I due saranno uno. A proposito del “libello di ripudio” in Marco 10,2-9

È stato pubblicato sul canale Speaker dell’Ufficio Stampa della Real Commissione per l’Italia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio il podcast in riferimento al brano in cui Marco ci pone di fronte ad un caso pragmatico ed emblematico in cui il Maestro viene messo alla prova dai suoi detrattori che vogliono in ogni modo coglierlo in fallo. Nel podcast, il Referente per la Formazione della Delegazione di Roma e Città del Vaticano, il Prof. Enzo Cantarano, Cavaliere di Merito con Placca d'Argento, osserva, che la pari dignità e somiglianza con il Creatore dell’uomo e della donna sono alla base anche del profondo legame che li unisce nel matrimonio, che è superiore a qualsiasi altro, compreso quello coi genitori. Nei comandamenti viene subito dopo i rapporti con Dio, perché è così intimo e profondo sul piano del corpo e dello spirito, da formare un solo essere ed è, conseguentemente, indissolubile. Di seguito riportiamo l’audio e il testo del podcast.
Copertina

Podcast 2-13 – I due saranno uno. A proposito del “libello di ripudio” in Marco 10,2-9

Il Maestro è più volte messo alla prova dai suoi detrattori che vogliono in ogni modo coglierlo in fallo. Cercano, in modo particolare, di contrapporre alla Legge, secondo loro perfetta perché di origine divina, il suo insegnamento, per svergognarlo davanti al popolo che lo amava.

Nel nostro brano, Marco ci pone di fronte ad un caso pragmatico ed emblematico in tal senso. Tutto origina dal libro della Genesi: “Il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un suo pari che gli possa stare di fronte, occhi negli occhi». Così tramanda, in aramaico, l’Autore di Genesi 2,18.

La creazione dell’Adam, dell’Umanità, creata maschio (ish) e femmina (ishàh) è l’azione che Dio fece e l’opera che si invoca da lui è il ripristino della primitiva santità: “Dio, che hai creato l’uomo e la donna, perché i due siano una vita sola, principio dell’armonia libera e necessaria che si realizza nell’amore; per opera del tuo Spirito riporta i figli di Adamo alla santità delle prime origini, e dona loro un cuore fedele perché nessun potere umano osi dividere ciò che tu stesso hai unito.” (Cfr. Orazione Colletta della Domenica XXVII del Tempo Ordinario, anno B). Poi, con la caduta dei progenitori ed a causa della durezza dei cuori, non fu più così e Mosè pensò di fare, come si dice, “di necessità virtù”, dando forza di legge divina quello che era solo espressione della caducità umana.

L’uomo non esaurisce la propria vocazione nel dominio della materia, se vogliamo lasciar passare l’aggressiva traduzione di Genesi 1,28, che non parla, nella tradizione aramaica, di dominio o soggiogamento, ma di esplorazione e cura, e nello sforzo di migliorare le condizioni della sua vita; egli porta in sé anche il senso della sua incompletezza e l’esigenza dell’incontro con un essere capace di comunione con lui.

E proprio a questo incontro tra pari provvede con sollecitudine il Padre che, lui per primo, non è stato mai da solo, ma sempre in relazione “ad intra” con le altre Persone della Santissima Trinità, sa che la solitudine dell’uomo non può essere strutturale. E così come genera il Figlio, Dio da Dio, ma Figlio, consustanziale col Padre, ma altro da lui, analogamente crea la donna. Dall’uomo, ma della stessa sua sostanza, identica a lui, ma donna. Di fatto, è un altro se stesso che l’uomo scopre nella donna: “Questa volta essa è carne alla mia carne e osso dalle mie ossa”. Ed il Creatore proprio questo intese fare per l’uomo: un altro se stesso, ma diverso (di-vergo, cioè manifesto all’eterno e dono la mia alterità) e differente (di-fero, cioè porto dentro, arricchendomi con quella altrui).

La struttura sessuata dell’uomo e della donna, come tutta la loro esistenza corporea, deve essere compresa come presenza personale e individuale, ma aperta alla relazione, mediante il linguaggio, anche quello del corpo, espressione del riconoscimento della pari dignità dell’altro, dell’altra.

Il mistero “teofanico” dell’uomo e della donna non è nell’uomo e nella donna separatamente, ma nella comunione di tutte le loro persone in un vero dialogo fecondo e aperto.

E la comune origine ci è anche ricordata da Ebrei 2,11: “Infatti, colui che santifica (quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli Angeli e che vediamo coronato di gloria e di onore) e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo (lo stesso Gesù) non si vergogna di chiamarli fratelli”.

La pari dignità e somiglianza con il Creatore dell’uomo e della donna sono alla base anche del profondo legame che li unisce nel matrimonio. Questo legame è connotato da due elementi essenziali: è superiore a qualsiasi altro, compreso quello coi genitori, che nei comandamenti viene subito dopo i rapporti con Dio, perché è così intimo e profondo sul piano del corpo e dello spirito, da formare un solo essere ed è, conseguentemente, indissolubile.

A questo pensa Gesù, quando riafferma la indissolubilità del vincolo matrimoniale, che era stata scardinata dalla concessione del libello di divorzio. Gesù ha ribadito l’indissolubilità proprio perché il legame tra i due, al principio, ha la stessa valenza strutturale addirittura di quello che relaziona le tre Persone della Santissima Trinità.

Tanto serio è l’impegno reciproco! E Gesù non intende il matrimonio soltanto come istituzione esteriore: va in profondità. Tutta la persona deve mantenersi libera per l’altro. Per Gesù si tratta di dare all’amore la sua occasione più grande e duratura.

L’indissolubilità è un dono
più che una legge

Analizzando la storia del matrimonio attraverso i secoli si nota come l’evoluzione dei costumi ha favorito, presso quasi tutti i popoli, il passaggio dalla poligamia alla concezione monogamica del matrimonio, e questo ha portato due notevoli conseguenze parallele: la liberazione della condizione della donna, che da uno stato di inferiorità e di quasi schiavitù è passata gradualmente, almeno sulla carta, alla parità giuridica e sociale; e la scelta del “partner” nel matrimonio, come atto libero, personale, non più regolato dall’esterno. L’attrattiva sempre più forte verso il matrimonio fondato sul libero consenso dei coniugi non si accompagna però affatto ad una adesione volontaria alla legge dell’indissolubilità, dove essa figura nel codice religioso o anche civile. Questo perché dell’indissolubilità si è fatta una legge e non un dono e una conquista del matrimonio. Il dono del matrimonio, che Dio nella creazione ha fatto all’uomo, traduce qualcosa dell’insondabile profondità del dare, dell’amare, del consumarsi nell’altro che è proprietà dell’essere di Dio.

L’amore non muore mai

Attraverso i fatti e le traversie della vita l’amore tra due sposi è chiamato a trasformarsi e a rinnovarsi. Diventerà più concreto, più autentico. Non più vecchio, ma più maturo. Cioè sempre più adulto. Diversamente dalle altre realtà viventi, l’amore dell’uomo e della donna non va verso la morte. Perché l’amore dell’uomo è l’immagine e la somiglianza della Trinità di Dio e, dunque, è parte dell’amore di Dio, che è l’Eterno. Infatti leggiamo in 1Gv 4,12: “Se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi”. I Cristiani usano una parola per indicare che il rapporto d’amore fra due sposi è chiamato a non morire mai: «indissolubile».

Ma non si deve pensare ad un legame imposto dall’esterno, da una legge. Pensiamo, invece, che Dio, che ha chiamato gli sposi all’amore, li chiama a vivere un amore che non muore, perché cresce sempre e si rinnova. Concretamente, questo significa che l’amore sponsale è chiamato a superare ogni difficoltà presente e futura.

Un amore più forte delle difficoltà
Un amore che ha la forza stessa di Dio

Significa, inoltre, che l’assoluta indissolubilità del matrimonio — anche quando, in casi umanamente disperati, sembra priva di significato — mantiene, tuttavia, il suo senso profondo di partecipazione all’amore di Cristo fino alla crocifissione. Come il Cristo non ha abbandonato né l’umanità quando lo inchiodavano sulla croce, così ogni matrimonio contratto “nel Signore”, conserva l’indissolubilità del legame fra Cristo e la comunità dei suoi fedeli, anche quando è divenuto una crocifissione.

La presenza di Cristo nel matrimonio del credente non esclude, quindi, a priori, incompatibilità di carattere, errori nella scelta matrimoniale, difficoltà con i figli, problemi economici o sociali, malattie,… ma significa che, per i credenti, il rapporto, la relazione all’altro, agli altri, cioè Cristo, è sempre presente; Gesù da forza, conforto, speranza, mentre fa osservare come sia sempre meglio dare che ricevere (cf At 20,35). Chi si impregna di questo spirito nei giorni felici, potrà continuare a vivere di questa speranza nelle ore difficili.

Colpisce l’accostamento che l’Evangelista Marco, sempre nella sua ottica di annuncio di una lieta notizia, quella della venuta del Figlio di Dio come Messia liberatore anche da norme umane fatte passare per ordini divini, fa tra il pronunciamento di Gesù sul Matrimonio e la sua irritazione per il comportamento dei suoi discepoli nei confronti dei bambini che gli venivano presentati perché li toccasse: “Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso. E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro”.

I bambini, certo, a cosa altro dovrebbe rimandare il richiamo di Gesù a riportare il matrimonio al suo primitivo significato, quello voluto dal Padre Creatore? La fecondità responsabile non è forse, nella economia trinitaria, la fondamentale azione “ad extra”, comune a tutte e tre le Persone, relativa alla Creazione e all’azione permanente sul Creato? In relazione perfetta alle azioni “ad intra”, proprie di ognuna delle persone e relative alla paternità, alla filiazione e alla mutua comunione nell’amore? È proprio la mutua comunione e comunicazione di Amore intima alle Tre Persone che genera la fecondità della coppia umana fatta “ad intra”, dalla relazione di due persone, ciascuna immagine e somiglianza con la Santissima Trinità, ma, una volta tornate ad essere, nel matrimonio, un’unica entità, una sola carne, chiamate, “ad extra”, a generare nuova vita.

Indice dei Podcast pubblicati [QUI]

Foto di copertina: Raffaello Sanzio, Sposalizio della Vergine, 1504, olio su tavola, 170×117 cm, realizzato per la chiesa di San Francesco a Città di Castello, oggi conservato nella Pinacoteca di Brera a Milano.
Lo sposalizio di Maria e Giuseppe avviene in primo piano, con al centro un sacerdote che, tenendo le mani di entrambi, officia la funzione. Come da iconografia tradizionale, dal lato di Maria, in questo caso la sinistra, si trova un gruppo di donne, da quello di Giuseppe di uomini, tra cui uno, presente in tutte le versioni del soggetto, che spezza con la gamba il bastone che, non avendo fiorito, ha determinato la selezione dei pretendenti. Maria infatti, secondo i Vangeli apocrifi, era cresciuta nel Tempio di Gerusalemme (quindi con uno stile di vita casto, simile a quello delle monache) e quando fu giunta in età da matrimonio venne dato a ognuno dei pretendenti un ramo secco, in attesa di un segno divino: l’unico che fiorì fu quello di Giuseppe.

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Dio presenta Eva ad Adamo
Mosaico del Ciclo del Paradiso Terrestre, Duomo di Monreale. Nel testo in latino si legge: “Il Signore condusse la donna da Adamo e Adam disse: questa volta essa è osso dalle mie ossa e carne dalla mia carne.

Dio presenta Eva ad Adamo

Il riferimento è a Genesi 2,18-25: «Poi il Signore Dio disse: “Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile”. Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche, ma l’uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: “Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tolta”. Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne. Ora tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna».
Buona parte della cattedrale di Monreale è rivestita da mosaici di scuola bizantina a fondo oro, realizzati a cavallo tra il XII ed il XIII secolo da maestranze in parte locali e in parte veneziane, formatesi alla scuola bizantina. I mosaici che rivestono l’interno del Duomo presentano caratteristiche stilistiche e decorative nuove rispetto al passato nonostante le evidenti similitudini – sia a livello stilistico che iconografico – con le decorazioni musive della Cappella Palatina ma dai colori più smorzati.
Obiettivo di Guglielmo II fu infatti quello di realizzare un complesso artistico senza precedenti che potesse mostrare la magnificenza raggiunta dalla città durante il periodo della dominazione normanna.
I mosaici che adornano il Duomo rappresentano prevalentemente (almeno nelle pareti del capo croce e della navata centrale) le storie dell’Antico e del Nuovo Testamento, comprendendo svariati episodi biblici che vanno dai sette giorni della creazione alla fondazione della Chiesa di Cristo sulla terra per mezzo degli Apostoli. A tali raffigurazioni si innestano poi altre decorazioni musive rappresentanti uno schieramento ieratico di angeli, santi e profeti.
La sequenza dei mosaici segue uno schema preciso in osservanza di un principio stabilito sotto il pontificato di Papa Adriano I nel VII Concilio Ecumenico del 787: l’arte è subordinata ed al servizio della religione e della liturgia ed il fedele può, proprio attraverso l’arte, apprendere degli insegnamenti Cristiani.
Le singole scene sono ricche di particolari realistici: ad esempio i legacci che reggono le impalcature della torre di Babele, i coltelli presenti sulla tavola delle nozze di Cena (lato sinistro della crociera del transetto, in alto), le monete che rotolano dal tavolo rovesciato da Cristo quando scaccia i profanatori dal tempio (a metà circa della navata laterale sinistra) o l’incredibile varietà di pesci raffigurati sia nella creazione che impigliati nella rete dei pescatori nell’episodio della pesca miracolosa (braccio sinistro del transetto). Molti sono anche i simboli utilizzati, quali, ad esempio, la nuvola che avvolge il corpo di chi è addormentato (si veda l’apparizione dell’angelo a Giuseppe nella crociera del transetto sulla destra) o l’omino scuro presente in parecchie scene che rappresenta il diavolo, scacciato dal corpo degli indemoniati o dei malvagi. Particolare è l’immagine dell’anima di Abele raffigurata come un ornino rosso di sangue versato.
Seguendo l’asse longitudinale della navata principale della Chiesa, è possibile identificare le scene della Creazione che cominciano all’estremità orientale della parete destra con gli episodi legati al Paradiso terrestre per poi terminare con l’episodio della lotta di Giacobbe con l’angelo all’estremità orientale sinistra.
Nel transetto è invece rappresentata la vita di Cristo: il corpo centrale è dedicato agli episodi della sua infanzia, mentre il braccio destro e quello sinistro sono rispettivamente dedicati alla sua vita pubblica e alla sua Passione con annessi gli eventi dell’Ascensione e della Pentecoste.
Nei mosaici di Monreale si è voluto dedicare ampio spazio alla vicenda della creazione dell’uomo e della donna e alle prime relazioni fra loro: sono ben dieci, infatti, le scene che raccontano la vita dei progenitori dalla loro creazione fino alla cacciata dal Paradiso terrestre. Questo costituisce un unicum rispetto ad altre rappresentazioni della creazione e va inteso come un indizio che porta a vedere l’intero ciclo di Monreale incentrato sull’uomo, sulla sua dignità e sul progetto di redenzione che Dio ha su di lui. Suggestivo e particolare è l’atteggiamento di gioia di Adamo nel momento in cui Dio gli presenta la donna: questa gioia esprime un significato più profondo che va ricercato nella iniziale solitudine di Adamo che, sebbene fosse stato posto nel creato dove poteva disporre dei frutti della terra e soggiogare gli animali, non aveva trovato nessuno che gli fosse simile. Singolari sono le rappresentazioni di Eva sola che dialoga con il serpente e la scena che rappresenta il peccato originale nella quale si nota come non si possa distinguere chi dà il frutto all’altro, proprio per bilanciare la responsabilità dei progenitori della colpa di avere trasgredito il comando di Dio.
Leggendo Genesi 2,18-25, si sottolinea che l’essere umano è, per volontà divina, maschio e femmina, per cui la duplicità sessuale non è motivo di divisione, ma di incontro, di dialogo, di fecondità; Dio ha voluto, fin dall’inizio, che esistesse parità fra Adamo ed Eva. Questo concetto è evidenziato dal fatto che essa viene estratta dal fianco, esprimendo la parità perché indica che si trovano sullo stesso piano. L’uomo trova la propria realizzazione nella relazione con la donna, differente, ma essenziale nella dualità perché complementare. La parità non va giustificata solo da un punto di vista culturale, ma soprattutto ontologico: l’uomo e la donna hanno pari dignità poiché insieme sono l’immagine di Dio, non separatamente.

Intuarsi

Nella Divina Commedia c’è una frase che pochi conoscono ma è la più bella definizione di amore mai data in tutta la storia della letteratura. Siamo nel Terzo Cielo del Paradiso. E a un certo punto Dante mentre parla con lo spirito di un beato, Folchetto da Marsiglia, usa questa parola “intuarsi”:

s’io m’intuassi, come tu t’inmii

“Intuarsi” è una parola straordinaria! Ma cosa significa?

Significa entrare nel cuore e nella mente dell’altra persona. Da due diventare uno. Intuarsi non significa annullarsi nell’altra persona, ma indossare, anche per un istante, la sua pelle, la sua anima. E permettere all’altro di fare lo stesso con noi. Perché l’amore è questo: reciprocità. Tendere la mano verso l’altro. Entrare dentro l’altro. Solo chi ama conosce e solo chi conosce ama.

Intuarsi esprime qualcosa che noi abbiamo perduto, il senso delle relazioni tra le persone. La forza del “noi”. In una società che sa dire soltanto “io”, abbiamo bisogno di tornare a intuarci l’uno nell’altro.

Ma questa parola racchiude anche un altro segreto, come “inforsarsi”. O il bellissimo “insemprarsi”, star dentro l’eternità, o ancora “incielarsi”, diventare tutt’uno con il cielo. Cosa hanno in comune queste parole? Quando Dante usa la parola “inforsarsi” non dice soltanto sono in forse ma sono “dentro” il forse. Perché l’unico modo per capire e amare è essere «dentro» le cose. Come quando fai l’amore. Essere dentro una sensazione, uno stato d’animo, un’emozione con tutto te stesso, fino a diventare quell’emozione. Fino a sentirla con ogni fibra del tuo essere, della tua mente e del tuo cuore. Capite ora la bellezza di queste parole? In un’epoca di superficialità estrema, di relazioni poco profonde, di sentimenti vuoti, in un’epoca in cui ci teniamo sempre a distanza e siamo lontani dal cuore delle cose, Dante ci ricorda l’importanza di sentire intensamente. Di amare fortissimamente (Guendalina Middei, Grazie alla pagina Incredibile).

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