, e proprio perché tale, “secondo una corrente di pensiero sarebbe ora da respingere”, soggiungendo che si tratterebbe “di un modello che è distante da quello attuale”. Sotto il primo aspetto è stato osservato che quasi tutte le nome della Carta sono frutto di un compromesso, e ciò non costituisce un difetto ma il sintomo che sono frutto di un confronto democratico e pluralista. Sotto il secondo aspetto, che ancor oggi vi sono in tema di famiglia visioni diverse e che occorre nell’innovazione normativa trovare un “bilanciamento”.

Nella realtà è tuttora molto sentita una nozione risalente della famiglia, cioè di “quella che considera rilevante il legame affettivo e culturale con i propri ascendenti”; nonostante “nel recente passato” questo aspetto sia stato disconosciuto “o addirittura avversata dal legislatore italiano, e dalla magistratura conseguente. Va a merito della Corte EDU avere imposto un’inversione di tendenza, “così da prestare una rinnovata attenzione al profilo familiare risalente, approdando nel 2013 al riconoscimento del diritto dei nipoti a vedere i nonni e viceversa. In tale modo ristabilendosi anche giuridicamente la dimensione verticale della famiglia”.

Il cambio d’indirizzo ha attirato l’attenzione sul simmetrico aspetto del diritto del figlio a conoscere la genitorialità naturale, “nel frattempo cancellate nelle certificazioni dello stato civile”, in tal modo riproponendosi la nozione storica della famiglia, e per tanto la piccola storia di ciascuna famiglia, “che ha un passato e che si proietta nel futuro, anzitutto con il cognome familiare”.

Ciò dimostra che una certa visione tradizionale della famiglia non è, come si vorrebbe, obsoleta e da rifiutare in toto e che anzi la lettura dell’art. 29 Cost. deve consentire anche il rispetto “di una nozione familiare che tenga conto anche dell’aspetto genealogico risalente, oltre i genitori stessi, e in modo tale che questo sia conoscibile dai soggetti interessati e altresì dalla comunità circostante”.

A tal proposito merita un cenno la XIV disp. cost. trans., che concerne il “profilo storico di una data famiglia”, che conserva nel predicato cognomizzato l’aspetto immateriale del bene “feudo”, del resto già divenuto tale dal 1811.

Purtroppo permane un atteggiamento contrario alla dimensione più ampia della famiglia legittima, definita verticistica e patriarcale, nonché motivo di discriminazione per la donna. In realtà si tratta di una definizione che nasce da un semplice richiamo al diritto romano da parte della Corte di cassazione (ord. interloc. 22 settembre 2008, n. 23934), poi ripreso (acriticamente) come tale dalla Corte EDU e quindi dalla Corte costituzionale.

A più attenta lettura è possibile evidenziare che il riferimento alla famiglia patriarcale romana non è il più indicato per supportare la riferita discriminazione. “Dopo la nascita il padre sollevava il figlio da terra in un gesto simbolico di riconoscimento, attribuendogli il nome proprio (prenome)” ; sennonché, per gli effetti giuridici occorreva una documentazione adeguata. Come ben sappiamo, mater semper certa e pater nunquam, motivo per cui si è proceduto a certificare la sola paternità. Con il trascorrere del tempo, si è venuta a formare solo una linea documentata, quella paterna, e un’altra affidata soltanto alla memora, quella materna. Sembra pertanto fuori luogo richiamare in quest’occasione quale esempio emblematico la composizione della famiglia patriarcale o l’intenzione preconcetta di discriminare. Ciò non toglie che oggi sarebbe molto utile (anche in termini medici) poter documentare anche la linea materna, ma si tratta d’una operazione che riguarda il futuro, non essendo possibile farlo ora per allora.

Purtroppo, la via alternativa di rinunciare a quella patrilineare ha come risultato quello di non averne nessuna. Questo sarebbe giustificato o addirittura auspicabile per chi considera prevalente rispetto a tutti gli altri il principio di antisubordinazione di genere, che secondo una corrente di pensiero “sarebbe insito nella nostra Costituzione, come conseguenza dell’accesso delle donne ai diritti politici (1946) e all’ingresso nei luoghi della rappresentanza, fondando una democrazia duale, chiamata a riconoscere le differenze tra i sessi in modo non discriminatorio”, che impone una “ridefinizione di genere degli spazi sociali”. Si tratta di una corrente politica e di pensiero apprezzabile ma che deve tenere conto, come si è detto, anche delle altre compresenti.

Per quanto attiene in particolare il cognome, in base alla su cennata teoria si pone un uguale diritto della madre a trasmettere al figlio un segno della propria identità, in una lettura che però lo subordina rispetto a quello del figlio ad averne uno di suo. “Vale a dire che il diritto che compete (ora si deve dire “competeva”) anzitutto al figlio (al quale i genitori hanno già imposto il nome proprio), cede il posto davanti a quello della madre di trasmettere un segno della sua genitorialità”, che viene inglobato in quello del figlio “a ricevere un segno (nel cognome) della bigenitorialità, ossia paterno e materno”. Tale ragionamento tuttavia non tiene conto della circostanza che la sostituzione del cognome paterno con quello della madre o d’entrambi “non è a costo zero per il figlio, poiché oggi implica una potenziale rinuncia alla continuità genealogica rappresentata (e documentata) dalla linea patrilineare. Pertanto “si tratta di un problema più complesso e diverso rispetto a quello del divieto di discriminazione di genere tra i genitori”.

A sostegno di quanto sopra si invoca la giurisprudenza europea, ed esattamente una sentenza della Corte EDU che afferma l’esistenza d’un interesse strettamente personale “di intervenire nel processo di determinazione del cognome del neonato”. In realtà “la Corte EDU si è trovata a dover mediare nell’ampio panorama di riferimento europeo tra il principio secondo cui una nuova coppia quando si forma giuridicamente (con il matrimonio) assume o può assumere un cognome familiare – che sarebbe stato anche quello del figlio – con quello italiano dell’automatismo”. Con il risultato di proporre un rimedio all’eccessiva rigidità del sistema italiano, introducendo la possibilità che aggiunga il cognome della donna, che nell’escluderlo per principio si presenta come discriminatorio.

Tale decisione è stata utilizzata per pervenire al risultato di introdurre in Italia il criterio del doppio cognome, che però è cosa ben diversa (quasi antitetica, si direbbe) dall’aggiunzione del cognome. Si tratta comunque di una forzatura, poiché la Corte di Strasburgo “non condanna affatto” (nella parte dispositiva della sentenza) l’attribuzione del cognome paterno automatico, che anzi riconosce non contrario “di per sé con la Convenzione”, bensì censura la preconcetta chiusura al cognome materno. Ed è interessante notare che la decisione della Corte tende a un risultato diverso da quello che le è stato attribuito dal momento che “nella fattispecie interveniva per dare rilevanza al cognome della madre al fine d’evitare l’estinzione di un cognome familiare illustre (aggiungendolo a quello paterno); in ciò contribuendo a ribadire l’importanza del cognome come storia familiare” risalente.

La disputa è stata risolta dalla recente sentenza della Corte costituzionale n. 131 del 2022 (Pres. G. Amato). Essa con un’ordinanza di autorimessione, nel riallacciarsi alla sua precedente decisione (n. 286/2016; Redat. G. Amato) e alle sopra richiamate teoriche propone come soluzione il modello base seguito soltanto da alcuni paesi europei (Spagna e Portogallo): il doppio cognome.

Una soluzione che è doveroso riconoscere si presta bene a risolvere in astratto il problema della rappresentatività paritaria dei sessi ma che nella realtà presenta non pochi inconvenienti. Infatti, in assenza di correttivi, ne deriva una moltiplicazione di cognomi (il c.d. effetto Messico), che in definitiva finisce per mettere in forse la stessa ratio del cognome e della sua funzione identitaria; “tra l’altro rendendo quanto meno incerta la ricostruzione genealogica (e storica) familiare”. Per non dire che “nel secondo passaggio del cognome familiare si riproporrà il medesimo problema che apparentemente era stato risolto in quello precedente, dovendosi trasmettere (a meno di un’illogica moltiplicazione di cognomi) un solo cognome d’origine; che nel caso si tratti di quello materno, viene necessariamente a interrompere l’unica linea genealogica risalente documentata”.

Ancora meno convincenti appaiono i rimedi da più parti suggeriti sin qui, come la precedenza dei cognomi seguendo l’ordine alfabetico o “quella emblematica del sorteggio, in definitiva annullando il valore della volontà dei coniugi e dei figli medesimi!”. Spetterà al legislatore trovare una possibile soluzione.

La sentenza della Corte costituzionale, nel risolvere un problema ne apre, però un altro. La sentenza è stata acclamata come “storica”, ma non tutti attribuendo a tale vocabolo lo stesso significato. A parte le preferenze personali, bisogna riconoscere che non si è trattato del provvedimento a lungo atteso e auspicato dalla maggior parte della popolazione, come sostenuto, tanto che nell’immediato la stampa parla di un flop nell’impatto con comunità civile. Se comprovato, questo costituisce una circostanza che induce a una “rinnovata riflessione sul ruolo del legislatore e su quello del giudice costituzionale, sollevando l’annoso interrogativo su chi, tra loro, debba captare i cambiamenti in atto nella coscienza sociale”. Dal momento che la Corte si è pronunciata e che è del tutto improbabile che in un prossimo futuro “la stessa Corte ingrani la retromarcia”,  occorre partire dal dato di un nuovo diritto dei coniugi, “che è quello di influire concordemente nella scelta del cognome familiare del figlio, che da ora in poi non ha un suo cognome familiare, ma quello doppio o unico concordemente combinato dai genitori”. Spetta a questi ultimi il compito di conservare o meno una tradizione secolare e al legislatore di trovare un bilanciamento possibile. In conclusione, nell’applicazione pratica, come ha detto un altro Presidente della Corte nel commentare l’attuale decisione, non rimane che affidarsi al Legislatore e al buon senso dei cittadini.

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