La Delegazione Tuscia e Sabina celebra il Giovedì Santo a Viterbo e il Venerdì Santo a Caprarola

Con il Giovedì Santo si conclude la Quaresima, iniziata con il Mercoledì delle Ceneri. La Messa vespertina in Coena Domini segna l’inizio del Triduo pasquale, ossia i tre giorni nei quali si commemorano la Passione, la Morte e la Risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo. Il fulcro si raggiunge nella solenne Veglia Pasquale e la conclusione con i Secondi Vespri della Domenica di Pasqua di Risurrezione. Seconda la tradizione, alle celebrazioni del Giovedì Santo il 28 marzo a Viterbo e del Venerdì Santo il 29 marzo a Caprarola hanno partecipato delle rappresentanze della Delegazione della Tuscia e Sabina.
Crocifissione

«Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine» (Gv 13, 1).

Dal punto di vista liturgico, il Triduo Pasquale è un’unica celebrazione:

  • Nella Messa in Coena Domini non c’è congedo, ma l’assemblea si scioglie in silenzio.
  • Il Venerdì Santo la celebrazione inizia nel silenzio, senza riti di introduzione, e termina senza benedizione e senza congedo, nel silenzio.
  • La Veglia Pasquale inizia con il lucernario, senza segno di croce e senza saluto, e solo al termine c’è la benedizione finale e il congedo.

Il Giovedì Santo a Viterbo

Una rappresentanza della Delegazione della Tuscia e Sabina del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, guidata dal Delegato il Nob. Avv. Roberto Saccarello, Cavaliere Gran Croce de Jure Sanguinis con Placca d’Oro, Giovedì Santo 28 marzo 2024 alle ore 18,30 ha preso parte nella Chiesa della Trinità-Santuario Maria Santissima Liberatrice alla solenne celebrazione della Messa in Coena Domini, con cui la Chiesa celebra l’istituzione della Santa Eucarestia e del Sacerdozio.

Come ogni anno, unitamente ad altri componenti appartenenti alla comunità parrocchiale, due Cavalieri Costantiniani sono stati prescelti per la lavanda dei piedi.

Successivamente, i Cavalieri Costantiniani hanno preso parte alla processione con cui il pane eucaristico è stato portato all’altare della reposizione, riccamente ornato. Poi, alle ore 21.00 alcuni Cavalieri hanno partecipato anche all’adorazione eucaristica curata dalla Comunità Agostiniana di Viterbo.

Il Venerdì Santo a Caprarola

Al Venerdì Santo la Chiesa celebra la Morte salvifica di Cristo. Nell’azione liturgica pomeridiana essa medita la Passione del suo Signore, intercede per la salvezza del mondo, adora la Croce e commemora la propria origine dal costato del salvatore (Cfr. Gv 19,34). Tra le manifestazioni di pietà popolare del Venerdì Santo, oltre la Via Crucis, spicca la “Processione del Cristo morto”. Essa ripropone, nei moduli propri della pietà popolare, il piccolo corteo di amici e discepoli che, dopo aver deposto dalla Croce il corpo di Gesù, lo portano al luogo in cui era la “tomba scavata nella roccia, nella quale nessuno era stato ancora deposto” (Lc 23,53b).

In ossequio alla tradizione, su invito della Diocesi di Civita Castellana, dati anche i legami storici di Caprarola con la Real Casa delle Due Sicilie, attraverso la successione farnesiana, il Venerdì Santo 29 marzo 2024 una rappresentanza della Delegazione della Tuscia e Sabina ha preso parte alla Processione del Cristo Morto. I Cavalieri Costantiniani hanno prestato scorta d’onore ai simulacri del Gesù Deposto e della Madonna Addolorata, e hanno seguito la pia devozione della Via Crucis.

La paraliturgia della Processione del Cristo Morto nelle antiche contrade sotto la sagoma imponente di Palazzo Farnese a vegliare come sempre sulla cittadina dei Cimini, si svolge in un clima di austerità, di silenzio e di preghiera. Una celebrazione molto partecipata da parte di tutti i caprolatti, i quali percepiscono i non pochi significati di tale manifestazione di pietà popolare, che rappresenta così un degno coronamento delle celebrazioni liturgiche del Venerdì Santo.

Al temine del corteo religioso, dopo aver salutato nel duomo dedicato a San Michele Arcangelo il Parroco Don Camillo Ricci ed il Sindaco Angelo Borgna, che hanno apprezzato, attraverso le espressioni di ringraziamento, la presenza dei Cavalieri Costantiniani, il Delegato per la Tuscia e Sabina ha devoluto alla parrocchia un’offerta per le famiglie bisognosi.

In occasione delle Triduo Pasquale, la Delegazione della Tuscia e Sabina della Sacra Milizia Costantiniana ha donato alle Chiese della Santissima Trinità, dei Santi Faustino e Giovita, e di San Francesco il cero pasquale, ornato della Croce Costantiniana e realizzato dalle Benedettine del Monastero di San Pietro in Montefiascone.

Il Giovedì Santo e il Venerdì Santo
nel Triduo Pasquale

Il Giovedì Santo

Il primo giorno del Triduo Pasquale è riservato a due distinte celebrazioni liturgiche:

  • La Santa Messa mattutina del Crisma. Al mattino del Giovedì Santo, il vescovo con una solenne cerimonia nella cattedrale consacra il sacro crisma, cioè l’olio benedetto da utilizzare per tutto l’anno successivo per ii Battesimo, la Cresima, l’Ordine Sacro, l’Unzione degli Infermi e per ungere i Catecumeni. A tale cerimonia partecipano tutti i sacerdoti e i diaconi della diocesi, che si radunano attorno al loro vescovo, quale visibile conferma della Chiesa e del sacerdozio fondato da Cristo, accingendosi a partecipare poi nelle singole chiese e parrocchie, con la celebrazione delle ultime fasi della vita di Gesù con la Passione, la Morte e la Resurrezione.
  • La Messa vespertina in Coena Domini. Nel tardo pomeriggio del Giovedì Santo, in tutte le chiese è celebrata la Messa in Coena Domini (Cena del Signore). Si tratta della commemorazione dell’Ultima Cena – raffigurata da intere generazioni di artisti – che Gesù tenne insieme ai suoi apostoli prima dell’arresto e della condanna a morte.

Tutti e quattro i Vangeli riferiscono che Gesù, avvicinandosi la festa degli Azzimi, ossia la Pasqua ebraica, mandò alcuni discepoli a preparare la tavola per la cena rituale, in casa di un loro seguace. La Pasqua è la più solenne festa ebraica e viene celebrata con un preciso rituale, che rievoca le meraviglie compiute da Dio nella liberazione degli Ebrei dalla schiavitù egiziana (Esodo 12). La sua celebrazione si protrae dal 14 al 21 del mese di Nisan (marzo-aprile).

In quella notte si consuma l’agnello, precedentemente sgozzato, durante un pasto (la cena pasquale) di cui è stabilito ogni gesto; in tale periodo è permesso mangiare solo pane senza lievito, in greco azymos, da cui il termine “Azzimi”. Gesù con gli Apostoli non mangiarono solo secondo le tradizioni, ma il Maestro per l’ultima volta aveva con sé tutti i dodici discepoli da lui scelti e a loro fece un discorso dove s’intrecciano commiato, promessa e consacrazione.

L’episodio della lavanda dei piedi, simbolo dell’ospitalità, è raccontato nel capitolo 13 del Vangelo di Giovanni. Gesù, scrive l’evangelista, «avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine», e mentre il diavolo già aveva messo nel cuore di Giuda Iscariota, il proposito di tradirlo, Gesù si alzò da tavola, depose le vesti e preso un asciugatoio se lo cinse attorno alla vita, versò dell’acqua nel catino e con un gesto inaudito, perché riservato agli schiavi ed ai servi, si mise a lavare i piedi degli Apostoli, asciugandoli poi con l’asciugatoio di cui era cinto.

Bisogna capire che a quell’epoca si camminava a piedi su strade polverose e fangose, magari sporche di escrementi di animali, che rendevano i piedi, calzati da soli sandali, in condizioni immaginabili a fine giornata. La lavanda dei piedi era una caratteristica dell’ospitalità nel mondo antico, era un dovere dello schiavo verso il padrone, della moglie verso il marito, del figlio verso il padre e veniva effettuata con un catino apposito e con un “lention” (asciugatoio) che alla fine era divenuto una specie di divisa di chi serviva a tavola.

Quando fu il turno di Simon Pietro, questi si oppose al gesto di Gesù: «Signore tu lavi i piedi a me?» e Gesù rispose: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo». Allora Pietro, che non comprendeva il simbolismo e l’esempio di tale atto, insisté: «Non mi laverai mai i piedi». Allora Gesù rispose di nuovo: «Se non ti laverò, non avrai parte con me» e allora Pietro con la sua solita impulsività rispose: «Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!».

Questa lavanda è una delle più grandi lezioni che Gesù dà ai suoi discepoli, perché dovranno seguirlo sulla via della generosità totale nel donarsi, non solo verso le abituali figure, fino allora preminenti del padrone, del marito, del padre, ma anche verso tutti i fratelli nell’umanità, anche se considerati inferiori nei propri confronti.

Dopo la lavanda dei piedi, Gesù si rivestì e tornò a sedere fra i dodici apostoli e instaurò con loro un colloquio di alta suggestione, accennando varie volte al tradimento che avverrà da parte di uno di loro, facendo scendere un velo di tristezza e incredulità in quel rituale convivio. «In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà», dice Gesù, a cui gli apostoli reagiscono sgomenti e in varie tonalità gli domandano chi fosse. Lo stesso Giovanni, il discepolo prediletto, poggiandosi con il capo sul suo petto, in un gesto di confidenza, domandò: «Signore, chi è?». E Gesù commosso rispose: «È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò» e intinto un boccone lo porse a Giuda Iscariota, dicendogli: «Quello che devi fare, fallo al più presto», fra lo stupore dei discepoli che continuarono a non capire, mentre Giuda, preso il boccone si alzò, ed uscì nell’oscurità della notte.

I riti liturgici del Giovedì Santo, giorno in cui la Chiesa celebra oltre l’istituzione dell’Eucaristia, anche quella dell’Ordine Sacro, ossia del sacerdozio cristiano, si concludono dopo la Messa in Coena Domini con la reposizione dell’Eucaristia in una cappella laterale delle chiese, addobbata a festa per ricordare l’istituzione del Santissimo Sacramento. La cappella è meta di devozione e adorazione, per la rimanente sera e per tutto il giorno dopo, finché non iniziano i riti del pomeriggio del Venerdì Santo. Tutto il resto del tempio viene oscurato, in segno di dolore perché è iniziata la Passione di Gesù; le campane tacciono, l’altare diventa disadorno, il tabernacolo vuoto con la porticina aperta, i Crocifissi coperti.

Il Venerdì Santo

Nel secondo giorno del Triduo Pasquale, la Chiesa celebra la crocifissione e la morte di Gesù. È giorno di digiuno e astinenza dalle carni. Non viene celebrata l’Eucaristia e si svolge solamente l’azione liturgica della Passione del Signore, composta dalla Liturgia della Parola, dall’Adorazione della Croce e dai Riti di Comunione.

Nella mattinata del Venerdì Santo viene continuata, pur se senza solennità, l’adorazione eucaristica all’altare della Reposizione, allestito dopo la Messa vespertina in Coena Domini del Giovedì Santo. In molte cattedrali e chiese parecchi parrocchiali si celebrano comunitariamente l’Ufficio delle Letture e le Lodi Mattutine.

Nel pomeriggio del Venerdì Santo si svolge l’azione liturgica In Passione Domini, ossia della Passione del Signore, che ha origini molto antiche (VII secolo, ed è presente anche nel rito bizantino, come una delle tre tipologie di Divina Liturgia) e si articola in tre parti:

  • La liturgia della parola. Prima lettura: Quarto Canto del Servo del Signore (Isaia 52,13-53,12). Seconda lettura: la salvezza di Cristo attraverso l’obbedienza dolorosa della passione (Ebrei 4,14-16; 5,7-9). Vangelo: Passione secondo Giovanni (Gv 18,1-19,42). Segue la grande preghiera universale, nella quale si prega solennemente per le necessità della Chiesa e del mondo.
  • L’adorazione della Santa Croce. Il Crocifisso viene portata solennemente su un cuscino verso l’altare maggiore. Per tre volte la Croce viene innalzata, mentre si canta l’antifona Ecce lignum Crucis in quo salus mundi pependit (Ecco il legno della croce, al quale fu appeso il salvatore del mondo) e per tre volte tutti si inginocchiano davanti ad essa in adorazione. Nuovamente la Croce, dopo essere stata deposta sui gradini dell’altare, viene adorata con tre genuflessioni e con un bacio di venerazione al Crocifisso.
  • La Comunione con le specie eucaristiche. Sono state consacrate il Giovedì Santo, perché in questo giorno, unico dell’anno liturgico, non si celebra la Santa Messa.

L’annuncio della morte del Signore, la grande preghiera universale e l’adorazione della Santa Croce creano una forte continuità rituale tra la professione di fede del centurione romano (cfr Mt 27,54) e l’adorazione dei fedeli. Due passaggi molto significativi della proclamazione della Parola meritano d’essere evidenziati: la prima e la seconda lettura dell’inizio dei Vespri (Is 49,24-50,10 e Is 52,13-53,12), come preannunci profetici della Passione di Gesù.

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