Podcast 14 aprile 2024 – III Domenica di Pasqua: «Il Cristo doveva patire e risuscitare dai morti il terzo giorno; sarà predicata nel suo nome la conversione e il perdono dei peccati a tutte le genti». Alleluia (Lc 24,46-47) [QUI]
La prima lettura, dagli Atti degli Apostoli, ci riferisce che Pietro, dopo la guarigione dello disabile alla porta Bella del Tempio, rivolge il suo primo discorso dopo la Pentecoste agli israeliti presenti. Egli rinfaccia insistentemente loro la responsabilità nella morte di Gesù crocefisso, ma allo stesso tempo ricorda la grandezza della misericordia di Dio. La sua non è una condanna, ma un messaggio di speranza, perché non esiste peccato tanto grave da ostacolare la grazia che Dio ci dona nella resurrezione del figlio e Pietro chiude con l’invito a rileggere in questa nuova ottica le Scritture ed a convertirsi. Queste dinamiche coinvolgono anche noi oggi e l’invito di Pietro è ancora attuale perché anche in questo nostro tempo, se Gesù tornasse sulla nostra Terra probabilmente torneremmo ad ucciderlo. Emblematica è, in questo senso, la famosa “Leggenda del Grande Inquisitore” nei Fratelli Karamazof di Dostoevskij. Ciò che ha ucciso Gesù è stata proprio questa opposizione all’azione e alla presenza di Dio nella storia, questa paura di ciò che Dio può cambiare nelle nostre vite: paura delle sue esigenze, paura soprattutto della sua novità, del modo nel quale si presenta a noi, che non corrisponde all’idea che noi ci facciamo di Dio. Ma il paradosso è che un rifiuto così totale era necessario proprio per mostrare fino a che punto arrivasse l’onnipotenza di Dio. L’uccisione del Figlio, il rifiuto totale del suo intervento nella storia e nelle nostre vite è stata per Dio l’occasione di manifestare nel modo più straordinario possibile il suo amore e soprattutto la sua determinazione, al di là e contro ogni resistenza umana, di salvare l’uomo. Resurrezione di Cristo vuol dire proprio questo: grazia più potente, più grande del nostro peccato.
È quello che conferma, nella seconda lettura, Giovanni nella sua lettera in cui ci ricorda che se Dio è luce il cristiano ha un motivo in più per non vivere nelle tenebre, ma nella gioia di una comunione piena di luce con lui. Se ci ritroviamo ancora mancanti, perché limitati nella nostra condizione umana, non dobbiamo avere paura. Abbiamo un Paraclito. Questo personaggio misterioso viene più volte citato nel Vangelo di Giovanni. Nel linguaggio giuridico del tempo era l’avvocato, colui che veniva chiamato accanto a quanti erano in carcere in attesa di giudizio e portava le ragioni della loro innocenza. Gesù può fare questo perché è stato la vittima di espiazione per i nostri peccati. È lui l’Agnello che è stato immolato una volta per tutte per salvare non solo il suo popolo, ma tutto il mondo, prigioniero del male e della morte e ci esorta a non peccare e ad osservare i suoi comandamenti per poter affermare, senza essere smentiti, di conoscerlo. L’ascolto della sua Parola e il compiere la sua volontà permettono all’amore di Dio di dare a noi la capacità di una testimonianza autentica.
Il brano del Vangelo di Luca inizia con il versetto finale dell’episodio dei discepoli di Emmaus. È un piccolo riassunto che ci ricorda quanto era accaduto. La cosa importante di questo racconto è che Gesù si era fatto riconoscere dai due discepoli nello spezzare il pane. Essi sono rientrati di corsa a Gerusalemme per annunciare agli Apostoli d’aver incontrato Gesù in persona. Mentre fanno questo, lui, improvvisamente è li, proprio in mezzo a loro come afferma Luca e così aveva ribadito ben due volte Giovanni, testimone oculare (cfr. Gv 20, 19 – 26). con tutta la sua carne, con tutto il suo peso, la sua presenza, la sua shekhinàh – in ebraico – la gloria della “divina presenza”. Per dire il farsi presente di Gesù Luca non usa verbi di movimento, come “venire” o “entrare”, ma il verbo “stare” che non suppone alcun cambiamento di luogo. Il risorto non “viene”, ma è già lì in mezzo ai suoi discepoli. Deve solo rendersi visibile. Egli li saluta con lo shalom ebraico, l’insieme di tutti i beni messianici annunziati dai profeti. Per questo non scivola via come un fantasma, ma entra dolcemente e fermamente nella nostra esistenza. Con lo stile che sempre lo ha caratterizzato, e che ora possiamo riconoscere come lo stile inconfondibile di Dio. Nella nostra cultura del “mordi e fuggi”, chi sceglie di stare va contro corrente. Gesù ne fa uno stile definitivo. Egli, infatti, è risorto e non morirà più. La sua permanenza in mezzo ai suoi è per sempre. Una simile presenza, vera e reale, lascia interdetti anche noi oggi, che abbiamo creduto pur senza avere visto, ma deve avere sconvolto i suoi discepoli increduli e stupefatti dalla gioia. Un turbinio di sentimenti, un trambusto di emozioni, una battaglia interiore. I suoi, pur avendone condiviso sogni e attese, delusioni e fallimenti, pur avendone visto il dramma dell’amore crocifisso, lo conoscevano solo per sentito dire, come Giobbe! Di fronte al Risorto i discepoli sembrano spaventati esattamente come le donne di fronte alla visione degli angeli (Luca 24,4). Lo spavento e la paura sono due annotazioni dell’evangelista stesso. Tarasso: il turbamento e l’agitazione sono un rimprovero che Gesù rivolge direttamente ai discepoli: “Perché siete turbati”. Gesù intende un turbamento profondo (il verbo tarasso significa l’animo agitato, sottosopra, quasi come un mare in tempesta) e non si tratta qui di un turbamento passeggero, ma fermo (il verbo infatti è al tempo perfetto), non un’agitazione di superficie, ma profonda. Oltre che di agitazione e turbamento, il rimprovero di Gesù parla anche di dubbio e perplessità: dialoghismos. Questo verbo esprime molto bene l’atteggiamento di sconcerto di chi si trova inaspettatamente di fronte a un fatto o a una parola che suscita perplessità e dubbio e fa problema: una perplessità che invade tutta la persona (il vostro cuore) e che non soltanto sopravviene, ma sale come qualcosa che invade e aumenta sempre più.
E lo scambiano per un fantasma… o forse, inconsapevolmente, avrebbero preferito che lo fosse… Sembra un paradosso, ma accade anche a noi di sperare di non venire turbati da cambiamenti del nostro tranquillo personale status quo? Gesù, insomma, dà un po’ di salutare fastidio, lì in mezzo ai suoi, anche oggi. Dobbiamo necessariamente fare i conti con Lui, e con le false immagini che di Lui continuamente ci riempiamo e ci riempiono la testa. Di fronte alla vita che ha sconfitto la morte, non possiamo più vivere come prima. Le chiusure egoistiche, le comode lamentazioni, le accuse al mondo che è una minaccia e dal quale preferiamo difenderci, non hanno più valore né giustificazione nella logica di Colui che è, che era e che viene (Ap 1,8). La vita, il mondo, l’umanità acquistano un nuovo spessore. Non è più lecito trascorrere i giorni come fantasmi, imprigionati in luoghi comuni e schemi ripetitivi, che ci incasellano come marionette e ci separano dalla verità gli uni degli altri. Allora Gesù mostra mani e piedi, invita a toccarlo e chiede da mangiare; poi apre loro la mente all’intelligenza delle Scritture. È la stessa dinamica dell’incontro sulla via con i due discepoli, ma al contrario, prima il cibo condiviso e poi la spiegazione delle scritture. Per i discepoli, e tante volte anche per noi oggi, la Legge e i Profeti rimanevano parola sacra, staccata dalla realtà di tutti i giorni, ma Gesù dice a loro, e a noi, che in essa dobbiamo cogliere i messaggi di salvezza che ci chiariscono il mistero del dono di Cristo sulla croce, della sua morte e resurrezione. La risurrezione è un mistero difficile. Lo vediamo nelle reazioni degli apostoli, che pur nella grande gioia, erano pieni di dubbi e ancora non credevano. Chi riduce la fede a nozioni intellettuali naturalmente esclude il dubbio. In realtà la fede non coinvolge solo l’intelligenza, ma è un affidare tutto il nostro essere a una realtà più grande di noi. Non è facile accettare questa prospettiva che rimette tutto in discussione. Per questo Gesù, con pazienza e comprensione, legittima in qualche modo il dubbio degli apostoli e viene incontro alle loro esitazioni. L’esortazione a “toccare” e a “guardare le sue mani e i suoi piedi” vuol dire ai discepoli che il Risorto è ancora il Gesù di Nazareth che essi hanno conosciuto, anche se la sua presenza in loro compagnia è ora di un altro tipo. Questa è la via che Gesù indica ai suoi discepoli: “Aprì loro la mente e il cuore all’intelligenza delle Scritture”. Li invita a leggere tutta la loro esperienza guidati non dalla loro emotività, ma dalla luce di quella Parola. A questo punto il Risorto afferma: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni». Questa potrebbe essere la nostra esperienza gioiosa della fede: capiremo dove Dio ci vuole condurre attraverso tutti gli avvenimenti, anche i più impensati. Capiremo anche che il Signore continua a essere presente nella storia degli uomini e che cammina sulle loro stesse strade. Se nella nostra vita quotidiana sapremo essere presenti dove c’è bisogno di noi, se condivideremo la sofferenza, le gioie, i problemi di tutti i giorni con i fratelli allora il Cristo risorto sarà sempre con noi: Cristo non vuole essere sugli altari, ma vuole essere vicino a ogni uomo per il quale ha realizzato la salvezza con la sua morte e risurrezione, Egli vuole che tutti gli uomini possano tornare redenti al Padre.
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