La Delegazione Liguria partecipa alla Santa Messa in Coena Domini nella Cattedrale di Genova

Il 28 marzo 2024 alle ore 17.00, nella Cattedrale di San Lorenzo in Genova, l’Arcivescovo metropolita di Genova, Mons. Marco Tasca, OFM Conv., ha presieduto la solenne Santa Messa in Coena Domini del Giovedì Santo, concelebranti i sacerdoti diocesani, tra cui il Cappellano Capo della Delegazione della Liguria del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, Don Fabio Pagnin, Cappellano di Merito.
Cattedrale interno

Gesù trascorre le ultime ore della sua vita terrena in compagnia dei suoi discepoli e manifesta un amore straordinario per gli apostoli, impartendo loro insegnamenti e raccomandazioni. Durante l’ultima Cena, Gesù ha espresso con le sue parole l’amore infinito che aveva per i suoi discepoli e gli ha dato validità eterna istituendo l’Eucaristia, facendo dono di sé: ha offerto il suo Corpo e il suo Sangue sotto forma di pane e di vino perché diventassero cibo spirituale per noi e santificassero il nostro corpo e la nostra anima. Egli ha fatto percepire il suo amore lavando i piedi agli apostoli e permettendo al suo discepolo prediletto, Giovanni, di appoggiarsi al suo petto. Nella sua vita pubblica, Gesù ha raccomandato più di una volta ai suoi discepoli di non cercare di occupare il primo posto, ma di aspirare piuttosto all’umiltà del cuore. Ha detto e ripetuto che il suo regno, cioè la Chiesa, non deve essere ad immagine dei regni terreni o delle comunità umane in cui ci sono dei primi e degli ultimi, dei governanti e dei governati, dei potenti e degli oppressi. Al contrario, nella sua Chiesa, quelli che sono chiamati a reggere dovranno in realtà essere al servizio degli altri. Il dovere di ogni credente è di non cercare l’apparenza, ma i valori interiori, di non preoccuparsi del giudizio degli uomini, ma di quello di Dio.

«Di null’altro mai ci glorieremo se non della croce di Gesù Cristo, nostro Signore: egli è la nostra salvezza, vita e risurrezione; per mezzo di lui siamo stati salvati e liberati» (Cf. Gal 6,14).

Hanno partecipato al Sacro Rito nella Cattedrale di Genova, su invito del Cerimoniere di Curia arcivescovile, Mons. Gianluigi Ganabano, delle rappresentanze degli Ordini Equestre: dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, guidata dal Preside e il Delegato Ligure; degli Ordini Dinastici della Real Casa di Savoia, guidata dal Delegato Liguria; e del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, guidata dal Nob. Luigi Filippo Granello di Casaleto, Cavaliere di Giustizia. Al termine, Mons. Tasca ha rivolto loro un saluto, con l’invito a perseverare nella condivisione e comunità cristiana, anche tra Ordini Cavallereschi, nell’intento di incentivare e migliorare i rapporti di conoscenza ed amicizia esistenti.

Nella sua omelia [QUI], Mons. Tasca ha ricordato che in questo giorno viene messo in luce il duplice carattere di gloria e di sofferenza, proprio del mistero pasquale. Commentando il brano del Vangelo secondo Giovanni (Gv 13,1-15) ha evidenziato che “per Il Signore era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, e li amò sino alla fine”. Ha ricordato in particolare la scelta fatta da Gesù di preferire la via della croce. “Nell’ultima notte trascorsa con i suoi, Gesù sente il bisogno di stare con loro, di aprire il suo cuore, e si mette in ginocchio per lavare i piedi”, in un gesto misterioso ma ricco di significato. Questo è il gesto che dobbiamo fare gli uni agli altri, sull’esempio di Gesù”, ha detto Mons. Tasca, concludendo: “Nell’ultima cena Gesù si abbandona nelle nostre mani e si fida di noi. Ci faccia dunque la grazia di affidarci sempre di più, nella nostra fede e nella nostra comunità”.

Terminata l’omelia, Mons. Tasca ha proceduto alla lavanda dei piedi, ad un gruppo di persone assistite dalla Comunità di Sant’Egidio, ringraziando ciascuno per la propria presenza.

L’istituzione dell’Eucaristia come rito memoriale della “nuova ed eterna alleanza” è certamente l’aspetto più evidente della celebrazione della seconda Santa Messa del Giovedì Santo, che del resto giustifica la sua solennità proprio con un richiamo storico e figurativo dell’avvenimento compiuto nell’Ultima Cena. Ma è lo stesso messale romano che invita a meditare su altri due aspetti dei misteri di questo giorno: l’istituzione del sacerdozio ministeriale e il servizio fraterno della carità. Sacerdozio e carità sono, in effetti, strettamente collegati con il sacramento dell’Eucaristia, in quanto creano la comunione fraterna e indicano nel dono di sé e nel servizio il cammino della Chiesa.

È significativo il fatto che Giovanni, nel riferire le ultime ore di Gesù con i suoi discepoli e nel raccogliere nei discorsi dell’Ultima Cena i temi fondamentali del suo vangelo, non riferisca i gesti rituali sul pane e sul vino come gli altri evangelisti. Eppure, era questo un dato antichissimo della tradizione, riportato in una forma ben definita dal primo documento che ne parla, la lettera di Paolo ai Corinzi (1Cor 11,23–26, prima lettura).

Giovanni richiama l’attenzione sul gesto di Gesù che lava i piedi ai suoi e lascia, come suo testamento di parola e di esempio, di fare altrettanto tra i fratelli. Non comanda di ripetere un rito, ma di fare come lui, cioè di rifare in ogni tempo e in ogni comunità gesti di servizio vicendevole – non standardizzati, ma sgorgati dall’inventiva di chi ama – attraverso i quali sia reso presente l’amore di Cristo per i suoi (“li amò sino alla fine”). Ogni gesto di amore diventa così “sacramento”, incarnazione, linguaggio simbolico dell’unica realtà: l’amore del Padre in Cristo, l’amore in Cristo dei credenti.

Durante l’Ultima Cena, Gesù non si è accontentato di parole, ma ha dato l’esempio mettendosi a lavare loro i piedi. E, dopo aver finito, ha detto: “Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri” (Gv 13,13-14).

Il Giovedì Santo, con il suo richiamo all’evento dell’Ultima Cena, pone al centro della memoria ecclesiale il segno dell’amore gratuito, totale e definitivo: Gesù è l’Agnello pasquale che porta a compimento il progetto di liberazione iniziato nel primo esodo (Cf. Es 12,1-8.11-14, prima lettura). Il suo donarsi nella morte è l’inizio di una presenza nuova e permanente; “il suo corpo per noi immolato è nostro cibo e ci dà forza, il suo sangue per noi versato è la bevanda che ci redime da ogni colpa» (prefazio I). Partecipare consapevolmente all’Eucaristia, memoriale dei Sacrificio di Gesù, implica avere per il corpo ecclesiale di Cristo quel rispetto che si porta al suo corpo eucaristico. La presenza reale del Signore morto e risuscitato nel pane e nel vino su cui si pronuncia l’azione di grazie (Cf. la seconda lettura), si estende, sia pure in altro modo, alla persona dei fratelli, specialmente dei più poveri (Cf. tutto il contesto della 1Cor 11). “In questo grande mistero tu (o Padre) nutri e santifichi i tuoi fedeli, perché una sola fede illumini e una sola carità riunisca l’umanità diffusa su tutta la terra» (prefazio della ss. Eucaristia II). Chi dunque fa discriminazioni, chi disprezza gli altri, chi mantiene le divisioni nella comunità «non riconosce il corpo del Signore”. La sua non è più la Cena dei Signore, ma un rito vuoto che segna la sua condanna.

A conclusione della Santa Messa, recitata la preghiera dopo la Comunione, Mons. Tasca ha posto l’incenso nel turibolo, si è inginocchiato e ha incensato il Santissimo Sacramento. Quindi, indossato il velo omerale, ha preso la pisside, l’ha ricoperto con il velo. Poi, in processione scortato dai Cavalieri con il baldacchino, ha portato il Santissimo Sacramento per la reposizione nella Cappella di San Giovanni (foto sotto).

La Cattedrale di Genova è dedicata a San Lorenzo, patrono della Città insieme a San Giorgio, San Giovanni Battista e San Sebastiano.

Le prime notizie certe che attestano l’esistenza della Cattedrale di San Lorenzo risalgono al 878, anno in cui il Vescovo Sabatino predispose la traslazione delle reliquie di San Romolo. Grazie alle indagini archeologiche si è potuta escludere la presenza in loco di edifici religiosi anteriori alla prima metà del VI secolo. La cattedrale di San Lorenzo non sembra quindi essere stata la prima sede vescovile della città. Le fonti ufficiali e la tradizione religiosa cittadina ricordano infatti i nomi di diversi vescovi risalenti al IV e V secolo. L’Arcivescovo Jacopo da Varagine indica inoltre nella sua Cronaca Civitatis Ianuae (XIII secolo) l’attuale chiesa di San Siro (allora intitolata ai Dodici Apostoli) come la prima cattedrale cittadina.

Durante il X secolo, la Cattedrale di San Lorenzo acquisì una crescente importanza all’interno del contesto cittadino, sia dal punto di vista religioso che da quello civile, grazie anche alla sua ottima collocazione nel tessuto urbano. A partire dal 1007, quando l’antica basilica di San Siro fu affidata ai monaci benedettini, San Lorenzo divenne l’esclusivo polo vescovile e politico della Città, almeno sino al XIV secolo.

Fra il XI e il XII secolo le autorità cittadine disposero la costruzione di un edificio religioso in grado di rappresentare la crescente potenza di Genova: il progetto fu affidato ai Magistri Antelami, maestri architetti, scultori e carpentieri di tradizione romanica provenienti dalla Valle d’Intelvi, nel comasco.

Nel XIII secolo, intorno al 1230 si decise di rinnovare totalmente la cattedrale, avviando un nuovo progetto architettonico, che comportò una grandiosa ristrutturazione. L’edificio prese l’aspetto di cattedrale gotica che ancora oggi conserva, con l’imponente facciata a due torri. Benché opera di due artisti di origini franco-normanne, il progetto gotico prevedeva l’introduzione di diversi elementi decorativi propri della tradizione architettonica mediterranea in grado di mitigare l’impianto francese della cattedrale. Dell’antica costruzione romanica furono salvati i due portali laterali di San Giovanni e San Gottardo. I lavori subirono però una battuta d’arresto a metà del XIII secolo, forse a causa di una crisi economica.

Il rovinoso incendio nel 1296 comportò poi la sostituzione dei colonnati interni e di gran parte dei capitelli. A questa fase dei primi decenni del Trecento risalgono gli affreschi sopravvissuti della controfacciata e delle navate laterali, opera di un ignoto pittore di tradizione bizantina. Nel corso del XIV e XV secolo cominciò la costruzione delle cappelle e degli altari sulle navate. I lavori per la Cappella del Battista, che conserva le ceneri del Precursore, cominciarono nel 1450. Nel XVI secolo, a causa di un’esplosione del deposito delle polveri sito nel Palazzo Vescovile, furono restaurate le coperture, gravemente danneggiate.

Infine tra XIX e XX secolo cominciarono i lavori per il graduale recupero della facies medioevale della cattedrale. In occasione dell’Anno Giubilare del 2000 si avviarono notevoli restauri che interessarono gran parte dell’edificio.

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