Il libro verrà presentato mercoledì 22 maggio 2024, dopo la celebrazione della Santa Messa mensile della Delegazione di Roma e Città del Vaticano del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio alle ore 18.30 presso la Basilica Magistrale di Santa Croce al Flaminio in Roma.
“Il Gran Maestro” (Aracne 2024, 192 pagine) di Maurizio Modugno [QUI].
Di seguito riportiamo il Sommario, la Prefazione, l’Introduzione, l’Indice e il testo dalla controcopertina.
Sommario
«La storia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio ha il suo punto di maggiore definizione istituzionale e di massimo splendore onorifico negli anni del Regno di Ferdinando IV di Borbone delle Due Sicilie. I tre lustri centrali di quel Regno, dal 1799 al 1815, furono sconvolti dall’irrompere in Italia di una sequenza di onde d’urto propagatesi dall’epicentro parigino della presa della Bastiglia e della Rivoluzione Francese».
Prefazione
di S.A.R. il Principe Don Pedro di Borbone delle Due Sicilie e Orléans, Duca di Calabria, Conte di Caserta, Capo della Real Casa delle Due Sicilie, Gran Maestro del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio
È con vivo compiacimento che scrivo questa Prefazione al libro del confratello e cappellano di merito dell’Ordine, don Maurizio Modugno, già autore di diverse opere saggistiche e storiografiche e soprattutto del volume Il vitello rampante, una storia della sua famiglia nella quale l’Ordine Costantiniano ha avuto una parte fondamentale.
Il nuovo libro ha per titolo Il Gran Maestro e mette direttamente a fuoco la storia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio nel suo punto di maggior definizione istituzionale e di massimo splendore onorifico, ossia il Regno di Ferdinando IV di Borbone-Due Sicilie.
I quindici anni centrali di quel Regno, dal 1799 al 1815, furono sconvolti dall’irrompere in Italia delle onde d’urto partite dall’epicentro parigino della presa della Bastiglia, dall’affermazione delle Repubbliche franco-italiane prima, dell’Impero napoleonico e dei suoi satelliti poi.
Il restauro e la corretta ripresa dei dati storici, mettono all’attenzione in questo originale libro l’assetto istituzionale, cerimoniale e sociale del Regno di Napoli tra Settecento e Ottocento, disegnandovi un nuovo ritratto a figura intera di Ferdinando IV: che lo svela in tutto il suo coraggio, in tutta la sua resilienza ai danteschi “colpi di ventura”, in tutto il suo amore al popolo come alla famiglia come ai suoi ordini cavallereschi. Il Sacro Militare Ordine Costantiniano ha nel presente volume uno spazio protagonistico, sia nella risalita alle origini, sia nella percezione che di esso si aveva nell’epoca trattata, sia nella esatta determinazione dell’ininterrotta successione iure sanguinis del suo Gran Magistero, sia nella sua indomita vitalità anche negli anni del trasferimento della Corte a Palermo. Credo essenziale ricordare che essere cavalieri costantiniani oggi, non può prescindere dalla ricerca, dalla conoscenza e dal profondo collegamento con le nostre radici più antiche ed illustri, con l’eccezionale lezione morale che da Costantino Magno agli Angelo Comneno, dai Farnese ai Borbone, in modo sempre limpidissimo promana dalle vicende e dalle persone di quella che per tutti è stata e deve continuare ad essere un’aurea ed inclita religione cavalleresca.
Esprimo pertanto all’autore tutto il mio apprezzamento per questa sua fatica, formulando voti di pieno successo ad una pubblicazione, ricca anche di una magnifica iconografia, che credo costituisca un passo importante nella piena conoscenza e nella inoppugnabile continuità del Sacro Militare Ordine Costantiniano.
Pedro de Borbon-Dos Sicilias Duca di Calabria Gran Maestro
Introduzione
“Avvegna ch’io mi senta ben tetragono ai colpi di ventura”
(Dante, Par. XVII, vv. 19-24)
Dalle numerose e pur documentate retrospezioni edite sulla storia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, non viene alla luce alcuna specifica attenzione al periodo compreso nel Regno e nel Gran Magistero di Ferdinando IV di Borbone ed incorniciato tra la Rivoluzione Francese del 1789 e la Restaurazione del 1815. In realtà nel Regno di Napoli il sommovimento giacobino era divenuto effettivamente operativo a partire dal 1799, ossia dall’arrivo in città del generale Championnet e dall’instaurazione della Repubblica Partenopea. Si tratta, a ben vedere, di poco più del cosiddetto “Decennio Francese”, tempo in cui quella che Napoleone Bonaparte aveva proclamato esser la fine della Casa dei Borbone di Napoli e la sua sostituzione con un prince de ma Maison, aveva altresì dato luogo all’esplicita soppressione ed eversione degli Ordini cavallereschi afferenti alla spodestata Corona ferdinandea ed alla creazione di Ordini e Decorazione istituiti ex novo, onde premiare chi si fosse distinto nelle battaglie per la vittoria della monarchia di Joseph Bonaparte prima, di Joaquim Murat poi.
Com’è noto la spes finis dei Bonaparte verso i Borbone non avrà gli esiti da quelli auspicati. Ferdinando IV riprenderà il trono il 7 giugno del 1815, presto come Ferdinando I, Re delle Due Sicilie. L’Ordine Costantiniano sopravviverà dantescamente “tetragono ai colpi di ventura”, vuoi per l’ininterrotta attività vicaria della Deputazione palermitana presso la Chiesa della Magione, vuoi per quanti a Napoli o in Puglia o in Calabria o negli Abbruzzi avevano mantenuto – dum tacebant clamantes – il loro attaccamento e la loro fedeltà all’Ordine e al suo Gran Maestro.
L’analisi istituzionale, storica e cavalleresca di tal Regno in tale tempestosa congiuntura, è stata qui condotta magnum laborem exercens, ossia con la difficoltà che sempre deriva dalla novità di documenti mai da alcuno studiati e dalla necessità di arguire il dove e il quando di situazioni e persone. Più d’altre volte abbiamo dedicato spazio e attenzione al contesto – statuale e antropologico – offerto dalla storia e dalla società del tempo: senza i quali sarebbe stato impossibile comprendere le ragioni dinastiche e politiche, internazionali e locali, che furono alle spalle degli eventi.
Un rilievo particolare, se non protagonistico, abbiamo voluto conferire ad un “ritratto autentico” di Ferdinando IV, Re di Napoli e di Sicilia o poi delle Due Sicilie e Gran Maestro dell’Ordine. Ritratto che da fonti di primissima mano (diari, corrispondenza, giornali, documenti) appare essenziale non solo ad ogni storia dell’“aurea religione costantiniana”, ma anche ad una storia imparziale del Regno del maggior Borbone italiano. Come ha scritto Eugenio Di Rienzo, “Ferdinando IV [fu] un monarca la cui personalità venne sistematicamente distorta e avvilita nei giudizi dei contemporanei e della successiva storiografia fino ai giorni nostri”. Altro da queste fu il Re, altro l’uomo. Si “impone di rivedere a fondo lo stereotipo secondo cui le sorti del Regno napoletano fossero affidate nelle mani della volitiva regina consorte, l’austriaca Maria Carolina d’Asburgo-Lorena e del filoinglese Segretario di Stato, John Francis Edward Acton. Sotto la maschera […] del Re lazzarone e fannullone che ci è stata tramandata, il sovrano celava una volontà decisionista e centralizzatrice di ferro e ben attenta a difendere le sue prerogative in modo da reggere in esclusiva il timone della politica del suo Stato”. Appassionato sia verso il mare, sia verso la terra (la caccia ne era solo il coté visuel), strenuo lavoratore (tra le quattro e le cinque del mattino era già alla scrivania), religioso non per apparenza, lettore infaticabile, musicista dilettante d’ottimo gusto, non si piegò mai ad alcuno se non alla forza preponderante d’armi nemiche e amiche. Amò il suo popolo in modo forse unico nella storia del Regno di Napoli. Con una attenzione strenua ai propri ordini cavallereschi che ben ne sapeva le valenze di meritocrazia e di prestigio, di continuità dinastica e di decentramento onorifico. Sì che, pur nel compte-rendu talora incalzante d’eventi politici e bellici, uno spazio ricorrente di premura i pronunciamenti del Re e la nostra narrazione all’Ordine sempre riservano.
La ricostruzione degli avvenimenti storici qui operata è basata su fonti obbiettive e senza sforzo ha condotto ad una integrale demitizzazione sia di vantate purezze rivoluzionarie, altrui o nostrane, sia d’una ipotetica “civilizzazione” recata dai Francesi al Regno di Napoli, sia infine d’un odio popolare verso i Borbone invero mai esistito. Ed invece palese nell’epistolario, nei pubblici asserti, nel pensiero di Napoleone e dei suoi. Per conservarne l’affilatura verbale assai tagliente e senz’altro peculiare, abbiamo lasciato in francese la corrispondenza e i proclami dei Bonaparte. La Restaurazione e l’esplicita volontà del Congresso di Vienna di riportare Ferdinando IV sul trono di Napoli, mostreranno – al suo ritorno nella Partenope – quanto il re fosse a sua volta amato da quel popolo i cui sentimenti verso la Corona muteranno ben dopo la sua morte.
Non può celarsi l’intimo e inevitabile legame fra questo attuale studio e il nostro precedente romanzo storico Il vitello rampante (Aracne, Roma, 2021): il tempo, alcune vicende, numerose deduzioni, taluni documenti emblematici, sono forzosamente coincidenti. Tuttavia quel romanzo aveva una dimensione squisitamente privata e familiare, mentre le pagine che seguono respirano il grande spazio della storia pubblica d’un Regno e di un’istituzione cavalleresca.
Non crediamo di aver ricostruito la totalità di un arazzo che in larghe zone ha subito gli irreparabili logoramenti del tempo e delle intemperie: tuttavia una miglior leggibilità d’alcuni tratti della storia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio e del suo Gran Maestro è forse ora possibile.
Roma, Natale 2023
M.M.
Indice
Prefazione di Don Pedro di Borbone delle Due Sicilie e Orléans
Introduzione
Ringraziamenti
Capitolo I. La più magnifica corte d’Europa
Capitolo II. Calendario e notiziario della corte
Capitolo III. I cavalieri dell’imperatore
Capitolo IV. Magnus Magister
Capitolo V. Napoli, chi resta e chi parte§
Capitolo VI. La Reggia del destino
Capitolo VII. Il Re è partito, viva il Re! (o quasi)
Capitolo VIII. Antichi e nuovi onori
Capitolo IX. Gennaio 1812
Capitolo X. Il dolor di Trinacria e la felicità di Partenope
Capitolo XI. Incendi e focolai, presenti e futuri
Capitolo XII. Altri Ordini del Regno delle Due Sicilie (Appendice)
Bibliografia
Indice dei nomi
Dalla controcopertina
«Allo scadere d’agosto i giornali di Napoli annunciavano che il 7 settembre, ad un anno dalla morte, si celebreranno nella Basilica di San Paolo Maggiore i solenni funerali della Regina Maria Carolina d’Austria. “La chiesa è nobilmente e sontuosamente coverta a bruno, seminato di croci e stelle d’oro con disegno veramente Reale. La camera sepolcrale non puole idearsi né più magnifica, né meglio eseguita, il concerto è stato grande, l’orazione funebre è stata recitata da Mons. Pinto Arcivescovo di Salerno, la musica del Paisiello; cinque assoluzioni sono date da cinque Vescovi, l’ultima dal nostro Arcivescovo. È stato notato che alcune dame brillanti si sono presentate vestite di bianco in grande gala e penne e si sono condannati i signori che stavano a riceverle per averle ammesse, mentre dovevano congedarle, dicendo loro che si andava ad un funerale e non ad un ballo”. Peraltro il re Ferdinando che, certo con qualche emozione, presenziava alla cerimonia, allo stato delle cose non era più “un vedovo”. Cinquanta giorni dopo la morte di Maria Carolina, ossia il 27 novembre 1814, Sua Maestà aveva impalmato nella sfolgorante Cappella Palatina di Palermo, – con speciale dispensa arcivescovile e in forma morganatica – donna Lucia Migliaccio, duchessa di Floridia, a sua volta vedova del principe Benedetto Grifeo di Partanna. Nata nel 1770, era considerata una delle donne più avvenenti di Sicilia e forse del Regno: aveva avuto nove figli, dei quali da tempo si mormorava esser l’ultimogenita, la duchessa Marianna, frutto dalla relazione con Ferdinando, in corso già dal 1808. Non era solo la sensuale bellezza della “Floridiana” che aveva incantato il Re: ella aveva un carattere docile e conciliante, ma sempre straordinariamente avvertito di ciò che il suo ruolo di consorte non-regina le consentiva. Col tempo riuscirà anche a conquistarsi la stima e forse l’affetto dei figli di Ferdinando, dei quali all’inizio Francesco le era particolarmente ostile. Marie-Henriette Prévost de la Boutellière, baronessa du Montet, dopo averla incontrata a Vienna in occasione d’una riunione della Santa Alleanza nel 1822, scriverà di lei nei suoi celebri Souvenirs: “La duchessa di Floridia se ne sta un po’ appartata. È una donna minuta ancora bella e molto ben conservata, ben in carne e bruna. Mostra un infinito tatto nelle sue relazioni in pubblico con il Re e la famiglia imperiale, non essendo mai al di sotto della dignità di moglie del Re senza titolo di Regina”. E sembra che sovente, dopo il ritorno a Napoli, Ferdinando andasse ripetendo: “Ho una moglie che mi lascia fare quello che voglio e un Ministro [Luigi de’ Medici) che mi lascia poco da fare!”».