La Santa Messa mensile
La Celebrazione Eucaristica è stata presieduta dal Padre Vincenzo Tristaino, C.S.I., nella Cappella dei Banchieri e dei Mercanti, luogo di rara bellezza nel cuore storico del capoluogo piemontese.
Commentando il brano del Vangelo secondo Giovanni (Gv 2, 13 – 25), che la Chiesa propone per la III Domenica di Quaresima, Padre Vincenzo Tristiano, religioso della Congregazione di San Giuseppe (Giuseppini del Murialdo), si è soffermato su quello che ha definito gesto di profonda “contestazione”, compiuto da Gesù nel Tempio. Si tratta di un gesto che – se ci si sofferma al solo significato letterale del racconto – risulta incomprensibile. Infatti, per le esigenze del culto, che richiedevano la presenza di animali da offrire in sacrificio, era qualcosa di “normale” e necessario. La reazione del Maestro, che scaccia i mercanti e gli animali dal Tempio, vuole significare che è finito il tempo dell’offerta di animali, poiché è giunta l’ora dell’unico sacrificio: quello di Cristo sulla Croce.
Andando più in profondità nel messaggio del Vangelo giovanneo, Padre Tristaino ha invitato i Cavalieri Costantiniani ad imparare una verità profonda: il Tempio del Signore è Cristo stesso e – come ricorda l’Apostolo Paolo – attraverso la sua opera di redenzione, ogni uomo lo è. Infatti: «Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?» (1Cor 3,16).
Alla luce di questo insegnamento, ecco che il gesto di Gesù all’interno del Tempio di Gerusalemme diviene monito a fare pulizia nel “nostro tempio”, in noi stessi. Odio, rancore, violenza sono tutte “mercanzie”, di cui liberare la propria vita per fare spazio al Signore. Il cammino quaresimale è la migliore occasione per adoperare in questo, concedendo maggior tempo alla preghiera, alla penitenza e lasciando spazio alla Carità concreta delle opere di Misericordia. Ricordiamo, ha concluso Padre Tristaino, che saremo giudicati proprio sulla Carità, su quanto avremo amato il Signore, i fratelli, il Creato.
Al termine della Celebrazione Eucaristica, il Delegato ha recitato la Preghiera del Cavaliere Costantiniano, nella quale, guardando a San Giorgio Martire come esempio di coerenza, ogni Cavaliere e Dama chiede la grazia di una vita fedele al proprio Battesimo, agli insegnamenti del Vangelo ed alle tradizioni dell’Ordine.
L’incontro formativo sulla figura di San Giorgio Martire
Prima della Santa Messa, su iniziativa del Referente per la Città di Torino, Arch. Paolo Giannetto, Cavaliere di Merito, i convenuti si sono riuniti alle ore 11.00 negli ambienti secenteschi adiacenti alla Cappella dei Banchieri e dei Mercanti, per volgere lo sguardo alla figura di San Giorgio Martire, glorioso patrono dell’Ordine Costantiniano, come occasione di approfondimento e riflessione lungo il cammino quaresimale.
La Quaresima è un tempo propizio per la conversione del cuore. A tal fine, accanto agli strumenti che la Tradizione della Chiesa suggerisce, è indubbiamente utile guardare all’esempio ed alla testimonianza offerta dai santi. Essi sono sì intercessori presso il Padre, ma anche fratelli maggiori che ci hanno preceduto vivendo pienamente il proprio Battesimo, tanto da divenire compagni di viaggio pronti ad indicarci la via da percorrere per orientare il cuore a Dio.
Ogni membro della Sacra Milizia Costantiniana guarda al Santo Patrono dell’Ordine per trovare in lui l’esempio da seguire. San Giorgio è Martire per Cristo, o, come viene comunemente definito dai fratelli delle Chiese d’Oriente, egli è Megalomartire, ossia grande testimone (dal greco μάρτυς = testimone). Giorgio ha, infatti, reso testimonianza della propria Fede in Cristo, morto e risorto, con una vita coerente sino all’effusione del proprio sangue, che è la più alta forma di testimonianza.
Ai Cavalieri Costantiniani, per essere tali, non viene chiesto di affrontare lo stesso sacrificio cruento, ma di adoperarsi innanzitutto per la glorificazione della Santa Croce. Questa trova compimento nella testimonianza che una vita coerente agli insegnamenti del Vangelo offre agli occhi del mondo. In tal modo San Giorgio diviene modello di conversione e di perfetto “cavaliere”, ricordando i Cavalieri Costantiniani di mettere la loro vita al servizio di Cristo, scegliendo ogni giorno di essere suoi testimoni: «Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra» (At 1,8).
Alla luce di tale premessa, il Prof. Claudio Musso, Cavaliere di Merito, Referente per la Cultura della Delegazione di Piemonte e Valle d’Aosta, ha illustrato la figura storica di San Giorgio Martire attraverso un breve percorso tra le fonti, tanto documentarie e letterarie, quanto archeologiche.
Il Relatore ha richiamato, innanzitutto, i dati storicamente verosimili contenuti nella Passio Sancti Georgii, la più antica “biografia” (seppur classificata tra quelle apocrife) del giovane soldato cappadoce confessatosi cristiano. Per questo fu portato in giudizio durante la persecuzione di Diocleziano, torturato ed infine ucciso per decapitazione a Lydda nel 303.
Dopo aver accennato all’origine e natura delle Passiones dei martiri, il Relatore ha rivolto l’attenzione alla presenza di racconti leggendari come veicolo di significati altri, rispetto al loro senso letterale. Tra questi il più noto (seppur comparso tardivamente, durante la fase storica delle Crociate) è indubbiamente quello che descrive l’intervento di Giorgio in soccorso di una principessa a Selem, in Libia, i cui abitanti erano terrorizzati dalla presenza di un orribile drago.
L’uccisione di questa creatura da parte del Santo soldato, già immagine della vittoria del Bene sul male, divenne simbolo della sconfitta dell’Islam ad opera dei cavalieri crociati, tanto che il culto di San Giorgio si radicò straordinariamente in tutti i territori in cui i cavalieri normanni dettero vita a nuovi regni cristiani (in modo particolare nelle nuove realtà feudali sorte in Sicilia e maggiormente collegate alla Casa degli Altavilla, così come in molte zone del Sud Italia). In Inghilterra esso trovò eccezionale fortuna proprio con l’arrivo dei Normanni, divenendo veicolo di quel sistema di valori che portò alla nascita di una delle più potenti monarchie europee.
L’incontro formativo sulla figura di San Giorgio Martire è proseguito, prendendo in considerazione alcune delle principali testimonianze archeologiche riguardanti l’antichità del culto del Santo Patrono dell’Ordine Costantiniano, prima fra tutte l’epigrafe greca del 368 rinvenuta ad Eraclea di Betania ed attestante l’esistenza di una chiesa dei santi e trionfanti martiri Giorgio e compagni, già pochi decenni dopo il loro martirio. C’è da considerare anche la stessa basilica costantiniana sorta sul suo sepolcro (il μάρτυς o martyrium appunto) a Lydda (oggi chiamata Lod, località alle porte di Tel Aviv), il quale rimane oggetto di incessante venerazione.
A sottolineare quanto il culto al santo “cavaliere” sia storicamente radicato nella Cristianità tanto latina quanto bizantina, costituendo un ponte solidissimo tra le due, il Relatore infine ha brevemente toccato la sua influenza in ambito artistico, analizzando un’icona di scuola cretese realizzata intorno al 1500 ed oggi conservata presso l’Istituto Ellenico di Studi Bizantini e Postbizantini di Venezia. In essa è raffigurato San Giorgio a cavallo, nell’atto di trafiggere il drago con la sua lancia. Si tratta, quindi, di una delle rappresentazioni maggiormente diffuse del Santo, che qui unisce elementi stilistici bizantini e veneziani frutto dei tenaci contatti economici e culturali tra le due realtà che trovano ulteriore punto d’incontro in questo antico culto comune.
Data la natura dell’intervento formativo in oggetto, l’attenzione si è soffermata su un particolare iconografico dalla straordinaria valenza spirituale e storico-religiosa. Come nella maggior parte delle icone bizantine dello stesso soggetto, in uno degli angoli superiori della scena è raffigurata la mano del Padre che, in uno spiraglio di Cielo, si mostra nell’atto di benedire l’operato di San Giorgio. In questo dettaglio è racchiusa la consapevolezza dell’incorporamento dei martiri in Cristo. Come già affermava San Paolo: «Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me» (2Gal, 20-21). Vivendo per Cristo e di Cristo attraverso l’Eucarestia, ne deriva un incorporamento in Lui grazie al quale la testimonianza dei martiri, come di tutti i giusti, può essere percepita come un prolungarsi dell’azione di Dio nella Storia: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me ed io in lui» (Gv 6, 51-56).