Documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II – Seconda parte: Lumen gentium – Seconda parte

È stato pubblicato sul canale Spreaker dell’Ufficio Stampa della Real Commissione per l’Italia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio il secondo di una serie di Podcast sui più rilevanti Documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II, nell’occasione del 60° anniversario della promulgazione. Il Referente per la Formazione della Delegazione di Roma e Città del Vaticano, il Prof. Enzo Cantarano, Cavaliere di Merito con Placca d'Argento, propone in nove podcast una sintesi dei principali atti scaturiti dall’assise conciliare. Per quello di oggi – il secondo sulla Lumen gentium - è sostanzialmente debitore al suo compianto amico e collega nella Pontificia Università Salesiana, Prof. Padre Luis Angel Gallo, SDB. La Lumen gentium (Luce delle genti) è la seconda delle quattro Costituzioni del Concilio Ecumenico Vaticano II, insieme alla Sacrosanctum Concilium, alla Dei Verbum e alla Gaudium et spes. Il tema, trattato in otto capitoli, è la dottrina Cattolica sulla Chiesa. Riguarda l'autocomprensione che la Chiesa ha di sé stessa, la sua funzione spirituale e la sua organizzazione.
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Podcast 3-5 – Documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II – Seconda parte: Lumen gentium – Seconda parte

Costituzione conciliare “Lumen gentium” dopo 60 anni
Seconda parte

La Lumen gentium, appellandosi al fondamentale principio di comunione, modificò profondamente il modo di concepire i rapporti tra i membri della Chiesa. Dopo avere riproposto e confermato il sacerdozio comune di tutti i Christifideles, il secondo dato è quello segnalato nel N. 12a della Costituzione.

Si riferisce alla dimensione profetica dell’intera Chiesa, al suo rapporto con la verità salvifica rivelata da Dio mediante il Vangelo. In quel paragrafo si parla del «senso dei fedeli», e cioè della capacità che ha l’intera comunità dei credenti, quale dono dello Spirito Santo, di essere portatrice e annunciatrice fedele della Parola di salvezza. Ciò significa il superamento radicale del dualismo tra una Chiesa docente e una Chiesa discente. Tutta la Chiesa, attraverso tutti i suoi membri, è chiamata ad insegnare, e tutta la Chiesa, attraverso tutti i suoi membri, è chiamata a imparare la Parola del Vangelo di Cristo. Nessuno ha il monopolio della verità rivelata. E questo è il fatto primo, incontestabile.

Solo dopo, e senza nulla togliere ad esso, viene il secondo, e cioè la diversità di servizi all’interno del ministero profetico, per via della quale alcuni sono chiamati a presiedere la comunità in questo ambito (N. 25). Essere costituiti nel «Magistero» della Chiesa, dice il citato paragrafo, non significa diventare dei dispensatori di verità a persone interamente sprovviste di essa, ma animare l’intera comunità profetica nella ricerca della verità salvifica stessa.

Il terzo dato lo si trova in germe nel N. 12b, e poi esplicitamente sviluppato nei capitoli III, IV e VI della Costituzione. Si tratta dei carismi che lo Spirito distribuisce alla comunità. Il testo si ispira chiaramente alla dottrina di Paolo (1Cor 12,7) per il quale il carisma non costituisce né un qualcosa di straordinario e miracoloso, né un retaggio solo di alcuni. Esso è un fatto di per sé comune e universale all’interno della Chiesa, perché consiste nella vocazione e abilitazione date dallo Spirito in ordine al servizio dei fratelli. La Chiesa risulta essere un insieme di servizi reciproci suscitati e sorretti dallo Spirito Santo. È una ulteriore ragione di uguaglianza radicale nella comunità ecclesiale. Solo dopo questa affermazione di una «carismaticità» universale e senza intaccarla minimamente, si può passare a considerare la diversità e l’ordinamento dei carismi.

È notevole che, aprendo il capitolo dedicato alla «costituzione gerarchica della Chiesa» e prima ancora di parlare del ministero del papa, dei vescovi, dei presbiteri e dei diaconi, il Concilio abbia sentito il bisogno di ribadire con solennità il carattere di servizio che ogni «sacra potestà» ha nella Chiesa (N. 18a). Per ritrovare il vero senso evangelico di tale «potestà», bisogna fare a ritroso il cammino storico della Chiesa fino a collegarsi con i momenti iniziali, in cui le parole di Cristo risuonano con tutta la loro freschezza e con tutta la loro radicalità: «Chi vuole essere il più grande sia il servo di tutti» (Mc 10,43).

A ribadire la globalità di questo superamento della strutturazione piramidale e della separazione tra chierici e laici nella Chiesa, la Costituzione volle dedicare un capitolo alla vocazione universale alla santità (Capitolo V). La storia di tale capitolo è stata molto travagliata, ma la sua stessa finale collocazione, sbocco di lunghe discussioni, sta ad indicare ancora una volta l’intenzione fondamentale del Concilio: la condizione di tutti e ciascuno dei membri della comunità ecclesiale è sostanzialmente uguale, chiamati come sono da Dio a vivere in pienezza la proposta evangelica fatta da Gesù Cristo. La diversità dei modi con cui va raggiunta tale pienezza non diminuisce in nulla tale uguaglianza.

Una terza innovazione ecclesiologica della Lumen gentium la troviamo nell’ambito del rapporto tra la Chiesa universale e le Chiese particolari. L’idea di una Chiesa universale che poi si suddivide in amministrazioni minori (diocesi, parrocchie) fortemente vincolate e subordinate all’amministrazione centrale, si diffuse ampiamente sull’esempio del potere civile, prima dell’Impero e poi delle monarchie succedutesi nella storia. E, con essa, l’istanza all’uniformità nelle espressioni della fede, del culto, dell’organizzazione. I vescovi, almeno in Occidente, finirono per essere spesso pensati come vicari del Papa, quando non anche di potentati politici coevi, messi a capo di una parte della Chiesa per governarla in suo nome e con l’autorità da lui conferita. Una Chiesa nella quale tutto viene stabilito dall’alto, da chi è a capo della piramide del potere, e dove non c’è spazio per la propria originalità.

La Lumen gentium, sempre ispirata all’idea-guida della comunione, tratteggiò strade nuove in questo ambito. Ritornando ai primi momenti della Chiesa e accogliendo finalmente la tradizione viva della ecclesiologia eucaristica orientale, propose un modello comunionale di relazioni anche nei confronti delle Chiese particolari (NN. 13;26). Pensò la genesi dinamica della Chiesa a partire dal piccolo nucleo familiare visto come Chiesa domestica (N. 11d), passando per il gruppo di fedeli che si radunano attorno all’altare per celebrare l’Eucaristia (N. 26a), e per la Chiesa particolare presieduta da un vescovo (NN. 13d;23a;27a), fino alla Chiesa universale che risulta dalla comunione di tutte le Chiese particolari e che è presieduta dal Vescovo di Roma (N. 23a). La centralità uniformante venne quindi eliminata. Al suo posto si pose il principio della comunione nella diversità, che fa leva sulle due componenti di radice trinitaria: comunione fra diversi, diversi in comunione. Non più una visione delle diversità percepite come attentato al potere centrale autoreferente, come minaccia, ma come potenziale arricchimento. Ha inoltre il vantaggio di far entrare in funzionamento il principio di sussidiarietà, che è l’opposto del centralismo. Non viene negato il bisogno di un centro, ma lo si ridimensiona in modo tale che permetta la giusta autonomia delle Chiese particolari. All’interno di questa prospettiva la Lumen gentium mise in luce una componente ecclesiale di grande importanza per la vita di comunione dell’intera Chiesa: il Collegio episcopale (NN. 19; 22; 23). Fondato su ragioni bibliche e di tradizione, dichiarò che il ministero di presidenza delle Chiese locali, affidato ai vescovi, è un ministero regolato dal principio di comunione. I vescovi presiedono le loro rispettive Chiese in comunione con gli altri vescovi, comunione che presiede il Vescovo di Roma, e tutti insieme, con lui, presiedono la Chiesa universale. Così, la costituzione comunionale della Chiesa si esprime anche attraverso il modo di rapportarsi di coloro che ne hanno l’ultima responsabilità come carisma dato dallo Spirito (N. 21).

Una quarta innovazione apportata dalla Costituzione riguarda l’ambito del rapporto della Chiesa Cattolica con gli altri Cristiani. Una lunga storia aveva portato a creare una situazione evangelicamente contraddittoria in questo contesto. La rottura tra le Chiese occidentale e orientale consumata nel secolo XI, e quella con i Riformatori nel secolo XVI, avvenute tutte e due in contesti di potere e fortemente polemici, avevano ingenerato atteggiamenti di accentuata ostilità reciproca tra le diverse confessioni Cristiane. Il Vaticano II, raccogliendo i risultati positivi di decenni di sforzi fatti all’interno del movimento ecumenico, decise di impostare le cose diversamente. Ancora una volta il principio di comunione si rese fecondo. Anzitutto, riconobbe che la Chiesa Cattolica, pur essendo vera Chiesa di Cristo, non esaurisce tutta l’ecclesialità, dal momento che esistono al di fuori di essa parecchi elementi di santificazione e di verità, che sono doni propri della Chiesa di Cristo (N. 7b). E poi, dichiarò apertamente di essere per più ragioni congiunta con coloro che, in quanto battezzati, sono insigniti del nome cristiano benché non professino integralmente la fede o non conservino l’unità di comunione sotto il Successore di Pietro (N. 15). Così la Lumen gentium pose le basi per l’ulteriore documento, l’Unitatis redintegratio, sull’ecumenismo, nel quale il principio conduttore non è quello dell’integrismo, ma quello della gradualità della comunione (UR 3) imperniata su criteri più oggettivamente evangelici. Ancora una volta venne deposto ogni atteggiamento trionfalista, e se ne assunse uno di modestia che riconosce i propri limiti pur senza misconoscere le proprie ricchezze. Resta da considerare un aspetto di non poca importanza, quello del rapporto tra la Chiesa e il mondo.  Abbiamo già detto anteriormente che il rapporto con il mondo è stato spesso vissuto in passato in una chiave teocratica. Il che vuol dire che la coscienza dell’autonomia propria delle realtà del mondo non era maturata ancora nei cristiani, i quali le consideravano come mezzi per raggiungere la loro finalità «spirituale», «eterna». Ciò spiega certi atteggiamenti assunti, quali la manipolazione sacrale e clericale della cultura (caso Galileo Galilei, Giordano Bruno,…), del potere politico (caso Gregorio VII o Bonifacio VIII, Innocenzo III,…), ecc. È nel Capitolo IV, dedicato – per la prima volta nella storia dei concili – ai Cristiani laici, dove si possono trovare alcuni accenni germinali al tema. Già al N. 31b, cercando di identificare la specificità della vocazione laicale, la Costituzione la ripone nella «indole secolare» della loro esistenza. Secolare dice rapporto a «secolo», a «mondo». In esso questi Cristiani sono chiamati a svolgere prevalentemente la loro vocazione ecclesiale, che condividono sostanzialmente con gli altri membri della comunità credente. E sono chiamati a diventare fermento della santificazione del mondo. Poi, al N. 36, parlando della partecipazione dei cristiani laici alla funzione regale di Cristo, la ripone appunto nell’impegno di trasfigurare il mondo con la sua luce affinché il creato corrisponda al disegno del Creatore: non più dominio e asservimento, ma rispetto e collaborazione.

Così, attraverso la considerazione del carisma laicale, il mondo entra nell’orizzonte della Chiesa con la sua consistenza propria orientata al compimento del piano di salvezza. Occorre riconoscere che nella Costituzione il mondo resta ancora come estrinseco alla Chiesa, che la sua missione verso di esso non entra nella sua definizione. Tale vuoto sarà colmato dalla Costituzione pastorale Gaudium et spes, che costituirà il punto più alto di maturazione del Concilio. Anche se si deve dire che la concezione della Chiesa come istituzione è ancora troppo spesso presente e forse non sarebbe possibile, allo stato dei fatti e della storia, pensare diversamente, ancora.

La proposta ecclesiologica della Lumen gentium viene incontro alle attese dei giovani alla comunionalità in linea con l’aspirazione della sensibilità culturale esistenziale e personalista germogliata all’interno della modernità. Solo nella comunione, condivisione di sé stessi, di ciò che si è prima ancora di ciò che si ha, si può raggiungere la propria autenticità e dare senso alla propria vita. Comunione nella libertà e nella diversità sono appunto due istanze che segnano prioritariamente la proposta ecclesiologica della Costituzione Lumen gentium, e che si collocano chiaramente nella lunghezza d’onda dei giovani. Sarà poi nella Costituzione Gaudium et spes che verrà tratteggiato il volto di una Chiesa più vicina alla gente, ai suoi problemi e bisogni concreti, totalmente e prioritariamente impegnata in suo favore.

Indice dei podcast trasmessi.

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