



La celebrazione della Santa Messa è stata presieduta da Don Mauro Viganò, Cappellano di Merito, alla presenza del Cappellano Capo per il Nord Italia, Don Fabio Fantoni, Cappellano Gran Croce de Jure Sanguinis; di Don Paolo Lobiati, Cappellano di Merito, Giudice del Tribunale Ecclesiastico Lombardo e Avvocato iscritto all’Albo della Rota Romana; del Delegato per la Lombardia, Dott. Ing. Gilberto Spinardi, Cavaliere Gran Croce di Merito; e del Luogotenente per l’Italia Settentrionale della Real Commissione per l’Italia, il Nob. Paolo dei Conti Borin, Cavaliere Gran Croce di Giustizia.

Nella sua omelia, Don Mauro Viganò – riprendendo il brano del Vangelo proclamato (Mc 13,9b-13) e ricordando l’uccisione in Nigeria del sacerdote cattolico Sylvester Okechukwu, avvenuta il 5 marzo 2025, Mercoledì delle Ceneri – ha esortato a riflettere su chi vive la fede in situazioni scomode, pericolose, rispetto ad in Occidente dove si rischia di vivere, paragonando, una fede comoda, che quindi si rischia che porti ad una fede sopita. Il vizio del mondo può portare ad allontanare la chiarezza e l’autenticità della fede facendoci fare dei compromessi che ci portano alla via del silenzio. Invece la perseveranza è una virtù antica che molti uomini e donne, in modo autentico vengono a dire “io sono di Gesù”.
Allora il cammino di Quaresima possa richiamare ciascuno di noi, il nostro Ordine Costantiniano, ha sottolineato Don Viganò, ad essere testimonianza di luce che allontani l’egoismo ed i calcoli personali e le tenebre del diavolo che utilizza vari sotterfugi. Chiediamo quindi, ha concluso Don Viganò, la Grazia dello Spirito Santo per avere le parole giuste e le scelte giuste perché la nostra vita sia misurata secondo il criterio del Vangelo e non secondo il criterio del mondo, per noi e per tutte le persone che portiamo nel cuore.

Al termine del Sacro Rito, prima della Benedizione Conclusiva, il Promotore delle Attività Culturali della Delegazione, Prof. Edoardo Teodoro Brioschi, Cavaliere Gran Croce di Merito, ha recitato la Preghiera del Cavaliere Costantiniano.

Conclusa la celebrazione della Santa Messa, il Prof. Edoardo Teodoro Brioschi ha introdotto il Prof. Franco Salvatore Giudice, Ordinario di storia delle scienze e delle tecniche nel Dipartimento di Filosofia, Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che ha svolto una Relazione sul tema Capire e comunicare la scienza. Conoscenze e scelte condivise in una società aperta.

Il Relatore ha spiegato che si tratta di capire come la comunicazione della scienza debba essere fatta, in quanto non sempre la verità scientifica raccoglie la fiducia delle persone, pubblico non specialistico. La comunicazione scientifica deve idealmente raggiungere il maggior numero di persone possibile. Si passa storicamente dal passaggio dell’uso della lingua latina al volgare, partendo già da Newton. Ogni pubblico ha un diverso linguaggio semantico, quindi il primo compito del comunicatore scientifico è capire con quale mezzo divulgare l’informazione scientifica. Il mezzo cambia a seconda del pubblico al quale si vuol fare arrivare l’informazione scientifica, il mezzo diventa importante per far comprendere l’informazione, altrimenti si rischia di creare diffidenza o peggio far ritenere l’informazione non vera.

Il Relatore è passato poi ad analizzare un fenomeno contemporaneo, che è quello dell’influencer, che divulga informazioni scientifiche, comprendendo che l’affidabilità dello stesso dipende dalla sua etica. Occorre che verifichi le fonti delle informazioni che vuole divulgare.
Il Relatore ha poi continuato ad argomentare su altri mezzi di comunicazione scientifica con altri mezzi, come il Teatro ed il Cinema. Il primo, dal palco, permette a tutta la Platea di condividere l’informazione, mentre il secondo è anche una forma di archiviazione dell’informazione scientifica. Infine, si ragiona sul fatto che l’informazione scientifica debba godere necessariamente di autorevolezza. Questa nasce dall’etica e dall’assenza del conflitto di interessi del divulgatore.

L’incontro si è terminato con i ringraziamenti del Prof. Edoardo Teodoro Brioschi
Approfondimento
Il tema della Relazione svolta dal Prof. Franco Salvatore Giudice è preso dal titolo del libro da lui curato, Capire e comunicare la scienza. Conoscenze e scelte condivise in una società aperta (Vita e Pensiero 2024, 247 pagine [QUI]), che pone al centro dell’attenzione il valore e l’importanza della comunicazione nella comprensione della scienza.

Un’operazione impegnativa, che implica una seria riflessione sulla natura della comunicazione, della scienza e del pubblico cui ci si rivolge. E che per funzionare ha bisogno di una visione interdisciplinare, riconoscendo che soltanto attraverso strategie comunicative differenziate per contesti e per tipo di contenuti è possibile (ri)stabilire un rapporto di fiducia tra scienza e cittadini, evitando incomprensioni reciproche e derive antiscientifiche.
È questa la linea adottata nel libro, che è seguita nella Conferenza, affrontando il tema della comunicazione scientifica dalla prospettiva di competenze diverse (scienze della vita, microbiologia, astrofisica, sociologia della comunicazione, economia, psicologia, pedagogia, teoria dei linguaggi, cinema, teatro, giornalismo scientifico e comunicazione istituzionale), senza perdere mai di vista la dimensione etica della comunicazione e la problematizzazione epistemologica della scienza.
Il volume – il secondo e più attuale, che fa parte di una Collana promossa dall’Associazione degli Scholars dell’Università Cattolica di Milano, presieduta dal Prof. Edoardo Teodoro Brioschi – raccoglie i contributi di diversi ed eterogenei professori in diversi campi dell’ateneo.

Il Prof. Franco Salvatore Giudice [QUI] è anche Condirettore di Galilaeana. Studies in Renaissance and Early Modern Science. Scrive sulla Domenica del Sole 24 Ore.
I suoi ambiti di specializzazione sono Storia dell’ottica in età moderna, Thomas Hobbes e la tradizione del mezzo in ottica, Galileo e gli studi sul telescopio in età moderna, La teoria della luce e dei colori di Isaac Newton, Teorie della materia in età moderna, La filosofia naturale inglese nel XVII secolo, La fisica sperimentale a Pavia nel XVIII secolo.
Tra le sue pubblicazioni Capire e comunicare la scienza. Conoscenze e scelte condivise in una società aperta (2024), Il mondo in un’altra luce. Saggi newtoniani (2024), L’edizione commentata del Saggiatore di Galileo (con M. Camerota, 2023) Galileo ritrovato. La lettera a Castelli del 21 dicembre 1613 (con M. Camerota e S. Ricciardo, 2019), Isaac Newton. Principi matematici della filosofia (2018), Il telescopio di Galileo. Una storia europea (con M. Bucciantini e M. Camerota, 2012), Lo spettro di Newton. La rivelazione della luce e dei colori (2009), Isaac Newton. Scritti sulla luce e i colori (2006), Luce e visione. Thomas Hobbes e la scienza dell’ottica (1999).
Intervista di Letture.org
al Prof. Franco Salvatore Giudice
Lei ha curato l’edizione del libro Capire e comunicare la scienza. Conoscenze e scelte condivise in una società aperta, pubblicato da Vita e Pensiero: in una società pervasa da un costante flusso di informazioni, che ruolo può svolgere la comunicazione pubblica della scienza e della tecnologia?
Siamo immersi in un mondo plasmato dalla scienza e dalla tecnologia, i cui effetti, come è facile constatare, si ripercuotono sulle nostre aspettative e perfino sui nostri desideri. Viviamo cioè in società che si caratterizzano sempre più per la loro dipendenza dalla scienza e dalla tecnologia. Non deve quindi sorprendere che alla comunicazione pubblica della scienza e della tecnologia sia attribuito un ruolo fondamentale per il funzionamento stesso delle democrazie contemporanee. E questo implica un’enorme responsabilità, che coinvolge le istituzioni governative, chi opera nelle scuole e nelle università, nei centri di ricerca, pubblici e privati, i mass media e, ovviamente gli studiosi, i professionisti della comunicazione scientifica. Tanto più considerando la situazione paradossale che si è venuta a determinare: la tecnoscienza pervade le nostre vite, mentre le conoscenze tecnoscientifiche sembrano avere un livello di diffusione decisamente basso, con tutto ciò che comporta in termini di consapevolezza critica e di scelte condivise. La comunicazione è stata uno dei valori su cui si è fondata la scienza moderna, quella nata, per intenderci, all’epoca di Galileo, quando si affermò l’idea che il sapere non doveva essere un privilegio di una ristretta cerchia di eletti, come accadeva nei secoli precedenti, ma doveva avere la più ampia circolazione possibile. Sulla scorta di questa importante conquista, quindi, che considera la scienza una forma di sapere universale, la comunicazione pubblica della scienza e della tecnologia ha un ruolo decisivo: rendere le conoscenze e le scoperte scientifiche un patrimonio diffuso, condiviso e accessibile a tutti.
Quali peculiarità presenta la comunicazione scientifica?
La comunicazione scientifica è oggi un campo di ricerca molto variegato, sempre in continua evoluzione, che offre un panorama piuttosto ampio, con approcci metodologici diversi. Questi approcci, tuttavia, mi sembra che perseguano il medesimo obiettivo: elaborare strategie comunicative efficaci, che nelle società democratiche consentano un coinvolgimento, almeno idealmente, di tutti i cittadini, mettendoli nelle condizioni di avere una comprensione critica della scienza, così come del ruolo sociale che essa svolge, di essere più informati e quindi più liberi di pensare e di prendere decisioni consapevoli. La trasmissione delle conoscenze di cui stiamo parlando riguarda principalmente i non specialisti. Di conseguenza, per cercare di raggiungere questi risultati è essenziale che chi si occupa di comunicazione scientifica, oltre ad avere competenze scientifiche, deve anche avere specifiche competenze comunicative, di scrittura e multimediali (video, podcast, social media), da usare in base ai destinatari. La peculiarità della comunicazione scientifica è proprio quella di trovare un linguaggio adeguato al pubblico cui si rivolge, che implica un imprescindibile e costante esercizio di chiarezza e qualità espositiva.
A quali errori si presta maggiormente la comunicazione scientifica nel contesto della società attuale?
Uno degli errori più diffusi, soprattutto in quella che di solito viene chiamata divulgazione scientifica, consiste nella mancanza di una seria riflessione sulla natura specifica della comunicazione. Nel non rendersi conto che la comunicazione scientifica, per funzionare, ha bisogno di diverse competenze e di una prospettiva interdisciplinare. Poiché la trasmissione delle idee avviene con un continuo movimento e una continua interazione, i vari contesti sociali e culturali sono aspetti decisivi. Come ho già sottolineato, non basta avere solide conoscenze scientifiche di base, ma occorre essere in grado di “tradurre” queste conoscenze in termini accessibili a un pubblico non specializzato. Per cui, bisogna rendersi conto, e qui mi riferisco anche agli scienziati che fanno comunicazione, che essere specialisti in un campo di ricerca è condizione necessaria, ma non sufficiente per comunicarne gli esiti a un pubblico di non esperti. A monte di tutto, poi, c’è a mio avviso l’errore di considerare la scienza come qualcosa di separato dalla cultura, come se la scienza non fosse cultura, dimenticandosi così, l’ha ricordato autorevolmente il premio Nobel per la fisica Giorgio Parisi, che la scienza è, al pari di ogni altra attività umana, una forma di cultura, alla quale si intreccia sia nel suo sviluppo storico sia nella pratica di tutti i giorni.
Quali modalità possono risultare più efficaci affinché le acquisizioni scientifiche e le sfide che esse pongono diventino un patrimonio il più possibile diffuso?
Secondo me, nelle nostre società, che vogliono essere libere, democratiche e aperte, affinché le conoscenze scientifiche diventino un patrimonio di tutti, è opportuno adottare pratiche inclusive. E per farlo, è opportuno anzitutto che la comunicazione scientifica sia vista come un processo di creazione di significati condivisi. Un’operazione, come è facile intuire, impegnativa e per nulla semplice, poiché implica un’ulteriore riflessione sulla scienza e sul pubblico stesso, riconoscendo il carattere socioculturale della conoscenza scientifica, che va quindi considerata non solo in relazione alle sue dinamiche interne, ma anche in relazione agli aspetti politici, economici, etici e religiosi della società, senza trascurare i modi in cui viene rappresentata nelle varie forme di espressione artistica. Le modalità più efficaci sono quelle che adottano strategie comunicative differenziate per contesti e per tipo di contenuti. Soltanto così è possibile (ri)stabilire un rapporto di fiducia tra scienza e cittadini, evitando incomprensioni reciproche e derive antiscientifiche.
In che modo la recente infodemia ha offerto una significativa lezione sulla comunicazione della scienza?
L’infodemia, ossia la circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, che non sempre erano vagliate con accuratezza, ha dimostrato, benché in una situazione di assoluta eccezionalità, quanto difficile fosse orientarsi e individuare fonti affidabili. E ha reso pertanto visibili una serie di vulnerabilità del public understanding of science, vale a dire del modo in cui un pubblico non specialistico percepiva e cercava di comprendere le informazioni scientifiche sulla natura e sul trattamento del virus. Al punto che, in diverse occasioni e per certe parti della popolazione, talvolta si è perfino incrinato il patto di fiducia tra scienza e cittadini. Nel libro che ho curato, questo tema è al centro del contributo di Simone Tosoni e Alessandro Ricotti, che mostrano come ciò che si è verificato durante la pandemia è un fenomeno già segnalato fin dagli anni Ottanta del secolo scorso dalla nuova sociologia della scienza. Ovvero: la stretta connessione fra una fiducia nella scienza basata su uno scientismo ingenuo e il diffondersi di atteggiamenti di sospetto nei confronti dell’autorevolezza stessa della comunità scientifica. In altre parole, lo scientismo ingenuo – alimentando l’idea che la scienza sia in grado di raggiungere verità stabili, unanimemente accettate e incontrovertibili – contribuisce a creare aspettative irrealistiche nei confronti della scienza. E, una volta che tali aspettative risultano disattese, si apre la strada a un atteggiamento opposto, ossia di scetticismo, quando non addirittura di rifiuto della scienza stessa. La lezione quindi che viene dall’infodemia è, in un certo senso, semplice: la comunicazione scientifica, da un lato, deve cercare di restituire un’immagine più realistica della scienza, facendo capire che si tratta di una forma di sapere continuamente rivedibile, dall’altro, deve contribuire a rifondare su tale immagine il patto di fiducia tra scienza e cittadini.
Che contributo possono offrire alla comunicazione della scienza gli influencer?
Diversi influencer hanno assunto il ruolo di divulgatori scientifici, creando una sorta di ponte tra mondo accademico e pubblico di non esperti. Tuttavia, come chiarisce molto bene il saggio di Giuseppe Riva, in ragione anche della loro cospicua base di followers, gli influencer pongono diverse sfide alla comunicazione scientifica. La prima concerne l’accuratezza e l’affidabilità delle informazioni scientifiche veicolate dagli influencer. A causa infatti della natura spesso semplificata dei social, il rischio è che, per renderle più accattivanti, le informazioni scientifiche possano essere distorte. La seconda sfida riguarda l’equilibrio tra l’aspetto emozionale e razionale della comunicazione scientifica. Gli influencer spesso ricorrono a elementi emotivi per coinvolgere il loro pubblico, ma è importante garantire che l’emozione non distorca la correttezza dell’informazione scientifica. Ovviamente, la capacità di tradurre concetti complessi in un linguaggio accessibile, tipica degli influencer, potrebbe rendere la scienza più avvincente e comprensibile per un pubblico più ampio. Di conseguenza, per massimizzare l’impatto positivo degli influencer sulla comunicazione scientifica è opportuno che essi si avvalgano della collaborazione di esperti di questioni scientifiche e facciano un uso responsabile delle piattaforme social.
Che ruolo possono svolgere cinema e teatro nella comunicazione scientifica?
Sia il teatro sia il cinema possono svolgere una funzione importante nella comunicazione scientifica. Fin dall’antica Grecia, il teatro ha contribuito alla divulgazione della scienza, e nel corso dei secoli poi diversi autori si sono preoccupati di rappresentare sulla scena i rapporti, spesso conflittuali, che gli uomini scienza, con le loro teorie e le loro prese di posizione, hanno avuto con il potere politiche. Senza dimenticare, come mostra il saggio di Roberto Rizzente, che gli stessi scienziati si sono avvalsi e si avvalgono dei modelli affabulatori tipici del teatro per fare divulgazione ed essere più efficaci nella comunicazione dei contenuti e dei risultati della scienza. Per quanto riguarda il cinema, cui è dedicato il saggio molto documentato di Massimo Locatelli, bisogna anzitutto ricordare che il suo rapporto con la scienza è di antica data. Già a cavallo del 1900 le discipline scientifiche iniziano a integrare la macchina da presa tra gli strumenti di laboratorio, per filmare studi balistici, operazioni chirurgiche, microscopia e vivisezioni. Nel corso della sua storia, il cinema ha offerto diverse immagini della scienza e degli scienziati. Un vero e proprio caleidoscopio di immagini, dal quale traspare comunque l’idea che anche nel cinema si rifletta il problema sempre attuale dell’utilizzo delle acquisizioni scientifico-tecnologiche, ovvero dello stretto legame che sussiste (o dovrebbe sussistere) tra scienza ed etica, tra progresso e responsabilità politico-sociale.
Che rilevanza assume, in tale contesto, la dimensione etica della comunicazione e la problematizzazione epistemologica della scienza?
Come in ogni ambito del sapere e della vita delle persone, la dimensione etica è fondamentale. Ma lo è, in modo particolare, nella comunicazione scientifica. Gli sviluppi della scienza e della tecnologia mettono di fronte a interrogativi spesso inediti, le cui risposte non sono affatto scontate, poiché dipendono appunto dai valori etici, dalle convinzioni religiose, dall’ideologia politica e dagli interessi economici. Chi opera nella comunicazione scientifica deve pertanto tener conto di tutti questi fattori, preoccupandosi di fornire informazioni corrette, precise, informazioni cioè attendibili e prive di distorsioni. E nel farlo, bisogna evitare ogni forma di sensazionalismo, essendo il più possibile trasparenti, soprattutto in merito a eventuali conflitti di interesse. La comunicazione scientifica ha anche il dovere di trasmettere un’immagine realistica della scienza, delle pratiche di produzione del sapere scientifico e dello statuto parziale, temporaneo e sempre potenzialmente controverso del sapere scientifico stesso. In sintesi, di problematizzare, con adeguati strumenti epistemologici, lo statuto della scienza, il suo essere un sapere in continua transformazione.
Fonte: Letture.org