La Delegazione Napoli e Campania partecipa al solenne Pontificale in onore di San Matteo Apostolo ed Evangelista a Salerno

La Città di Salerno e l’Arcidiocesi di Salerno-Campagna-Acerno hanno vissuto, con il solenne Pontificale celebrato la mattina di domenica 21 settembre 2025, presso la cattedrale primaziale metropolitana di Santa Maria degli Angeli, San Matteo e San Gregorio VII in Salerno, uno dei momenti più intensi delle celebrazioni per la solennità di San Matteo Apostolo ed Evangelista, patrono cittadino e diocesano. Un momento particolarmente sentito, che ha unito tradizione e fede, rinnovando l'identità comunitaria civile ed ecclesiale unita attorno al santo protettore, con l’impegno a testimoniare i valori evangelici sulla testimonianza di San Matteo. “San Matteo, dono di Dio, ci parla dell’esperienza del suo incontro con Gesù. Gesù che sceglie un pubblicano perché non c’è peccato che non possa essere vinto dal suo Amore”, ha osservato l’Arcivescovo metropolita Mons. Andrea Bellandi, per poi ringraziare della sua presenza S.Em.R. il Signor Cardinale Angelo De Donatis, Penitenziere Maggiore di Sua Santità Papa Leone XIV, il quale ha anche portato, con annessa indulgenza, la Benedizione Apostolica del Santo Padre, di cui Mons. Bellandi ha dato lettura all’inizio del Sacro Rito, al termine del quale il clima di festa ha dimostrato ancora una volta il profondo legame che Salerno lega a San Matteo, figura che accompagna la storia, la fede e la vita della comunità.
San Matteo

In un duomo di Salerno gremito di fedeli, è stato celebrato domenica 21 settembre 2025 alle ore 11.00 il solenne Pontificale in onore di San Matteo Apostolo ed Evangelista, presieduto da S.Em.R. il Signor Cardinale Angelo De Donatis, Penitenziere Maggiore di Sua Santità Papa Leone XIV, concelebranti l’Arcivescovo metropolita di Salerno-Campagna-Acerno Mons. Andrea Bellandi, Primate dell’antico Principato della Lucania e del Bruzio; il Vescovo Ausiliare Mons. Alfonso Raimo; il Cappellano Capo della Delegazione di Napoli e Campania dell’Ordine Costantiniano, Fra Sergio Galdi d’Aragona, OFM, Cappellano di Giustizia, Commissario Generale di Terra Santa in Napoli (Campania, Abruzzo, Basilicata, Calabria e Puglia); Don Lorenzo Gallo, Cappellano di Merito; e i presbiteri diocesani e religiosi.

L’animazione liturgica è stata curata dal Coro della Diocesi di Salerno, diretto dal Maestro Remo Grimaldi, insieme alle corali parrocchiali della Città, che hanno accompagnato con canti solenni i momenti più significativi della Celebrazione Eucaristica.

Hanno prestato picchetto d’onore all’altare maggiore, alcuni militari della Guardia di Finanza, in quanto San Matteo è il Santo Patrono dell’Arma, mentre due agenti della Polizia Locale in Alta Uniforme hanno prestato picchetto d’onore al Labaro della Città di Salerno, con lo Stemma costituito di uno scudo sannitico troncato, con nel primo d’azzurro è presente la figura del patrono San Matteo al naturale, barbuto e canuto, aureolato, sormontato da corona murata, uscente dalla partizione, drappeggiato di rosso e di verde, poggiante la mano sinistra sull’orlo superiore delle pagine aperte del Libro del Vangelo, tenente con la destra una penna d’oca; nel secondo fasciato d’oro e di rosso.

Ha partecipato una rappresentanza della Delegazione di Napoli e Campania del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, oltre che delle rappresentanze del Sovrano Militare Ordine di Malta, dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, nonché delle varie congreghe, confraternite e associazioni religiose e laiche del territorio, dei Corpi di Soccorso tra cui la Croce Rossa Italiana, della Protezione Civile, vivendo una suggestiva giornata nel segno della pace e della fraternità.

La rappresentanza della Delegazione di Napoli e Campania del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio ha partecipato al Sacro Rito su invito dell’Arcivescovo metropolita Andrea Bellandi e del Parroco del duomo, Don Felice Moliterno, per il tramite dei Confratelli salernitani Prof. Italo Valente e LgT Raffaele Sguazzo, Cavalieri di Merito ed era guidata, in rappresentanza del Delegato, Conte Don Gianluigi Gaetani dell’Aquila d’Aragona dei Duchi di Laurenzana, Cavaliere di Giustizia, dal Segretario Generale ad interim, Nob. Antonio Masselli, Cavaliere de Jure Sanguinis; dal Responsabile della Comunicazione ad interim Prof. Antonio De Stefano, Cavaliere di Merito con Placca d’Argento; e dal Responsabile del Cerimoniale ad interim, Dott. Domenico Giuseppe Costabile, Cavaliere di Merito; con i Cavalieri di Merito con Placca d’Argento, Avv. Gesualdo Marotta e Avv. Alessandro Franchi, oltre i menzionati Cavalieri salernitani.

Hanno presenziato tra gli altri, testimoniando ancora una volta il profondo legame della Città di Salerno con il santo patrono, autorità religiose, civili e militari; i vertici provinciali e regionali delle Forze dell’Ordine, della Guardia di Finanza, dei Carabinieri, della Polizia di Stato e Locale, della Capitaneria di Porto, dell’Esercito, della Marina, dei Vigili del Fuoco, ecc.; esponenti delle istituzioni, tra cui il Sindaco di Salerno, Dott. Vincenzo Napoli, e i Sindaci di Pellezzano, San Cipriano Picentino, Siano, Mercato San Severino e Salvitelle; il Prefetto, Francesco Esposito; il Questore, Giancarlo Conticchio; il Deputato On. Piero De Luca; rappresentanti dell’amministrazione e del Consiglio comunale dei Comuni del territorio, della giunta e del Consiglio provinciale e regionale.

All’inizio della celebrazione, l’Arcivescovo Andrea Bellandi ha espresso i ringraziamenti per la partecipazione delle autorità civili e militari, delle forze dell’ordine, degli ordini cavallereschi e delle varie associazioni, ecc. Ha espresso sentimenti di profonda gratitudine rivolti al Cardinal De Donatis per la sua presenza e aver accolto l’invito a presenziare alle sacre funzioni nella solennità del santo patrono e la sua vicinanza alla comunità salernitana.

In un gesto di particolare significato spirituale, il Penitenziere Maggiore ha donato all’Arcidiocesi la Benedizione del Santo Padre, con annessa indulgenza, di cui l’Arcivescovo metropolita ha dato lettura.

Durante il suo intervento Mons. Bellandi ha posto l’accento sulla figura di San Matteo, sottolineandone l’attualità e la forza della sua conversione: «San Matteo, dono di Dio, ci parla dell’esperienza del suo incontro con Gesù. Gesù che sceglie un pubblicano, perché non c’è peccato che non possa essere vinto dal suo Amore».

Nella sua omelia (di cui riportiamo di seguito il testo integrale), il Cardinale Angelo De Donatis ha proposto una profonda riflessione sul passo evangelico della chiamata di Matteo (Lc 16,1-13): «Il Signore è in cammino, l’uomo peccatore è seduto, fermo, immobile. Ma uno sguardo e una parola cambiano la scena: “seguimi”. Qui trova radice la nostra vita Cristiana». Ha poi sottolineato come lo sguardo di Cristo sia «uno sguardo eterno che ci rinnova, ci converte e ci rende credibili testimoni del Vangelo», invitando ad avere fede nell’amore unico di Dio, fonte di unità.

Il Cardinal De Donatis ha rivolto un forte appello per la pace, esortando a invocare l’intercessione di San Matteo per ottenere una pace “disarmata e disarmante”, tanto urgente in un tempo segnato da guerre e divisioni.

Ha poi richiamato l’attenzione sull’importanza dell’unità nella fede, sottolineando come essa sia frutto non di meri sforzi umani, ma dono dell’amore di Dio, che ci sceglie e ci unisce nel suo disegno di salvezza.

In uno dei passaggi più intensi dell’omelia, il Penitenziere Maggiore ha evidenziato la necessità di superare il semplice “donare” per giungere alla vera “misericordia”, che significa “consumarsi” per amore, un’offerta totale di sé, come ha fatto Cristo sulla croce, e come ha saputo fare San Matteo, lasciando tutto per seguire il Maestro. Proprio la figura dell’evangelista è stata indicata come “fonte di ispirazione”: San Matteo, passato dal banco delle imposte a una sequela umile e coraggiosa, rappresenta il segno della grazia che trasforma e rinnova. L’incontro con il Signore, come per Matteo, è capace di cambiare radicalmente la vita di ciascuno.

Infine, il Cardinal De Donatis ha ricordato come la festa di San Matteo rappresenti per Salerno un momento di profonda unione, in cui la fede si intreccia con l’identità della comunità, rinsaldando i legami spirituali e civili che da secoli legano il Santo alla città.

Al termine del Sacro Rito, la Rappresentanza Costantiniana ha colto l’occasione per porgere un saluto al Cardinale Angelo De Donatis e all’Arcivescovo Andrea Bellandi. In particolare il Nob. Antonio Masselli ed il Prof. Antonio De Stefano hanno portato i saluti del Delegato, con i ringraziamenti per il gradito invito, che ha permesso di vivere particolari momenti di fede e di spiritualità. L’Arcivescovo ha ricambiato i saluti, esprimendo vivo apprezzamento ringraziando per la partecipazione dei Cavalieri Costantiniani.

Ricordiamo, che i cordiali rapporti tra l’Arcidiocesi di Salerno-Campagna-Acerno e la Delegazione di Napoli e Campania del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio sono stati consolidati in occasione della celebrazione della Santa Messa, presieduta da Mons. Andrea Bellandi, per il Pellegrinaggio della Delegazione presso il Sepolcro di San Matteo Apostolo ed Evangelista, nella cripta del duomo di Salerno, il 18 giugno 2021.

Servizio fotografico a cura dei Cavv. Prof. Antonio De Stefano e Avv. Alessandro Franchi, di Francesco Pecoraro/Salerno Today e dell’Ufficio Comunicazioni Sociali dell’Arcidiocesi di Salerno-Campagna-Acerno.

Omelia del Cardinale Angelo De Donatis

Carissimi fratelli e sorelle,

la solennità di San Matteo si colloca, per questa comunità diocesana, mentre si avvia il nuovo anno pastorale e le pagine della Scrittura vi sostengono e vi donano luce nel dare sostanza ai percorsi della vostra Chiesa e delle vostre comunità.

La pagina evangelica si apre con due azioni opposte tra loro: da un lato il Signore è in cammino (mentre andava via) e dall’altro Matteo è seduto al banco delle imposte.

Il Figlio di Dio è in movimento, l’uomo peccatore è, invece, seduto, fermo, immobile. Il movimento di Gesù indica l’uscita da sé stesso, la disponibilità ad andare incontro agli altri, l’ansia e l’urgenza salvifica, l’ansia di annunciare, senza rallentamenti, la bellezza del Vangelo e la solidità del Regno di Dio.

Il peccatore è seduto, tutto concentrato, troppo attento al proprio io, totalmente occupato da sé stesso, troppo curvo nel contare i soldi, troppo affannato da un accumulare senza carità, troppo concentrato per non accorgersi dell’altro, affettivamente congelato perché l’altro diventa solo un oggetto da ingannare e da sfruttare. L’uomo, il cui cuore è in movimento, è libero, l’uomo seduto è schiavo e non riesce proprio a sentire la leggerezza della figliolanza, non riesce proprio a sentire la forza di quello che Paolo, nella seconda lettura, dice di se stesso: io prigioniero a motivo del Signore.

Ma uno sguardo ed una parola cambiano la scena: vide e “seguimi”. Qui dentro si gioca il futuro della nostra identità e anche la solidità delle nostre comunità, qui dentro c’è la radice di ogni percorso pastorale, di ogni esistenza, qui trova sorgente e radice la nostra vita cristiana.

Non si tratta subito di mettersi all’opera, di cominciare a fare, di progettare in modo geometrico piani e azioni di evangelizzazione, ma di partire contemplando uno sguardo che ci ha sedotti e una Parola che ci ha rigenerati.

Oggi questa Chiesa, ognuno di noi sente il fascino di quello sguardo, uno sguardo che ci ha conquistati. Perché quello sguardo è così decisivo? Esso esprime la realtà di un amore totale che ci ha avvolti; è uno sguardo impregnato del fuoco dello Spirito, che ci abbraccia e ci coinvolge In quello sguardo ci sentiamo generati, in quello sguardo ci sentiamo nuovamente creati, partoriti ad una vita meravigliosa che non ha mai fine. E’ lo sguardo eterno di Dio che si è posato, senza mai interrompersi, sull’unicità di ciascuno di noi e che ci commuove, ci scuote, ci converte, ci rinnova. Sarebbe proprio una grazia se ogni nostra azione pastorale, se tutto ciò che stiamo pensando per le nostre comunità, sia preceduto dalla contemplazione dello sguardo del Signore sulla nostra comunità.

La Parola seguimi non ha alcuna introduzione, nessuna premessa, nessuna spiegazione, non offre chiarimenti su condizioni e regole, diremmo noi oggi, d’ingaggio. E’ una parola lapidaria e se ci, facciamo caso, quando il Signore, dice a qualcuno “seguimi” sta chiedendo tutto, davvero tutto. Si mette in moto l’amore, tutto l’amore che ci è stato ricordato nel testo del Deuteronomio: amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Il Signore vuole fissare, scolpire nel cuore il suo interesse di bene per ciascuno di noi e ci chiede una totalità che non lascia niente a noi stessi. Si entra in una dinamica di gratuità che fa della sequela, senza parole, la sostanza della nostra testimonianza. Rispondere al seguimi del Signore significa spogliarsi, farsi poveri, per dare tutto.

Il punto sarà consegnarci: oggi la sequela chiede una spoliazione. Non si può essere discepoli senza lasciarci spogliare dalla vita e scoprire che mentre perdiamo tutto, in realtà, stiamo indossando l’abito nuovo, quello delle nozze. Il “seguimi” sembra condurci a dire al Signore una preghiera coraggiosa: Signore, toglimi tutto, ma mai l’amicizia con Te. Non importa sapere dove devo seguirti, divento addirittura indifferente alla modalità della sequela, mi distacco da ogni tentativo maldestro di provare a organizzare i tempi e a dosare gli sforzi della risposta, m’interessa perdere tutto, essere privato di tutto, ma non voglio più perdere l’amicizia con Te. Mentre il Signore ci dice: Seguimi diventa un assoluto essere suoi amici.

Solo allora ci si può alzare e dalla immobilità iniziale ci si mette realmente in movimento, ci si alza e si risorge e si diventa consapevoli davvero dell’impagabile onore di essere stati scelti, chiamati, cercati e visti dal Signore. Ora si può correre, ora saremo tutti una Chiesa credibile, ora potranno prendere forma i percorsi pastorali delle nostre comunità. Siamo talmente spogliati che la sostanza della sequela sarà l’essere appesi come il Crocifisso, saremo talmente spogli che l’unica preoccupazione che avremo sarà donare agli altri ciò che è fisso nel cuore. Ci ha ricordato la prima lettura: questi precetti che oggi ti do ti stiano fissi nel cuore, li ripeterai ai tuoi figli, né parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai.

Dall’essere spogliati, quando a noi non rimarrà neanche un frammento di noi stessi, allora prenderà forma l’azione pastorale e sentiremo la gioia di non dover inventare nulla, non avremo l’ansia di dove costruire, ma semplicemente sapremo narrare ai nostri figli, sapremo camminare per le vie del mondo, raccontando la seduzione di un amore che ci ha spogliati e della bellezza di consegnarci. Il “seguimi” ci chiede franchezza nel cuore, ci chiede azioni pastorali credibili, ci chiede di essere discepoli che non porteranno un vangelo modificato, zeppo di piccoli compromessi, di qualche annacquamento o grigiore, ma porteremo il Vangelo che salva, nella sua genuina limpidezza.

Sarà solo così che cominceremo a sederci a tavola, il nostro cuore sarà una mensa universale come è diventata la tavola di Matteo. Spogliati interiormente, spogliati anche dalla vita, sapremo comprendere la forza della mensa. Noi stessi, oggi siamo qui, spogliati, poveri, e questa condizione ci permette di stare seduti, insieme, alla stessa mensa. Nessuno tra noi è più degli altri, ma ci facciamo insieme mendicanti di un amore già abbondante che abbiamo ricevuto, ma che chiediamo ancora, insieme, perché ne abbiamo sempre bisogno.

Sentiamo vicine quelle popolazioni sofferenti, private della loro dignità, e chiediamo l’intercessione di San Matteo – usando le parole di Papa Leone- per una pace disarmata e disarmante.

L’unità tra noi non sarà così uno sforzo necessario, un programma da mettere in atto, ma ci sarà tra noi il vincolo della pace, perché uno solo è l’amore che si è messo in movimento, uno solo è l’amore che ci ha guardati, uno solo è l’amore che ci ha parlato, una sola è la speranza alla quale siamo stati chiamati. Siamo fratelli e sorelle, insieme mendicanti di amore, totalmente spogliati, ricchi solo della sua amicizia, contenti solo di seguirLo e orgogliosi solo di annunciarlo.

La misericordia, che con abbondanza ci viene donata in questo Anno Santo, è la sola nostra certezza e saremo noi stessi, colmi di stupore, nel vedere come questa misericordia ci fa apostoli, profeti, evangelisti, pastori e maestri: davvero questa misericordia sarà la sostanza che dona identità alla Chiesa.

“Misericordia io voglio, non sacrifici”: qui trova pienezza il cammino di Matteo e il nostro cammino. Il Signore ci vuole aiutare a non cadere in un equivoco. La gioia di averLo incontrato non si potrà ridursi ad un donare. E’ vero, donare è un verbo ricco, è meraviglioso donare, ma potremmo rischiare di rimanere nel livello del dono, la misericordia è di più. La Misericordia cui ci chiama il Signore ci permette di comprendere che se si comincia con il donare, bisogna finire con il consumarsi che coincide con la misericordia. Il donare potrebbe rischiare di rimanere solo in un ambito di gratuità, che seppure preziosa, non ci ha ancora portato nel cuore della misericordia. Il consumarci ci spoglierà davvero e farà di noi un segno reale di misericordia.

Ringraziamo San Matteo, ci prenda per mano e come Lui ritorniamo a quello sguardo e a quelle parole del Figlio di Dio, che non ha esitato a consumare se stesso per amore, che oggi, su questa mensa continuerà a consumarsi e a guarire ogni ferita, e ci fa alzare finalmente da quel banco delle imposte per condurci a vivere una sequela umile, disinteressata, coraggiosa: spogli di tutto, dove tutto si consegna, nulla si trattiene e dove ogni risorsa e ogni passo sono totalmente proprietà del Padre per sempre.

Amen.

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