Dottrina Sociale della Chiesa – Nona parte: Sintesi – Quinta parte

È stato pubblicato sul canale Spreaker dell’Ufficio Stampa della Real Commissione per l’Italia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio il nono Podcast di una serie sulla Dottrina Sociale della Chiesa a cura del Referente per la Formazione della Delegazione di Roma e Città del Vaticano, il Prof. Enzo Cantarano, Cavaliere di Merito con Placca d'Argento. Nel suo impegno per la salvezza di ogni persona, la Chiesa si preoccupa di tutta la famiglia umana e delle sue necessità, compresi gli ambiti materiali e sociali. A tal fine sviluppa, come una bussola, una dottrina sociale per formare le coscienze e aiutare a vivere secondo il Vangelo e la stessa natura umana. «Con tale dottrina, la Chiesa non persegue fini di strutturazione e organizzazione della società, ma di sollecitazione, indirizzo e formazione delle coscienze» (Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 81). «La Chiesa (…) ha però una missione di verità da compiere, in ogni tempo ed evenienza, per una società a misura dell'uomo, della sua dignità, della sua vocazione» (Caritas in veritate, 9).
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Podcast 2-75 – Dottrina Sociale della Chiesa – Nona parte: Sintesi – Quinta parte

CAPITOLO NONO – La comunità internazionale

1. Aspetti biblici. I racconti biblici sulle origini mostrano l’unità del genere umano. Il libro della Genesi presenta con ammirazione la varietà dei popoli, opera dell’azione creatrice di Dio. Tutti i popoli, nel piano divino, avevano “una sola lingua e le stesse parole”. Ma gli uomini poi si dividono, volgendo le spalle al Creatore. L’alleanza stabilita da Dio con Abramo, eletto padre di una moltitudine di popoli, apre la strada al ricongiungimento della famiglia umana al suo Creatore. E l’azione sarà portata a compimento da Gesù che abbraccia l’intero genere umano: diventare uno nella comunione fraterna e nel supremo Modello di unità qual è quello trinitario. Sul piano sociale l’umanità dovrà tendere al bene comune universale al bene comune dell’intera famiglia umana.

2. Le regole fondamentali della comunità internazionale. La centralità della persona umana e la naturale attitudine dei popoli a stringere relazioni tra loro sono gli elementi fondamentali per costruire una vera Comunità internazionale, la cui organizzazione deve tendere all’effettivo bene comune universale. Ma le ideologie materialistiche e nazionalistiche ostacolano ciò, come ovviamente fanno le teorie improntate al razzismo e alla discriminazione razziale. La convivenza tra le nazioni è fondata sui medesimi valori che devono orientare quella tra gli esseri umani: la verità, la giustizia, la solidarietà e la libertà. Quella internazionale è una Comunità fondata sulla sovranità di ogni Stato membro, senza vincoli di subordinazione che ne neghino o ne limitino l’indipendenza. Il diritto è strumento di garanzia dell’ordine internazionale. Per i casi di controversia, la Dottrina sociale chiede il ricorso alla ragione e alla trattativa, bandendo ogni ricorso alla violenza e alla guerra.

3. L’organizzazione della comunità internazionale. In relazione a quanto asserito nel paragrafo precedente in ordine alla Comunità internazionale, la DSC mette in rilievo l’esigenza che, a livello mondiale e parallelamente a quanto avviene nei singoli Stati, esista un’autorità da tutti riconosciuta che abbia un potere effettivo per garantire ad ognuno la sicurezza, la giustizia, il rispetto dei diritti e in definitiva la pace. Tale autorità dovrà perseguire il “bene comune” nei vari campi d’intervento e nel contempo rispettare il principio di sussidiarietà. Appositi organismi dovrebbero poi, in quest’epoca di globalizzazione, esercitare funzioni di controllo e di guida particolarmente nel campo dell’economia. Da parte sua la Santa Sede, godendo di piena soggettività internazionale ed essendo come tale presente nei principali consessi mondiali, opera anche con apposito servizio diplomatico per la difesa e la promozione della dignità umana e per un ordine sociale basato sui valori sopra indicati e sull’amore fraterno.

4. La cooperazione internazionale per lo sviluppo. Scrive l’Enciclica Sollicitudo rei socialis: “La collaborazione allo sviluppo di tutto l’uomo e di ogni uomo… è un dovere di tutti verso tutti e deve allo stesso tempo essere comune alle quattro parti del mondo”. Nella visione cristiana ogni uomo ha, per natura, il diritto al proprio sviluppo. Partendo dalla considerazione che lo sviluppo deriva, in particolare, dalla generale interconnessione delle attività economiche a livello internazionale, la Dottrina Sociale della Chiesa incoraggia ogni forma di cooperazione capace di incentivare l’accesso al mercato internazionale dei Paesi poveri e sottosviluppati, in modo da favorirne l’uscita da quell’isolamento che facilita il loro sfruttamento. Un problema che dovrebbe essere intollerabile per ogni “uomo di buona volontà” di questo Terzo Millennio è quello della povertà, con tutte le terribili conseguenze che ne conseguono. Ed ancor oggi è purtroppo attuale, anzi è più che mai attuale, la constatazione di Paolo VI: “I popoli della fame interpellano in maniera drammatica i popoli dell’opulenza” (Enc. Populorum progressio, 26 marzo 1967, N. 3). A parte ogni altro rimedio, il Magistero sociale invita in particolare gli Stati più ricchi a tener fede finalmente all’impegno, tante volte assunto e mai integralmente rispettato, a condonare o a individuare comunque le modalità per risolvere la questione del debito estero dei Paesi più poveri.

CAPITOLO DECIMO – Salvaguardare l’ambiente

1. Aspetti biblici. All’uomo e alla donna, voluti da Dio “a Sua immagine”, Dio affida la responsabilità di tutto il Creato e il compito di tutelarne l’armonia e lo sviluppo. Neppure il peccato originale elimina questo compito, pur gravando di dolore e di sofferenza la nobiltà del lavoro. All’uomo Dio assicura il dono finale di un mondo radicalmente rinnovato: “Io creo nuovi cieli e nuova terra” (Is 65, 17), dove “avrà stabile dimora la giustizia” (2 Pt 3, 13). Nel suo ministero pubblico Gesù valorizza gli elementi naturali e con la Sua Pasqua ristabilisce quei rapporti di ordine e di armonia (con Dio, con sé stessi, con gli altri e col Creato) che il peccato aveva distrutto e tende sempre a distruggere.

2. L’uomo e l’universo delle cose. La visione biblica ispira l’atteggiamento dei cristiani in relazione all’uso della terra, nonché allo sviluppo della scienza e della tecnica. L’ingente sforzo col quale gli uomini nel corso dei secoli cercano di migliorare le proprie condizioni di vita corrisponde al progetto di Dio. Ed è quindi conforme al Suo progetto anche l’applicazione di scienza e tecnica all’agricoltura e all’ambiente naturale. Tanto più che questa applicazione può contribuire a risolvere gravi problemi, a cominciare da quelli della fame e delle malattie nel mondo. Naturalmente, ogni applicazione scientifica e tecnica non può mai prescindere dal rispetto dell’uomo, delle altre creature viventi e dell’ambiente in genere, considerando nel contempo le giuste aspettative delle generazioni future. Quando si comporta in modo irresponsabile l’uomo, invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio nell’opera di creazione, si sostituisce a Dio e finisce col provocare la reazione della natura, perché ne calpesta le leggi.

3. La crisi nel rapporto tra uomo e ambiente. Il messaggio biblico e il Magistero costituiscono i punti di riferimento essenziali per valutare i problemi che si pongono nei rapporti tra l’uomo e l’ambiente. Una corretta concezione dell’ambiente, mentre da una parte non può ridurre utilitaristicamente la natura a puro oggetto di manipolazione e di sfruttamento, dall’altra non deve però assolutizzarla e sovrapporla in dignità alla stessa persona umana. Ogni problema sorge quando si accoglie una visione dell’uomo e delle cose slegata dalla Trascendenza, mentre è il rapporto che l’uomo ha con Dio a determinare il rapporto dell’uomo con i suoi simili e con il suo ambiente. La cultura cristiana ha sempre riconosciuto nelle creature che circondano l’uomo altrettanti doni di Dio.

4. Una comune responsabilità. La tutela dell’ambiente costituisce una sfida per l’umanità intera. Si tratta del dovere, comune e universale, di rispettare un bene collettivo destinato a tutti, alle generazioni umane presenti e a quelle che verranno. E se è vero che esistono accordi internazionali di vario genere per tutelare il Creato, è pur vero che detti accordi non sono mai stati puntualmente rispettati e in qualche caso neppure sottoscritti. Le norme giuridiche non bastano se accanto ad esse non matura un forte senso di responsabilità e un effettivo cambiamento nella mentalità e negli stili di vita. Tutti i Paesi, in particolare quelli sviluppati, devono avvertire come urgente l’obbligo di riconsiderare le modalità d’uso dei beni naturali.

Uno speciale rispetto merita la relazione che i popoli indigeni hanno con la loro terra e le sue risorse: si tratta infatti di un’espressione fondamentale della loro identità. Un accenno all’uso delle biotecnologie: l’uomo non compie un atto illecito quando, rispettando l’ordine, la bellezza e l’utilità dei singoli esseri viventi e la loro funzione nell’ecosistema, interviene modificando alcune loro caratteristiche e proprietà. Ma occorre agire con prudenza e senso di responsabilità, rispettando nel dubbio il “principio di precauzione”. Fra i beni ambientali da tutelare un rilievo particolare ha l’acqua, la cui carenza notoriamente incide sul benessere di un numero enorme di persone ed è spesso causa di malattie, sofferenza, povertà, conflitti e morte. Eppure anche all’acqua dovrebbe essere rigorosamente applicato il principio della destinazione universale dei beni. Per la sua stessa natura, l’acqua non può essere trattata come una merce tra le altre e il suo uso deve essere razionale e solidale. La distribuzione dell’acqua rientra, tradizionalmente, fra le responsabilità degli enti pubblici, perché l’acqua è sempre stata considerata come un bene pubblico, caratteristica che va mantenuta anche qualora la gestione venga affidata al settore privato. Senza l’acqua la vita è minacciata. Dunque il diritto all’acqua è un diritto universale e inalienabile.

CAPITOLO UNDICESIMO – La promozione della pace

1. Aspetti biblici. Nella Rivelazione biblica la pace, lungi dall’essere una costruzione umana, è un sommo dono di Dio a tutti gli uomini, che peraltro comporta l’obbedienza al Suo piano. Tradito che sia questo, l’egoismo umano introduce la divisione e la conflittualità. Un mondo nuovo di pace, che abbraccia l’intero Creato, è promesso per l’era messianica. Il Messia è definito “Principe della pace”. “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo Io la do a voi”, annuncia Gesù (Gv 14, 27). E analogamente il Risorto, ogni volta che incontrerà i suoi, darà loro il saluto e il dono della pace. La pace di Cristo è la riconciliazione con il Padre e con i fratelli. Riconciliato con Dio e con i fratelli, il cristiano potrà avere la beatitudine: “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio”.

2. La pace: frutto della giustizia e della carità. Anche a livello sociale, la pace non è semplicemente assenza di guerra o uno stabile equilibrio fra forze, ma si fonda su una corretta concezione e sul rispetto della persona umana e richiede l’edificazione di un ordine secondo giustizia e carità, l’ordine voluto da Dio. Ogni causa di conflitto deriva dall’inosservanza di uno o più di questi fattori. A fronte di ogni divisione, la violenza non costituisce mai una risposta giusta.

3. Il fallimento della pace: la guerra. La guerra è un flagello e non è mai un mezzo idoneo per risolvere i problemi che sorgono tra gli Stati. Una guerra di aggressione non è mai accettabile in quanto intrinsecamente immorale. Qualora si scateni, lo Stato aggredito ha il diritto e il dovere di organizzare la difesa, anche usando le armi e nell’eventualità che ogni mezzo pacifico per porvi rimedio si riveli impraticabile o inefficace. Esiste cioè un diritto alla difesa. Le azioni belliche preventive suscitano egualmente gravi interrogativi sotto il profilo morale e giuridico. Le esigenze della legittima difesa giustificano l’esistenza, negli Stati, delle forze armate, la cui azione deve essere posta al servizio della pace. Coloro i quali presidiano con tale spirito la sicurezza e la libertà di un Paese danno un autentico contributo alla pace. Ogni membro delle forze armate è moralmente obbligato ad opporsi agli ordini che incitano a compiere crimini contro il diritto delle genti e i suoi principi universali. L’obiezione di coscienza di chi si oppone a qualsiasi uso della forza va rispettata dalle leggi dello Stato. Il diritto all’uso della forza per scopi di legittima difesa è ovviamente associato al dovere di proteggere e aiutare le vittime innocenti che non possono difendersi dall’aggressione e all’obbligo di tenere al riparo la popolazione civile dagli effetti della guerra (principio di umanità). Il genocidio, e cioè l’eliminazione di interi gruppi nazionali, etnici, religiosi o linguistici, è un delitto contro Dio e contro l’umanità e i responsabili devono essere chiamati a rispondere di fronte alla giustizia. Una punizione degli Stati che violino le regole della convivenza internazionale e mettano in pratica gravi forme di oppressione della popolazione è anche data dalle sanzioni. Fra esse, quelle di carattere economico (ad esempio, il cosiddetto embargo economico) dovrebbero essere usate con grande ponderazione, perché colpiscono anche e forse soprattutto chi non è responsabile del comportamento illecito. Se un tempo l’aggressione avveniva con le armi tradizionali, le moderne armi di distruzione di massa rappresentano una minaccia particolarmente grave e caricano chi le possiede di un’enorme responsabilità. La Dottrina Sociale della Chiesa propone con forza il traguardo di un disarmo generale, equilibrato e controllato. Esso dovrebbe iniziare con la messa al bando delle armi che colpiscono in modo indiscriminato anche molto tempo dopo il termine delle ostilità. Va poi applicato il principio di sufficienza, in virtù del quale uno Stato può possedere unicamente i mezzi necessari per la sua legittima difesa. L’eccesso nella detenzione delle armi non è per alcuna ragione giustificabile. Un accenno infine al terrorismo. Trattandosi di una delle forme più brutali di violenza che sconvolge la comunità internazionale, esso va condannato nel modo più assoluto. Va in particolare rilevato che nessuna religione può tollerare il terrorismo e tanto meno predicarlo. È profanazione e bestemmia proclamarsi terroristi in nome di Dio.

4. Il contributo della Chiesa alla pace. La promozione della pace nel mondo è parte integrante della missione con cui la Chiesa Cattolica continua l’opera redentrice di Cristo sulla terra. Essa insegna che una vera pace ha inizio col perdono reciproco, seguito dalla riconciliazione. Ovviamente nel rispetto della giustizia e della verità, che rappresentano le premesse della riconciliazione. Ma unitamente ad ogni più opportuno intervento di carattere sociale, la Chiesa lotta per la pace con la sua arma più efficace: la preghiera. All’inizio di ogni anno, quando si ricorda la Regina della Pace, la Giornata Mondiale della Pace è un invito rivolto alla mente ed al cuore dei Cristiani e di ogni uomo di buona volontà affinché cooperi alla costruzione di un mondo di pace.

Indice dei podcast trasmessi [QUI]

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Foto di copertina: Ambrogio Lorenzetti, Effetti del Buon Governo in Città (dettaglio) (fa parte di Allegoria ed Effetti del Buono e del Cattivo Governo, una serie di affreschi realizzati da Lorenzetti, contemporaneo al periodo del Governo dei Nove, volendo dare una rappresentazione del governo e delle conseguenze positive dello stesso nella società, e nella vita nella Città di Siena), 1338-40, affresco su parete, 200×720 cm, Sala della Pace, Palazzo Pubblico, Siena, Italia.
«Amate la giustizia voi che governate questa terra»
Gli affreschi del Buon e del Cattivo Governo di Siena
In Toscana, i frutti più nobili del lavoro e della creatività umana risalgono all’epoca in cui le città raggiunsero in Italia un livello di vita avanzatissimo e costituirono degli Stati il cui obiettivo non era la potenza ma il benessere dei cittadini. La riproduzione più significativa di questa epoca è quella degli affreschi del Buon e del Cattivo Governo, dipinti fra il 1337 ed il 1339 da Ambrogio Lorenzetti nella Sala dei Nove del Palazzo Pubblico di Siena e che rimangono di una grande importanza per il mondo contemporaneo. Furono commissionati ad Ambrogio Lorenzetti dal Governo dei Nove, che governò Siena dal 1287 al 1355, nel momento in cui la città è all’apogeo della sua potenza e della sua ricchezza ed è una delle quindici città più importanti d’Europa. Una potenza ed una ricchezza che Siena deve alla Via Francigena, una rete di strade e stradine che seguono i pellegrini provenienti dalla Francia per andare a Roma, che è anche un’arteria fondamentale per gli scambi ed il commercio fra l’Oriente e l’Occidente. Grazie a questa strada i mercanti senesi possono esportare i loro beni verso il nord dell’Europa ed importare d’Oriente spezie, tessuti e pietre preziose, come gli stili artistici ed i colori che ne fanno ancora il suo splendore. Con questi affreschi, Lorenzetti è chiamato a fare l’elogio del modello politico sofisticato della Repubblica di Siena.
Nell’allegoria del Buon Governo, la dama vestita di rosso porpora ed oro è la Giustizia, con la frase Amate la giustizia voi che governate questa terra, che apre il Libro della Saggezza. La stessa frase si legge nella pergamena che Gesù tiene in mano nella Maestà di Simone Martini, che si trova nella Sala del Mappamondo, dove si riuniva il Gran Consiglio di Siena, il Parlamento della Città. È la frase che Dante vede apparire nel cielo del Paradiso.
Le altre due figure che sono al centro del dipinto, sono la Saggezza e la Concordia, che sono legate da una corda ai cittadini che a loro volta la passano al Comune di Siena, rappresentato da una persona vestita in bianco e nero, i colori della Città. Tutti i dettagli dell’allegoria fanno riferimento alla concezione filosofica e del mondo di Aristotele e di San Tommaso d’Aquino, che sono l’essenza della Divina Commedia.

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Nelle immagini che riproducono gli effetti del Buon Governo, Lorenzetti ha dipinto le sue caratteristiche e le sue conseguenze. Tutti si danno da fare e lavorano ad ogni angolo di strada; i contadini scambiano i loro prodotti e parlano con gli abitanti della città. I bambini giocano. Le fanciulle danzano, una donna in rosso convola a nozze e fonda una nuova famiglia, in un quadro di pace e serenità. Un’atmosfera che si oppone a quella di guerra e di distruzione provocata dal cattivo governo, rappresentato nell’allegoria del cattivo governo, i suoi effetti in città ed i suoi effetti in campagna.

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L’allegoria del Cattivo Governo è dominata da una figura con le corna, il tiranno, che è strabico. Il tiranno non è per Lorenzetti, e la sua epoca, il dittatore. Il tiranno è colui che non pensa che ai suoi interessi e non vede il bene comune.
Nel 1310, il governo di Siena ha fatto tradurre gli Statuti della Città in toscano, affinché tutti i Senesi possano capire le leggi e le regole della vita comune. Nel 1337, commissionando gli affreschi a Lorenzetti, il Governo dei Nove vuole dire a tutti i cittadini, anche coloro che non sanno leggere, che la miglior forma di governo possibile è la repubblica.
I 9 che componevano il governo della Repubblica di Siena assumono il loro compito a rotazione, per un periodo di 3 a 6 mesi, restano rinchiusi nel Palazzo durante tutto il periodo del loro mandato per essere totalmente a servizio dei loro ideali e dedicarsi interamente alla missione del Bene Comune, che si oppone all’interesse particolare. Il nome originario degli affreschi è “il Bene Comune e la Pace” ed è solamente nel XVII secolo che vengono chiamati “Il Buon e il Cattivo Governo”.
Gli affreschi del Buon e del Cattivo Governo fanno comprendere che è sul rispetto dei valori etici come la giustizia, la saggezza, la concordia, che riposa il buon governo, quello che assicura il “Bene Comune”, il bene di tutti. Essi fanno vedere che è nelle città che è nato quel sistema di governo straordinario che è stato quello delle repubbliche italiane del Medio Evo, le Città-Stato, in cui un terzo dei cittadini partecipavano concretamente alla vita pubblica e politica. Essi ricordano che queste Città-Stato avevano fondato la loro potenza e la loro ricchezza sul commercio e lo scambio con il resto del mondo e che quelle società fiorenti furono il punto di partenza del Rinascimento, che avrebbe contribuito allo sviluppo dell’Europa e dell’umanità.

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