La Santa Messa mensile della Delegazione
La Celebrazione Eucaristica è stata presieduta da Don Damiano Cavallaro, concelebrante Padre Andrea Bello, O.P., alla presenza del Delegato, il Nob. Dott. Andrea Serlupi, dei Marchesi Serlupi Crescenzi, Cavaliere di Giustizia.
Nella sua omelia, commentando il brano del Vangelo secondo Giovanni, proclamata nella I Domenica dopo Pasqua (Gv 20, 19-31), Don Cavallaro ha invitato a considerare un dato “oggettivo” del quale, inevitabilmente, ognuno fa esperienza nella propria vita: molte cose prima accadono, poi le si capiscono (se Dio vuole). Così è accaduto nella Storia della Salvezza. L’incarnazione del Verbo è accaduta prima di essere compresa. La sua Passione, Morte e Risurrezione sono accadute prima di poterne capire il perché, il senso, gli effetti.
Come viene cantato nell’antica sequenza che precede l’acclamazione al Vangelo nel giorno di Pasqua e nella domenica successiva, Cristo ha riconciliato i peccatori al Padre attraverso un mirabile duello tra la vita e la morte: mors et vita duello conflixere mirando. Questo è accaduto prima che gli stessi Apostoli lo capissero. Ne è esempio oltremodo significativo l’atteggiamento incredulo di Tommaso descritto proprio nel capitolo del Vangelo di questa domenica: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo” (Gv 20, 25). L’Evangelista racconta, senza mezzi termini, la difficoltà tutta umana di Tommaso nel credere che il Maestro sia risorto dai morti, come gli hanno annunciato coloro che il Signore gli aveva posto accanto nel cammino e di cui, pertanto, sapeva di potersi fidare. Eppure, nonostante il dubbio, è rimasto con loro, nella compagnia della Chiesa che stava nascendo.
Da qui l’invito rivolto da Don Cavallaro a domandare la grazia di “vedere accadere Cristo” nella nostra vita e, come gli Apostoli, di saperlo accogliere prima ancora di poterlo capire.
Appare ancor più significativo elevare al Cielo questa preghiera proprio in occasione della Domenica della Divina Misericordia, istituita da San Giovanni Paolo II nel 2000 e fissata nella domenica successiva alla Pasqua. Essa, ha precisato Don Cavallaro, non è da considerarsi al pari di una spugna, che cancella i nostri peccati come cancella ciò che il gesso scrive sulla lavagna. È piuttosto il dono di una presenza: quella della persona di Cristo, nella quale siamo stati incorporati attraverso il Battesimo. Grazie alla Sua presenza, infatti, riceviamo la possibilità di consegnare a Lui tutto ciò che abbiamo nel cuore, perché da Lui possa essere trasformato. In questo consiste la Divina Misericordia.
L’incontro formativo sulla Divina Liturgia
Nel quadro di un ampio percorso formativo rivolto a tutti i membri e futuri membri della Delegazione di Piemonte e Valle d’Aosta, fortemente voluto dal Delegato, con il supporto del Referente di Torino, Arch. Paolo Giannetto, Cavaliere di Merito e grazie alla disponibilità di Don Damiano Cavallaro, si è tenuto il primo incontro formativo sulla Liturgia.
Alle ore 10.30, Cavalieri, Dame, Postulanti ed amici convenuti si sono ritrovati nei seicenteschi ambienti pertinenti la Cappella dei Mercanti. Qui, dopo la recita corale del Regina Coeli, che nel tempo pasquale sostituisce la preghiera dell’Angelus, Don Cavallaro ha introdotto questo percorso di approfondimento e formazione sulla natura della Divina Liturgia, la sua realtà profonda, la sua struttura, forma, gesti, parole, cosicché ogni membro della Delegazione possa vivere pienamente, con accresciuta consapevolezza e dignità, la celebrazione dei Divini Misteri.
Proprio nell’orazione del Regina Coeli si ricorda come Dio abbia voluto letificare il mondo intero, donando nuova vita a tutto il Creato, così come al mondo interiore. Attraverso la Divina Liturgia, ovunque si celebri, Cristo rinnova il suo Sacrificio e letifica il mondo intero. Essa, ha ricordato Don Cavallaro, è al contempo la massima manifestazione di ciò che siamo, in quanto restituisce all’uomo la sua vera identità.
Nella Summa Theologiae San Tommaso d’Aquino afferma: “La vita dell’uomo consiste nell’affetto che principalmente lo sostiene e nel quale trova la sua più grande soddisfazione”. Una volta postaci la domanda (cosa amiamo maggiormente nella nostra vita?), qualunque sia la risposta che otterremo, chiediamo la grazia di saper correggere la direzione verso cui muoviamo il nostro principale affetto e, pertanto, la nostra vita. La relazione principale, infatti, è quella con Dio, colui che ha creato tutto traendolo dal nulla. Noi esseri umani non siamo “autogenerati” e frutti del caso, bensì creature volute e amate.
Al numero due della costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium, il documento che il Concilio Vaticano II dedica alla Sacra Liturgia, si ricorda come in questa si manifesti la natura stessa della Chiesa: divina e umana. Nella Liturgia, quindi, tutto viene ordinato e subordinato al divino. Dimenticando questo principio si cade nell’errore di subordinare il divino all’umano, azzerando la dimensione verticale delle celebrazioni ed appiattendo tutto alla sola dimensione orizzontale, cioè umana. Ma sull’Altare, Cielo e terra si incontrano. Cristo si rende presente con il suo corpo ed il suo sangue, la Vergine Maria è presente ed adorante il Figlio, accanto a lei discendono i santi e gli angeli.
In questa realtà, i fedeli sono chiamati ad una partecipazione attiva. Essa, ha precisato Don Cavallaro, non è da intendersi, come purtroppo accade spesso, con un “tutti devono fare tutto”. Essa è, al contrario, la partecipazione consapevole, libera ed accorata a ciò che si verifica sull’altare. È riconoscere che Cristo è realmente presente nell’Eucarestia e desiderare, con tutto il cuore, di unirsi a Lui. La stessa conformazione della chiesa, intesa come aula liturgica, ha voluto e vuole esprimere, con alcune eccezioni negli edifici di culto contemporanei, la storicità della Salvezza: dall’ingresso il fedele è simbolicamente e visivamente condotto verso la meta, ossia il Cielo, che viene incontro all’uomo proprio sull’altare, dove Gesù si rende presente. Ogni volta che viene celebrata la Divina Liturgia, abbiamo la certezza che la meta venga raggiunta, poiché l’uomo è reso partecipe in un anticipo del Paradiso.