Il Pontificale di San Giorgio 2024 in Napoli

Il solenne Pontificale di San Giorgio Martire del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio quest’anno sarà celebrato sabato 20 aprile 2024 alle ore 11.00 presso la Reale Pontificia Basilica di San Francesco di Paola in Napoli.
Basilica

Celebrerà S.Em.R. il Signor Cardinale Dominique Mamberti, Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, Balì Gran Croce di Giustizia, alla presenza del Gran Maestro S.A.R. il Principe Don Pedro di Borbone delle Due Sicilie e Orléans, Duca di Calabria, Conte di Caserta, Capo della Real Casa delle Due Sicilie, e del Gran Prefetto, S.A.R. il Principe Don Jaime di Borbone delle Due Sicilie e Landaluce, Duca di Noto.

Al termine del Sacro Rito, il Gran Maestro procederà alla cerimonia di rimessa dei diplomi di nomina e promozione dei Postulanti, Cavalieri e Dame.

Alla Celebrazione Eucaristica seguirà alle ore 13.00 una Colazione presso il Circolo Nazionale dell’Unione (Teatro San Carlo), un momento conviviale alla presenza delle LL.AA.RR. e delle Alte cariche della Real Commissione per l’Italia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio.

La Reale Pontificia Basilica
di San Francesco di Paola

La basilica sorge nello spazio architettonico di piazza del Plebiscito nel centro storico di Napoli.

La sua ampia facciata principale si apre con un poderoso colonnato, raggiungendo a destra il Palazzo della Prefettura e a sinistra il Palazzo Salerno. È protetta alle sue spalle dai distretti dei Quartieri Spagnoli, Egiziaca e Monte di Dio sotto Pizzofalcone. Assieme alla chiesa di San Giacomo degli Spagnoli, è la seconda basilica minore nel circondario delle insule di Largo di Palazzo e dei Fiorentini.

La basilica è officiata dai frati dell’Ordine dei Minimi di San Francesco di Paola, un ordine mendicante di diritto pontificio sorto nel XV secolo come frutto della vita penitente e gioiosa di San Francesco di Paola. Si caratterizza per la spiritualità penitenziale vissuta dei suoi membri attraverso l’osservanza di un quarto voto di vita quaresimale. Con il suo stile di vita, il fondatore attrasse a sé quanti volevano servire Dio in semplicità di cuore e nel rinnovamento continuo della propria vita. I frati minimi si dedicano particolarmente alla predicazione e al ministero della riconciliazione.

La basilica è considerata uno dei più importanti esempi di architettura neoclassica in Italia, ma soprattutto è la chiesa simbolo dell’avvenuta restaurazione borbonica della Città di Napoli, “ex voto” fatto dal Re Ferdinando I delle Due Sicilie a San Francesco di Paola, al quale fu attribuita la “cacciata miracolosa dei Francesi di Gioacchino Murat”.

È la prima chiesa napoletana ad aver avuto l’altare rovescio, per privilegio concesso da Papa Gregorio XVI, a somiglianza delle sette basiliche romane della Suburbicarie. Di forma circolare, l’impianto architettonico rappresenta la massima espressione dell’impiego del codice neoclassico napoletano, costruita per concorso indetto dal Re sul modello del Pantheon di Roma.

Ripensata come evidente espressione della città laica e borghese, si presenta con pronao esastilo e timpano, dal quale spunta la statua della Religione di Heinrich Konrad Schweickle; a destra del pronao San Luigi Re di Francia del medesimo scultore e all’estrema sinistra la Statua di San Francesco di Paola opera di Giuseppe del Nero.

Il pronao è formato da dieci colonne ioniche di marmo di Carrara, della stessa sostanza dei quindici scalini per cui vi si accede. Due portici di cava basaltina di Pozzuoli sorretti da quarantaquattro colonne che affondano nella pietra vesuviana a terra, si aprono ampi, formando due quadranti semiellittici, correndo simmetrici da angolo ad angolo dell’asse maggiore che divide tutta la piazza, impaginati e svolti in atto di chiudere il primo confine circolare dell’invaso sul quale trovano posto edifici di architettura affine tra loro, la Foresteria a sinistra ed il palazzo del Principe di Salerno a destra.

Nei sei scompartimenti di cui è divisa la porta al centro dell’emiciclo sono raccontati: l’inaugurazione del Tempio da parte di Ferdinando II, la Croce, lo stemma di San Francesco di Paola e due fatti della sua vita. Dal pronao si accede al vestibolo, che immette alle due cappelle laterali, due congreghe con altari stratificati sotto le cupole e sul fondo di entrambe un coro a esedra preceduto da vano rettangolare con volta a botte.

In cima ai due fronti del portico prospettanti la collina di Pizzofalcone e la salita del Gigante regna la gigantesca cupola rivestita nel tamburo da grandi massi di pietra calcarea estratta dalle cave del monte di Gaeta, affiancata da altre due cupolette a copertura delle sottostanti congregazioni. Da dentro, la cupola è sorretta da trentaquattro colonne di ordine corinzio in marmo venato di Mondragone. Allineate in direzione della cupola medesima, esposte sul ciglio dell’attico sorgono sei statue, indicando le Virtù Teologali e Cardinali stanno.

Al di là del vestibolo si accede al grandioso tempio circolare. Trentadue colonne di marmo di Mondragone con capitelli corinzi decorati con il giglio borbonico conferiscono alla cupola che insedia lo spazio in funzione di volta la simmetria sui disegni geometrici del pavimento in marmi policromi. Il percorso della calotta s’interrompe all’altezza dell’altare maggiore prendendo forma di piccolo ballatoio rettangolare sospeso da quattro angeli cariatidi di legno similoro. Tutt’intorno i fregi, i festoni e le ghirlande e l’esclusiva dei confessionali in marmo e legno incassati nelle pareti laterali di ogni cappella. Sull’altare maggiore si trova la tela di Vincenzo Camuccini ritraente San Francesco di Paola che resuscita il giovane Alessandro.

La basilica sorge su un’area rimasta periferia fino al periodo del viceregno presentandosi come un ammasso di preesistenze installate malamente tra giardini e altre chiese e altri monasteri. L’arrivo di Gioacchino Murat a Napoli coincise con l’inizio di un progetto di riassetto urbanistico della città: in particolare, questo interessò quella zona periferica, che diventerà in seguito piazza del Plebiscito, sede di numerosi conventi e giardini, nonché luogo frequentato da malviventi. Il generale francese ordinò quindi l’abbattimento di tutti gli edifici e la costruzione di una piazza che avrebbe dovuto prendere il nome di Gran Foro Gioacchino in suo onore. Tra i progetti presentati venne scelto dal Consiglio degli Edifici Civili, in assenso con l’architetto di Casa Reale Antonio De Simone, quello di Leopoldo Laperuta, il quale proponeva l’edificazione di un porticato con al centro un’aula circolare da utilizzare come sede di assemblee popolari.

I lavori iniziarono nel 1809, tuttavia non vennero mai portati a compimento per via della cacciata di Murat da Napoli e della restaurazione della corona borbonica. Come voto nei confronti dell’intercessione di San Francesco di Paola affinché ritornasse sul trono, Re Ferdinando I decise la costruzione di una chiesa al centro del costruendo porticato. La prima pietra venne posta il 17 giugno 1816, la facciata fu terminata nel 1824, le decorazioni interne nel 1836, mentre le statue furono poste nel 1839. Tutta l’opera venne portata a compimento solo nel 1846.

Il Circolo Nazionale dell’Unione

Il Circolo Nazionale dell’Unione di Napoli è ospitato negli spazi adiacenti alla Reggia e al Teatro San Carlo. Tali ambienti erano stati creati ad uso della Corte Borbonica dall’architetto Antonio Nicolini allorché questi, per volere del Re Ferdinando I, riedificò il Teatro distrutto dall’incendio del 13 febbraio 1816.

Insediatosi sul trono, Re Francesco I di Borbone concesse le sale ad una Associazione denominata «Accademia delle Dame e dei Cavalieri» con un decreto mediante il quale le stesse vennero destinate a riunioni a scopo di svago, festeggiamenti oltre che, specialmente, alla pratica dei doveri di ospitalità nei riguardi di Italiani e stranieri di rango che fossero di passaggio per Napoli.

La caduta della dinastia dei Borbone coincise con la fine delle attività e quella sede restò per qualche tempo inoccupata fino alla concessione dei suoi spazi al Casino dell’Unione. Con deliberazione delle rispettive Assemblee in data 21 e 27 aprile 1947, il Casino dell’Unione ed il Circolo Nazionale procedettero alla loro fusione dando luogo all’attuale denominazione di Circolo Nazionale dell’Unione. Per il suo prestigio e per le sue tradizioni, su richiesta delle massime autorità istituzionali, il Circolo ha sempre messo a disposizione le proprie strutture contribuendo allo svolgersi di solenni eventi della vita cittadina. Annoverando tra i suoi soci, sovente e quasi di regola, i vertici della Pubblica Amministrazione, delle Arti, delle Scienze e delle Professioni della Regione, il Circolo ha finito col diventare uno dei luoghi simbolo e di rappresentanza ufficiale della Città di Napoli. Un ruolo, questo, che si è inteso perpetuare, ed ulteriormente irrobustire, attraverso eventi di varia natura quali conferenze, dibattiti, simposi, riunioni conviviali, mostre, esposizioni, concerti e qualsiasi altra iniziativa possa continuare a fare identificare il Circolo come luogo di incontro, confronto, formazione critica e attenzione nei riguardi della dimensione pluralistica delle sue espressioni.

San Giorgio Megalomartire
Patrono e protettore
dell’Ordine Costantiniano

San Giorgio (Cappadocia, oggi in Turchia, 275-285 circa – Lidda o Nicodemia in Palestina, oggi Lod presso Tel Aviv in Israele, 23 aprile 303), è venerato da tutte le Chiese Cristiane che ammettono il culto dei santi, da Oriente ad Occidente fin dall’antichità, almeno dal IV secolo, megalomartire (dal greco μεγαλομάρτυς, grande martire) nel tempo di Diocleziano. Riposa nel santuario a lui dedicato a Lod e la sua memoria liturgica è celebrata il 23 aprile nei riti romano, ambrosiano, siro e bizantino. Pochi santi possono vantare un culto così diffuso con tanta venerazione popolare. Lo testimoniano anche le innumerevoli chiese a lui dedicate e i tanti Paesi e Regioni del mondo di cui è il patrono.

Celebrato come patrono dei Cavalieri e della Cavalleria, vari Ordini cavallereschi portano il suo nome e i suoi simboli, fra cui l’Ordine di San Giorgio detto “della Giarrettiera”, l’Ordine Teutonico, l’Ordine Militare di Calatrava d’Aragona e il Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio. Per i Cavalieri, le Dame e i Postulanti Costantiniani, mai come in questo nostro tempo, in cui troppi Cristiani si vergognano della loro fede o dimenticano Cristo o Lo tradiscono, è attuale il coraggio e la fede del loro celeste patrono e protettore.

Le poche notizie pervenute su San Giorgio si trovano nella Passio Georgii, classificato dal Decretum Gelasianum del 496 tra le opere apocrife. Fu tradotta dal greco in latino, copto, armeno, etiopico, arabo, ad uso delle liturgie riservate ai santi. Da essa possono essere desunti i dati storicamente plausibili, essenzialmente la sua appartenenza alla classe militare e la sua condanna a morte per essersi dichiarato Cristiano, quando l’Imperatore Diocleziano (243-313) con l’editto di Nicomedia del 303 prese a perseguitare i Cristiani in tutto l’Impero.

Secondo il racconto della Legenda Aurea di Jacopo da Varagine († 1293), che tanto ha influenzato l’ispirazione figurativa degli artisti successivi e il culto popolare, la tradizione raffigura San Giorgio come un cavaliere che presso la città di Silene in Libia affronta un drago, emblema della ragione che vince sulla bestialità e della fede intrepida che trionfa sulla forza del maligno. Un esempio ne è il quadro riprodotto qui sopra, San Giorgio e il drago di Paolo Uccello, olio su tela di 57×73 cm, datato 1460 circa, conservato presso la National Gallery di Londra. L’opera ritrae il cavaliere San Giorgio mentre dall’alto del suo cavallo con la sua lancia sta trafiggendo lo spaventoso drago a difesa della principessa. Lo sfondo è composto dalla grotta dove il drago ha il suo antro e di un sereno paesaggio con un turbine di nuvole sopra San Giorgio, a simboleggiare il suo vigore guerriero. Dopo aver ferito il drago, San Giorgio invita la principessa a legarlo senza timore con la sua cintura perché la segua in città «come una mansuetissima cagna». Gli abitanti erano atterriti nel vedere il drago avvicinarsi, ma Giorgio li rassicurò: «Non abbiate timore, Iddio mi ha mandato a voi per liberarvi dal drago. Abbracciate la fede in Cristo, ricevete il battesimo e ucciderò il mostro». Allora il re e la popolazione si convertirono e San Giorgio uccise il drago.

Preghiera a San Giorgio Megalomartire

O glorioso San Giorgio,
che sacrificaste il sangue e la vita
per confessare la fede,
otteneteci dal Signore la grazia
di essere disposti a soffrire per amor suo
qualunque affronto e qualunque tormento,
anzi che perdere una sola delle cristiane virtù;
fate che, in mancanza di carnefici,
sappiamo da noi stessi mortificare la nostra carne
con esercizi di penitenza,
affinché morendo volontariamente
al mondo e a noi medesimi,
meritiamo di vivere in Dio in questa vita,
per essere poi con Dio per i secoli in eterno.
Amen.

Il programma del Gran Maestro
a margine del Pontificale

Il giorno prima del Pontificale, venerdì 19 aprile 2024 alle ore 17.30 il Gran Maestro S.A.R. Don Pedro di Borbone delle Due Sicilie e Orléans, Duca di Calabria, Conte di Caserta, Capo della Real Casa delle Due Sicilie, visiterà l’Abazia di Sant’Antonio Abate, accompagnato dal Gran Cancelliere S.E. l’Ambasciatore Don Carlos Bárcena y Portolés, Balì Gran Croce di Giustizia decorato con il Collare, e da S.Em.R. il Signor Cardinale Dominique Mamberti, Balì Gran Croce di Giustizia, Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, Membro del Consiglio Ecclesiastico della Real Commissione per Italia.

Il Gran Maestro verrà accolto dal Parroco Don Mario D’Orlando e dalle Alte cariche della Real Commissione per l’Italia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, guidati dal Presidente S.E. il Principe Don Flavio Borghese, dei Principi di Sulmona e di Montecompatri, Cavaliere Gran Croce di Giustizia, e il Delegato per Napoli e Campania, Nob. Manuel de Goyzueta di Toverena, dei Marchesi di Toverena e di Trentinara, Cavaliere Gran Croce di Giustizia.

La chiesa di Sant’Antonio Abate, antica commenda Costantiniana, in via Foria a Napoli, all’inizio del borgo omonimo di Napoli, vicina a piazza Carol III, è stata riaperta recentemente, dopo diversi anni di restauro degli interni, con la facciata tornata al suo antico splendore grazie ai fondi europei.

La storia delle origini dell’abbazia di Sant’Antonio Abate è caratterizzata da una inspiegabile scarsità di notizie. Nel 1905 Benedetto Croce, notata questa enorme lacuna, invia nell’abbazia un cronista per descriverne dettagliatamente la struttura e le opere artistiche in essa contenute, per poi riportarle nella rivista culturale Napoli Nobilissima. Oltre a questa preziosissima testimonianza, scarsissime sono le fonti a disposizione: un diploma del Re Roberto d’Angiò del marzo 1313, un breve di Papa Pio IX, un accenno nella Guida Sacra di Galante e due litografie, di cui una a colori risalente al 1890, l’altra del pittore francese Remond del XVIII secolo. La leggenda narra che la chiesa, posta all’origine del borgo omonimo, sia stata fondata per volere della Regina Giovanna I d’Angiò. Tuttavia, un diploma del Re Roberto d’Angiò dimostra, che già nel marzo del 1313 esistevano chiesa ed ospedale, e che in questo luogo venivano curati gli infermi del morbo detto “fuoco sacro” o anche Fuoco di Sant’Antonio, con un prodotto ricavato dal grasso di maiale. Molto probabilmente il complesso originario risaliva alla fine del XIII secolo, ma fu ampliato e in alcune parti ricostruito nell’ambito di un vasto programma di edilizia religiosa e assistenziale voluto nel 1370 dalla Regina Giovanna I. Fatto che ebbe enorme valore ai fini dell’urbanizzazione del borgo e dell’omonima strada la quale, attraverso Porta Capuana, rappresentava la principale via d’accesso alla città. Verso la fine del Trecento, quindi, il complesso era già costituito dalla chiesa, dall’ospedale e dal convento, ed era tenuto dai Monaci Ospedalieri Antoniani, i quali preparavano la sacra tintura che veniva usata per curare l’herpes zoster. Tra i Napoletani si diffuse così l’abitudine di allevare maialini per donarli al monastero. L’usanza durò fino al 1665 quando, durante una processione, un maialino si intrufolò tra le gambe del vescovo il quale, infuriato, dichiarò illegale l’allevamento cittadino dei maiali.

Un primo rimaneggiamento è databile 1370, il seguente fu quello del XVII secolo che ha cancellato parte della struttura originaria. Per volere dell’Arcivescovo Cardinale Antonino Sersale, la struttura subì un rimodernamento nel 1779. Il complesso originario poteva vantare ben quattro stabili. Oltre alla chiesa vi erano, il lazzaretto, il convento, la torre col campanile, un cortile e una vigna che si estendeva per tutto il circondario. La crescente urbanizzazione, l’aumento demografico e la crisi degli alloggi portarono un profondo e radicale cambiamento nella zona tra San Carlo all’Arena, via Foria e l’Arenaccia. La vecchia strada detta “del campo” che univa piazza Carlo III con la stazione fu completamente rifatta negli anni del Risanamento, e grossi cambiamenti avvennero anche nel borgo di Sant’Antonio Abate. L’allargamento della strada portò all’abbattimento di un lato della chiesa; i nuovi palazzi costruiti in via Foria vennero sovrapposti all’antico convento antoniano e le vecchie celle dei monaci e le stanze dei poveri ammalati di herpes vennero occupate abusivamente da altri poveracci sfrattati da un giorno all’altro per l’avvento dei lavori del risanamento.

A partire dal XVII secolo il fenomeno dell’accorpamento degli ospedali gestiti dai vari ordini e il miglioramento delle condizioni igieniche in Europa (che portarono alla scomparsa delle grandi epidemie che avevano flagellato il vecchio continente nei secoli precedenti), fecero venir meno la stessa ragione d’esistere degli Antoniani, sempre più divisi da dispute e conflittualità interne. Così nel 1774, due anni prima della soppressione dell’Ordine, venne decisa dal Capitolo Generale degli Antoniani l’unione con l’Ordine di Malta, che si prefiggeva anch’esso, fra i suoi scopi, l’assistenza e la cura dei pellegrini. Il 17 dicembre 1776 Papa Pio VI con la bolla Rerum humanarum conditio sancì definitivamente l’abolizione dell’Ordine Antoniano i cui beni passarono in gran parte al Sovrano Militare Ordine di Malta e, nel Regno di Napoli, al Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio.

Il giorno del Pontificale, sabato 20 aprile 2024 alle ore 16.30 in Gran Maestro visiterà l’Ospedale Santobono-Pausilipon. Un anno fa, il Real Circolo Francesco II di Borbone e il CIS-Corpo Internazionale di Soccorso OdV, con il sostegno della Real Commissione per l’Italia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio e dell’Archivio di Stato di Napoli, hanno organizzato una raccolta fondi per contribuire alla realizzazione del primo Centro Ustioni Pediatrico del Sud Italia, in accordo con l’Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale Santobono-Pausilipon [QUI].

Il giorno successivo al Pontificale, domenica 21 aprile 2024 alle ore 10.30 presso il Real Monte ed Arciconfraternita di San Giuseppe dell’Opera di Vestire i Nudi, Cappella Magistrale del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio in Napoli, verrà celebrata una solenne Santa Messa in latino, presieduta dal Cappellano Capo della Delegazione di Napoli e Campania, Fra’ Sergio Galdi d’Aragona, OFM, Cappellano di Giustizia, Commissario Generale di Terra Santa in Napoli, alla presenza del Gran Maestro S.A.R. Don Pedro di Borbone delle Due Sicilie e Orléans, Duca di Calabria, Conte di Caserta, Capo della Real Casa delle Due Sicilie; del Gran Prefetto S.A.R. Don Jaime di Borbone delle Due Sicilie e Landaluce, Duca di Noto, delle Alte cariche della Real Commissione per l’Italia, del Delegato e il Consiglio della Delegazione di Napoli e Campania.

L’animazione liturgica sarà curata dalla Corale di San Giuseppe dei Nudi.

A seguire un buffet nel hortus conclusus, il giardino settecentesco accanto alla chiesa.

Come in occasione della precedente visita del Gran Maestro, esattamente un anno fa, verrà eseguita anche la versione originale del 1787 dell’Inno del Re, scritto e musicato da Giovanni Paisiello, Maestro di musica della Cappella di San Giuseppe, genio musicale delle Due Sicilie, su commissione di Re Ferdinando IV di Napoli. Dal 1816 è l’Inno nazionale del Regno delle Due Sicilie:

Iddio conservi il Re
per lunga e lunga età
come nel cor ci sta
viva Fernando il Re!

Iddio lo serbi al duplice
trono dei Padri suoi
Iddio lo serbi a noi!
viva Fernando il Re!

Dalle parole della composizione si evince con certezza che il testo è stato scritto prima del 12 dicembre 1816, quando Re Ferdinando unificò nella sua persona il Regno di Napoli (come Re Ferdinando IV) e il Regno di Sicilia (come Re Ferdinando III), assumendo il nome di Ferdinando I delle Due Sicilie. L’espressione “Iddio lo serbi al duplice trono dei Padri suoi” ne è la conferma, in quanto prima i due regni erano realtà assestanti, con leggi e tradizioni diverse, accomunate dall’obbedienza alla stessa dinastia regnante.

Il componimento non avendo un testo ufficiale nella sua prima versione, venne più volte sottoposto ad alcune modifiche nel corso del tempo. Basti pensare che il nome del monarca veniva cambiato ad ogni avvicendamento al trono e il “Fernando” del testo definitivo fa riferimento, per l’appunto, a Re Ferdinando. La versione che ancora oggi è possibile ascoltare venne ritrovata nel 1996 in una libreria antiquaria e donata alla biblioteca del Conservatorio di Napoli San Pietro a Majella. La partitura faceva parte di un fondo di spartiti appartenenti alla famiglia del Principe Folco Ruffo di Palazzolo, Ambasciatore dei Borbone a Torino e in Svizzera.

Con decreto del 18 novembre 2019, il Gran Maestro ha eretto la chiesa di San Giuseppe dell’Opera di Vestire i Nudi a Cappella Magistrale del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio e l’ha indicata quindi come sede istituzionale dell’Ordine in Napoli.

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