Podcast 5 maggio 2024 – VI Domenica di Pasqua: L’amore di Dio deve tradursi in amore per il prossimo [QUI]
Il dono dello Spirito, promesso da Gesù ai suoi fedeli, non è soggetto a logiche settarie di esclusione, potere o merito e agisce continuamente, anche oggi, in modo assolutamente libero ed incoercibile da convenienze o tornaconti umani e discende ed inabita, in tutti quelli che “ascoltano la Parola”.
E allora: “Chi può impedire che siano battezzati nell’acqua quelli che hanno ricevuto, come noi, lo Spirito Santo?” chiede Pietro nella Prima Lettura, dagli Atti degli Apostoli (At 10,25-27.34-35.44-48). E, di fronte allo stupore dei “benpensanti” che vorrebbero un Dio solo per loro, esclusivo e selettivo, capisce che invece “Dio non fa preferenze di persone”.
Chi prende l’iniziativa di chiamare gli uomini e le donne a far parte del popolo dei battezzati è sempre Dio; la sua iniziativa si chiama amore (cf Seconda Lettura – 1Gv 4,7-10) e vuole raggiungere tutti gli uomini. Questa è la consegna che anche Gesù ha lasciato ai suoi discepoli (cf Vangelo – Gv 15,9-17). Egli ci ha dato l’esempio dando la sua vita per noi; anche noi siamo chiamati ad ascoltare la Parola del Signore e ad impegnarci sempre di più a vivere il comandamento dell’amore. Dobbiamo sempre affondare le nostre radici nel terreno fecondo dell’amore di Cristo e amare con i fatti evitando di rimanere soltanto nella sfera delle idee e delle pie intenzioni. Allora la nostra vita si rigenera continuamente e ogni giorno trova nuovo slancio e vigore.
Su questo comune sentimento di amore, fondato sulla fratellanza dei figli di Dio, creati ad immagine e somiglianza del Creatore, si struttura la dignità dell’uomo che fonda la sua libertà, anche quella religiosa. Quest’ultima è una riscoperta, dopo secoli di oblio legato sostanzialmente alla “svolta Costantiniana” della organizzazione della Chiesa come struttura di potere mondano, del Concilio Vaticano II.
In vari documenti viene affermato il rispetto della credenza religiosa (e dello stesso ateismo) di ogni persona, l’esecrazione di “qualsiasi discriminazione… per motivi di religione” (Cfr. Dichiarazione conciliare Nostra aetate), e il significato positivo delle diverse religioni del mondo come imperfetto recepimento della rivelazione del Dio vero, destinate dunque ad una pienezza, ma già effettivo bene spirituale, morale, socio-culturale di un popolo.
La distinzione, eventualmente, non passa più nel campo del sacro (o del culto), ma in quello dell’amore fraterno e dell’impegno per la liberazione dell’uomo. Il servizio degli altri può veramente costituire un linguaggio “religioso” di base che accentua ciò che è comune tra chiunque accoglie Cristo nei piccoli e nei poveri, anche senza riconoscerne il volto.
È proprio della libertà dello Spirito suscitare nei non Cristiani le “meraviglie di Dio”. Non possiamo pretendere di tenere solo per noi l’inalienabile diritto alla libertà religiosa in quanto è fondato sulla dignità della persona umana, sottratto ad ogni sfera pubblica, di qualsiasi tipo; il che vuoi dire che per i credenti in religioni non cristiane, per gli atei, per gli agnostici, per gli indifferenti, per gli scettici, vale il sistema dell’immunità da coercizioni da parte della pubblica autorità, anche nel caso che essi professino pubblicamente le loro idee.
La Chiesa post-conciliare ha accettato di rinunciare a una posizione di monopolio dalla quale era escluso il pluralismo. Senza optare minimamente per un liberalismo dottrinale che pretenda l’uguaglianza di tutte le religioni, senza rinunciare ad evangelizzare, ma rifiutando di identificare apostolato e crociata, la Chiesa riconosce nel pluralismo della società moderna una situazione che non è opposta al Vangelo. Il Concilio parla esplicitamente di necessità per l’uomo di una «libertà psicologica», oltre che di «immunità dalla coercizione esterna». E ciò è affermato per impedire metodi contrari alla suprema ed incoercibile dignità, alla libertà e alla responsabilità umana.
La preoccupazione di Giovanni per la giovane Chiesa a cui rivolgeva la sua lettera era quella che la carità regnasse tra i vari membri perché fosse conosciuto da tutti l’amore di Dio manifestato nell’invio del Figlio. Questa rimane, in ogni tempo, la condizione per la espansione della Chiesa: gli uomini saranno attirati ad essa dal segno nell’amore fraterno. Le nostre comunità, le nostre assemblee devono dunque essere aperte a tutti: i non cristiani, i poco convinti, gli indifferenti, chi è in situazione di ricerca… Da una parte, l’appartenenza visibile dei Cristiani alla Chiesa mediante il battesimo, la loro esplicita professione di fede nel Signore Gesù che raggiunge il suo vertice nella celebrazione eucaristica, devono mostrare a tutti l’oggetto della loro ricerca e il termine della loro avventura spirituale.
D’altra parte i credenti, gli «impegnati» debbono rinnovare continuamente la loro disponibilità a vincere la tentazione di non dialogare con chi è fuori dell’area Cristiana, a ricordare che «chi teme Dio e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto» (Prima Lettura). Chiunque incontra assemblee Cristiane dovrebbe sentirsi accolto come in casa propria, in una famiglia a cui già virtualmente appartiene, fino a che giunga alla piena conoscenza del Dio di Gesù Cristo. Solo così acquisteranno concretezza e credibilità le invocazioni al Paraclito «perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito» (Preghiera eucaristica III).
Nel tempo pasquale abbiamo ascoltato tante volte dal Vangelo secondo Giovanni passi del discorso che Gesù rivolge ai discepoli prima della sua Passione. Egli si congeda dai suoi e da noi, lasciando come testamento il comandamento dell’amore. Questo amore ci è donato da Dio stesso, che ci ha amato per primo e ha riversato il suo amore nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo. L’amore di Dio non ha misura, non ha confini, è un oceano infinito e produce un bene immenso in chi l’accoglie. I frutti dello Spirito maturano con la fede e con la benevolenza vicendevole. Perciò soltanto amando noi possiamo dare il nostro contributo al compimento dell’opera della salvezza di riunire tutti i figli di Dio dispersi nell’unica casa del Padre. Gratuitamente amati e debitori verso Dio di un amore immenso, gratuitamente dobbiamo donare quello che abbiamo ricevuto senza mai fare discriminazioni e senza mai pensare di avere già pienamente assolto il nostro compito. Vivendo insieme nella gioia del Signore risorto nel quotidiano dono di un amore sempre più simile a quello che Gesù ci ha donato, possiamo annunziare credibilmente ai nostri fratelli la fede in Cristo, l’amore di Dio Padre e la forza dello Spirito Santo che è il vincolo dell’unità.
La mensa della Parola, che ci viene offerta questa domenica, è sovrabbondante di cibo spirituale, e tutto questo cibo, che è stato preparato per noi, è condito e addolcito con un ingrediente essenziale e sostanziale: la carità, l’amore di Dio per noi che deve tradursi in amore fattivo per il nostro prossimo. Siamo costretti a ripeterci sempre la stessa grande verità. Non stanchiamoci di udirla per assimilarla sempre di più. Amare non significa soltanto nutrire sentimenti o pensieri in modo astratto, ma vivere l’amore mettendolo in atto nella vita. Infatti, il vero amore non può rimanere teorico e sterile, deve tradursi nella pratica e dare frutto, e i veri frutti che il Signore si attende da noi sono la bontà, la capacità di perdonare, la capacità di fare comunione e di consumare la vita nel servire gli altri, con generosità e sollecitudine, imitando il Cristo in tutto. Impegniamoci ogni giorno a scoprire sempre di più e perseguire la carità, diventando così dono gli uni per gli altri, sapendo che la nostra gioia sarà piena quando avremo fatto di tutta la nostra vita un’offerta per la crescita nella fede e nell’amore dei nostri fratelli e di tutta l’umanità (Enciclica Fratelli tutti).
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