







I Cavalieri Costantiniani hanno prestato servizio all’Offertorio e al termine del Sacro Rito hanno accompagnato processionalmente i concelebranti dinanzi all’argenteo busto settecentesco del santo Vescovo d’Ippona, esposto alla venerazione dei fedeli, per la recita della preghiera e il canto del tradizionale inno. Sant’Agostino insegnava che «il cantare è proprio di chi ama» (Sermo 336, 1) e che chi canta prega due volte.

A seguire, alle ore 21.00, presso il chiostro rinascimentale del convento della Santissima Trinità, si è svolto l’incontro dal tema Tardi t’amai, con letture tratte dalle Confessioni e da altre opere di Sant’Agostino, e brani musicali di Bononcini, Barrière e Telemann, eseguiti da Padre Gabriele Maria (flauto a becco contralto), Fra Teofane Maria (violoncello), Barbara Aniello (violoncello) e Gemma Vardè (violino).


Nel chiostro si possono ammirare splendidi affreschi sulla vita di Sant’Agostino, che documentano la rilevanza del santo per Viterbo.

Il 5 dicembre 1594 il Cavaliere Giacomo Nini, munifico signore e nobile Viterbese, fece un primo testamento per i rogiti del notaio Rosino Pennacchi stabilendo, tra i vari legati, un lascito di duecento scudi a favore dei frati dell’Ordine eremitano di Sant’Agostino della chiesa della Santissima Trinità di Viterbo, con l’obbligo di erogarli in dipingendum claustrum dicti conventus ubi dipingi debeat vita sancti Augustini. Il 22 agosto 1601 dettò, per lo stesso notaio, un secondo atto di ultime volontà, confermando quanto già espresso nel documento precedente. Il 24 aprile 1605 morì e fu sepolto nella cappella di famiglia all’interno della chiesa della Santissima Trinità. Di lì a poco i frati residenti nel convento contiguo, secondo la volontà espressa dal testatore, promossero la decorazione del chiostro. Le fonti locali ignorano l’anno e le circostanze in cui l’impresa decorativa venne affidata ai pittori Giacomo Cordelli, Viterbese, per le lunette che ricordano le province agostiniane sparse in tutto il mondo, e a Marzio Ganassini, manierista Romano, per le scene relative alla vita del santo. Il ciclo, piuttosto ampio e complesso, dà grande risalto alla vita milanese del santo e alle tradizioni che ancora sopravvivono in questa regione, specialmente a Pavia (tratto da Cassiciaco.it).

In preparazione alla solennità di Sant’Agostino, nella chiesa della Santissima Trinità-Santuario cittadino di Maria Santissima Liberatrice di Viterbo è stato celebrato un Triduo: il 25 agosto La conversione, il 26 agosto Agostino e la comunità, il 27 agosto Agostino e sua madre Monica.

Bellissima scena della scuola dell’Angelico che descrive il momento cruciale in cui Agostino ode la voce nel giardino che lo richiama a una vera e autentica conversione. Il racconto pittorico, tuttavia, unisce più episodi che in realtà si svolsero in tempi diversi. Sulla destra, in alto, si intravede un eremita che si affaccia da una spelonca: è Simpliciano che, parlando con Agostino, lo ha educato alla lettura dei neoplatonici. Sulla sinistra c’è invece Alipio che osserva pensoso la scena che vede coinvolto il giovane Agostino, il quale se ne sta seduto con il viso fra le mani ai piedi di un fico. La struttura della scena è potente e crea un pathos palpabile che coinvolge, assieme ai protagonisti, l’episodio narrato. Nelle opere scritte subito dopo la conversione, Agostino non fa il minimo accenno al famoso episodio del tolle lege nel giardino di Milano, che ricorda nelle Confessioni. La descrizione che fa Agostino del suo stato d’animo è, da una parte, tutta dominata dalla preoccupazione, polemica contro i manichei, di dimostrare l’esistenza e il valore del libero arbitrio, la possibilità di una scelta fra bene e male e che, d’altra parte, essa è redatta sotto l’influsso di quei passi paolini che parlano del contrasto fra lo spirito e la carne. E si potrebbe ancora suggerire, insistendo sull’importanza di questo fatto, che l’episodio dimostra come Agostino abbia conosciuto l’epistolario di San Paolo proprio all’inizio della sua conversione. «Così parlavo e piangevo nell’amarezza sconfinata del mio cuore affranto. A un tratto dalla casa vicina mi giunge una voce, come di fanciullo o fanciulla, non so, che diceva cantando e ripetendo più volte: “Prendi e leggi, prendi e leggi”. Mutai d’aspetto all’istante e cominciai a riflettere con la massima cura se fosse una cantilena usata in qualche gioco di ragazzi, ma non ricordavo affatto di averla udita da nessuna parte… Tornai al luogo dove stava seduto Alipio e dove avevo lasciato il libro dell’Apostolo all’atto di alzarmi. Lo afferrai, lo aprii e lessi tacito il primo versetto su cui mi caddero gli occhi. Diceva: “Non nelle crapule e nelle ebbrezze, non negli amplessi e nelle impudicizie, non nelle contese e nelle invidie, ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non assecondate la carne nelle sue concupiscenze…”. Non volli leggere oltre né mi occorreva. Appena terminata infatti la lettura di questa frase, una luce, quasi, di certezza penetrò nel mio cuore e tutte le tenebre del dubbio si dissiparono» (Confessioni 8, 12, 29).
Sui passi di Sant’Agostino
A partire da sabato 23 agosto 2025, all’interno del programma pomeridiano A Sua Immagine trasmesso su RAI 1, ogni settimana alle ore 16.10 circa va in onda un ciclo di otto puntate – delle quali al momento sono state presentate sei – dedicate alle comunità agostiniane maschili e femminili e ai principali luoghi di culto legati all’Ordine di Sant’Agostino. Protagonista di questo itinerario è Padre Pasquale Cormio, O.S.A., che ogni settimana visita una comunità agostiniana, ne illustra i tesori storico-artistici e il carisma spirituale, evidenziando il legame con Sant’Agostino e la sua eredità. Ogni puntata si conclude con una breve riflessione sul Vangelo della domenica, a sottolineare la continuità tra la tradizione agostiniana e la vita della Chiesa di oggi.
Dopo la puntata del 23 agosto dalla basilica di Sant’Agostino in Campo Marzio a Roma, le prossime cinque puntate si svolgeranno, oggo 30 agosto presso la basilica di Santa Maria del Popolo a Roma, il 6 settembre presso il santuario della Madre del Buon Consiglio a Genazzano, il 13 settembre presso la chiesa di Santa Chiara della Croce a Montefalco, il 20 settembre presso la chiesa della Santissima Trinità a Viterbo, il 27 settembre presso la Basilica di San Nicola da Tolentino a Tolentino.
Un percorso che unisce spiritualità e cultura, e che offre l’occasione di conoscere più da vicino la ricchezza delle comunità e dei santuari agostiniani in Italia.
Veritas, unitas, caritas
Riportiamo il testo del videomessaggio di ringraziamento del Santo Padre Leone XIV, in occasione della consegna della Medaglia di Sant’Agostino, conferita dalla Provincia Agostiniana di San Tommaso da Villanova (Stati Uniti d’America), il 29 agosto 2025: «Per la sua leadership nel servizio, il suo impegno di tutta la vita a favore dei poveri, la sua testimonianza dei valori agostiniani e, ora, come nostro Pastore universale, per l’esempio che dà a tutti noi per avvicinarci al Signore e gli uni agli altri, e che tutti possiamo essere costruttori di pace. L’assicuriamo delle nostre preghiere per lei, perché abbia la grazia e la forza mentre continua a portare questa responsabilità per tutti noi. Che Dio la benedica».
Nella solennità del nostro santo Padre, Sant’Agostino, sono commosso e profondamente onorato di ricevere la Medaglia di Sant’Agostino dalla Provincia di San Tommaso da Villanova.
Mentre registro questo messaggio sono lontano dal caldo di Roma e sto trascorrendo un po’ di tempo a Castel Gandolfo per pregare, riflettere e riposare un po’. Vi farà piacere sapere che la chiesa parrocchiale di questa cittadina fuori Roma è dedicata a San Tommaso da Villanova, conosciuto come padre dei poveri, un frate e vescovo agostiniano straordinariamente dotato che ha dedicato la propria vita al servizio dei poveri.
Come Agostiniani cerchiamo ogni giorno di essere all’altezza dell’esempio del nostro padre spirituale, Sant’Agostino. Essere riconosciuto come Agostiniano è un onore molto sentito. Devo tanto di ciò che sono allo spirito e agli insegnamenti di Sant’Agostino, e sono grato a tutti voi per i molti modi in cui le vostre vite mostrano un profondo impegno verso i valori di veritas, unitas, caritas.
Sant’Agostino, come sapete, è stato uno dei grandi fondatori del monachesimo, vescovo, teologo, predicatore, scrittore e dottore della Chiesa. Ma questo non è avvenuto dalla sera alla mattina. La sua vita è stata piena di tentativi ed errori, proprio come le nostre. Tuttavia, attraverso la grazia di Dio, attraverso le preghiere di sua madre, Monica, e della comunità di brave persone intorno a lui, Agostino è riuscito a trovare la via della pace per il suo cuore inquieto.
La vita di Sant’Agostino e la sua vocazione a guidare servendo ricordano a tutti noi che possediamo doti e talenti donati da Dio e che il nostro scopo, la nostra realizzazione e la nostra gioia derivano dal restituirli nell’amorevole servizio a Dio e al nostro prossimo.
È bello essere con voi questa sera, mentre siete riuniti nella storica Filadelfia, sede della chiesa di Sant’Agostino, una delle più antiche comunità di fede degli Stati Uniti. Siamo sostenuti dall’esempio di frati Agostiniani come Padre Matthew Carr e Padre John Rossiter, il cui spirito missionario li ha spinti, alla fine del Settecento, a portare la buona novella del Vangelo nel servizio degli immigranti irlandesi e tedeschi, in cerca di una vita migliore e di tolleranza religiosa.
Ancora oggi siamo chiamati a portare avanti questa eredità di servizio amorevole verso tutto il popolo di Dio. Nel Vangelo Gesù ci ricorda di amare il prossimo, e questo ci sfida, ora più che mai, a ricordarci di vedere oggi il prossimo con gli occhi di Cristo, che tutti noi siamo creati a immagine e somiglianza di Dio, attraverso l’amicizia, le relazioni, il dialogo e il rispetto reciproco. Possiamo vedere oltre le nostre differenze e scoprire la nostra vera identità di fratelli e sorelle in Cristo.
Come comunità di credenti, e ispirati dal carisma degli Agostiniani, siamo chiamati ad andare avanti per essere costruttori di pace nella nostra famiglia e nel nostro ambiente e a riconoscere veramente la presenza di Dio gli uni negli altri. La pace inizia da ciò che diciamo e facciamo e da come lo diciamo e lo facciamo.
Sant’Agostino ci ricorda che prima di parlare dobbiamo ascoltare e, come Chiesa sinodale, siamo incoraggiati a impegnarci nuovamente nell’arte di ascoltare attraverso la preghiera, il silenzio, il discernimento e la riflessione. Abbiamo l’opportunità e la responsabilità di ascoltare lo Spirito Santo; di ascoltarci gli uni gli altri; di ascoltare le voci dei poveri e delle persone ai margini, le cui voci hanno bisogno di essere udite. Sant’Agostino ci esorta a prestare attenzione e ad ascoltare il maestro interiore, la voce che parla dentro ognuno di noi. È nei nostri cuori che Dio ci parla.
In uno dei suoi discorsi, Agostino incoraggiava chi lo ascoltava: «Non limitatevi all’attenzione dell’udito, ma abbiate l’attenzione del cuore». Che cosa dobbiamo fare per esercitarci ad ascoltare con l’attenzione del cuore? Il mondo è pieno di rumore, e le nostre menti e i nostri cuori possono essere sommersi da diversi tipi di messaggi.
Questi messaggi possono alimentare la nostra inquietudine e rubare la nostra gioia. Come comunità di fede, cercando di costruire una relazione con il Signore, possiamo cercare di filtrare il rumore, le voci divisive nelle nostre menti e nei nostri cuori, e aprirci agli inviti quotidiani a imparare a conoscere meglio Dio e il suo amore. Quando sentiamo la voce amorevole e rassicurante del Signore, la possiamo condividere con il mondo mentre cerchiamo di diventare una cosa sola in lui.
Sono grato per questo onore, e specialmente per le Messe e le preghiere a mio sostegno celebrate questa sera e in altre occasioni, mentre cerco di servire umilmente.
Per favore, continuate a pregare per me, per le intenzioni dell’intero popolo di Dio in tutto il mondo. Assicuro le mie preghiere per tutti voi, che vi siete riuniti qui questa sera: i miei Fratelli Agostiniani, i compagni missionari di Villanova, passati, presenti e futuri, gli anziani e i giovani, i ricchi e i poveri, tutti i nostri cari amici dell’Ordine. Come Agostino, ci riuniamo con i nostri momenti di ansia, di buio e di dubbio e, proprio come Agostino, per grazia di Dio possiamo scoprire che l’amore di Dio guarisce veramente. Cerchiamo di costruire una comunità in cui questo amore sia reso visibile.
Che possiamo continuare a rafforzare la nostra missione comune, come Chiesa e comunità, di promuovere la pace, vivere nella speranza e riflettere la luce e l’amore di Dio nel mondo! È nella nostra unità in Cristo e nella nostra comunione reciproca che la luce crescerà e diventerà più luminosa nel nostro mondo.
Sotto la guida e la protezione della Vergine Maria, nostra Madre del Buon Consiglio, possiamo non dimenticare mai i doni che ci ha dato con il “sì” ricolmo di fede che ha pronunciato quando ha accettato ciò che Dio aveva previsto per lei.
Dio benedica tutti voi e porti pace ai vostri cuori inquieti, e vi aiuti a continuare a costruire una comunità di amore, unita nella mente e nel cuore, volta a Dio. E che la benedizione di Dio onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo, discenda su di voi e con voi rimanga sempre.
Grazie.
Dal dubbio alla Verità
Il passaggio attraverso la fase del dubbio non fu per Agostino un semplice incidente di percorso, ma fu determinante per fargli trovare la via della fede. Secondo Agostino, infatti, solo chi dubita è animato da un desiderio sincero di trovare la verità, a differenza di colui che non si pone nessuna domanda. È la consapevolezza della propria ignoranza che spinge a indagare il mistero; eppure non si cercherebbe la verità se non si fosse certi almeno inconsciamente della sua esistenza. Un tema, questo, di lontana ascendenza socratica e platonica, ma Agostino lo inserisce nell’ottica cristiana del Dio-Persona: è Dio stesso che fa nascere nell’uomo il desiderio della verità. Un Dio inconscio e nascosto che vuole farsi conoscere dall’uomo. Solo l’intervento della sua grazia permette alla ragione umana di trascendere i suoi limiti, illuminandola. Ed è così che avviene l’intuizione: essa è un comprendere e, al tempo stesso, un credere; non avrebbe senso dubitare se non ci fosse una Verità che, appunto, al dubbio si sottrae; e non si cercherebbe Dio se non Lo si fosse già trovato. Esprimendo un concetto che sarà ripreso da Pascal, Agostino scriveva che «l’intelletto cerca Colui che ha già trovato» (De Trinitate, 15, 2, 2).
Sant’Agostino nacque con il nome di Aurelio Agostino dal padre pagano Patricius, un modesto consigliere municipale e piccolo proprietario terriero di Tagaste, e da madre cristiana, Monica, che esercitò un grande ruolo nell’educazione e nella vita del figlio. Africano di nascita, e quindi probabilmente di madrelingua berbera, apprese e utilizzò il punico e il latino, mentre non imparò mai il greco, l’altra grande lingua di cultura dell’epoca insieme al latino.
Compì gli studi presso Madaura, Tagaste e Cartagine, dove fu mandato a diciassette anni a studiare retorica. Come autodidatta si interessò alla lettura di Cicerone e dei classici (la lettura dell’Ortensio di Cicerone produsse in lui l’amore per la filosofia). Dopo la morte del padre, aprì una scuola di retorica a Tagaste (373), poi insegnò a Cartagine (374-383). Qui Agostino visse per quindici anni in concubinaggio con una donna, dalla quale ebbe un figlio, Adeodato (il quale morì tra il 389 e il 391). Da questa donna si separò nel 386.
Da giovane aderì al Manicheismo, visione che abbandonò in seguito all’incontro con il vescovo manicheo Fausto, il quale sorprese negativamente Agostino per la sua ignoranza. Scoperta la vocazione per la filosofia e, in particolare, per il pensiero dei neoplatonici di Plotino, nel 383 si trasferì a Roma, dove insegnò retorica e, appunto, filosofia. L’anno successivo si trasferì a Milano, dove il praefectus urbis gli procurò un posto di insegnante, con l’intento di contrastare la fama del vescovo di Milano, Ambrogio. Invece Agostino restò affascinato dalla personalità di Ambrogio, dal quale venne convertito al Cristianesimo nel 385.
Decisiva per la sua conversione – così narra egli stesso nelle sue Confessioni, testo che diverrà un classico della teologia e della letteratura – sarebbe stata l’esperienza vissuta in un giardino, quando sentì la voce di una bimba che canticchiava tolle lege, ossia “prendi e leggi”, invito che egli riferì alla Bibbia, che, a quel punto, aprì a caso, cadendo su un passaggio di San Paolo. Divenne così catecumeno e la notte fra il 24 e il 25 aprile 386, vigilia di Pasqua, ricevette il battesimo dalle mani del Vescovo Ambrogio.
Nel 391 venne ordinato sacerdote e nel 396 divenne Vescovo di Ippona (l’attuale Annaba, in Algeria), dove fondò un monastero. Da questo momento in poi si dedicò agli scritti di natura religiosa e, da teorico della pace come aspirazione universale degli uomini, combatté a lungo le dottrine eretiche dei Donatisti e dei Pelagiani, diventando uno dei Padri fondatori del Cristianesimo. Agostino elaborò le sue dottrine sul peccato originale (istituendo, fra il IV e il V secolo, il battesimo infantile nella Chiesa Cattolica), sulla grazia divina e sulla predestinazione.

L’iscrizione in margine al dipinto riporta: «Edocet et dictis pueri sub immagine Christus frustra illum trini atque uni perquirere causas». Una scena cara all’iconografia agostiniana, la cui origine risale al XII-XIII secolo. Agostino incontra sulla spiaggia, in riva al mare, un bambino che sta giocherellando con un cucchiaio e che cerca di riempire una buca nella sabbia con tutta l’acqua del mare. Alla domanda di Agostino il bambino risponde che, quanto è impossibile per lui travasare tutto il mare nella buca, altrettanto impossibile è per Agostino travasare nella sua mente il mistero della Trinità. Questa leggenda – che riprende un testo della Lettera apocrifa a Cirillo, che avrebbe scritto lo stesso Agostino, dove si ricorda una rivelazione divina con queste parole: «Augustine, Augustine, quid quaeris? Putasne brevi immittere vasculo mare totum?» – si trova già nel XIII secolo, sotto forma di exemplum, in uno scritto di Cesare d’Heisterbach. Ma come poi tutto ciò fu collegato ad Agostino? Una spiegazione sta nella diffusione dell’apocrifo in cui san Gerolamo discute con Agostino sulle capacità umane di comprendere il mistero divino.
Si può notare, infine, come la vita di Sant’Agostino sia stata caratterizzata da un percorso religioso irto di difficoltà e ripensamenti, di indecisioni e di periodi nei quali Agostino stesso, nelle Confessioni, si definisce “caduto nel peccato”. Tale percorso portò Agostino a incarnare la figura, per molti tratti emblematica, dell’uomo che approda, con sofferenza e a tappe forzate di maturazione, alla religione cristiana, vista come suprema conquista della verità e del bene.
Sant’Agostino morì nel 430, mentre Ippona era assediata dai Vandali.

Agostino è rappresentato come cardioforo, cioè porta in mano il cuore fiammante, che ricorda il suo smisurato amore per Dio. Il riferimento è al nono libro delle Confessioni, dove Agostino scrive: «Sagittaveras tu cor meum charitate tua». Agostino, allo scrittoio, è quasi folgorato dalla luce che proviene a sinistra in alto e che riempie tutta la scena fino al cuore fiammante. «Tu stesso ci avevi folgorati con le frecce del tuo amore, e portavamo conficcati nel ventre gli arpioni delle tue parole e gli esempi dei tuoi servi, che da oscuri avevi reso splendidi e da morti, viventi. Bruciavano ammassati nel fondo della mente divorando la sua pesantezza e il torpore, per impedirci di scendere in basso, ed era un tale incendio che tutto il fiato soffiatoci contro dalle subdole lingue l’avrebbe ravvivato, non estinto. Tuttavia, nel tuo nome, che hai reso sacro per tutta la terra, il nostro proponimento avrebbe certamente incontrato il plauso di alcuni, e quindi poteva sembrare ostentazione non aspettare quel poco che mancava alle vacanze, e congedarsi prima da un pubblico ufficio che era sotto gli occhi di tutti, in modo da attirare sulle mie azioni l’attenzione universale. Così, se avessi dato l’impressione di non voler neppure attendere il termine tanto prossimo dei corsi, avrebbero molto chiacchierato, e sarebbe parso che volessi farmi notare. E a che pro favorire congetture e discussioni sui miei intenti e oltraggi al nostro bene?» (Confessioni 9, 2, 3).
Agostino scrisse una mole impressionante di opere autobiografiche, filosofiche, apologetiche, dogmatiche, polemiche, morali, esegetiche, raccolte di lettere, raccolte di sermoni, opere poetiche (con metrica non classica, bensì accentuativa, per facilitare la memorizzazione da parte di persone incolte).
Alle opere filosofiche appartengono tre dialoghi (Contra academicos, De beata vita, De ordine) risalenti al periodo che precedette la conversione. Le opere polemiche sono state scritte per combattere sette ed eresie. Le opere morali comprendono scritti contro la menzogna e sul matrimonio, la verginità e il comportamento Cristiano. Il De doctrina christiana si occupa della predicazione, dell’interpretazione della Bibbia e dei rapporti fra retorica classica e retorica cristiana. I sermoni sono caratterizzati dalla chiarezza dell’esposizione e dall’efficacia della nuova retorica, teorizzata nel De doctrina christiana.
Le opere maggiori di Sant’Agostino sono le Confessioni (del 397), La città di Dio (scritta in ventidue volumi tra il 412 e il 426, che costituisce una vera e propria apologia del Cristianesimo messo a confronto con la civiltà pagana), La Trinità (del 419, pietra miliare della teologia), La grazia di Cristo e il peccato originale (del 418), oltre a riflessioni sulla grandezza e l’immortalità dell’anima.
«Corriamo dunque, fratelli miei, corriamo e amiamo Cristo. Quale Cristo? Gesù Cristo… Dove giace il suo corpo? Dove soffrono le sue membra?… Io non so chi viene a fissare nell’Africa i confini della carità. Estendi la tua carità su tutto il mondo, se vuoi amare Cristo; perché le membra di Cristo si estendono in tutto il mondo. Se ami solo una parte, sei diviso, non ti trovi più unito al corpo; se non sei unito al corpo, non sei sottoposto alla testa. Che vale credere e poi bestemmiare? Adori Cristo nel capo e lo bestemmi nelle membra del suo corpo. Egli ama il suo corpo. Se tu ti sei separato dal suo corpo, il capo no» (Commento alla prima lettera di Giovanni 10, 8).

L’opera venne realizzata da Sandro Botticelli sul tramezzo che dava accesso al coro della chiesa di Ognissanti, sul lato opposto del San Girolamo dipinto dal Ghirlandaio nel 1480. Probabilmente anche l’opera del Botticelli risale al medesimo periodo: della relazione esistente fra le due opere troviamo riscontro, oltre che nella spiccata analogia compositiva, anche ne Le Vite del Vasari. Per le analogie dei due lavori si ritiene che entrambi vennero commissionati dai Vespucci, come dimostra anche l’arme della famiglia dipinta sotto l’iscrizione.
Sant’Agostino è raffigurato come il tipico umanista dell’epoca, mentre è colto da un’illuminazione divina all’interno del proprio studio, stipato di preziosi libri e di altri oggetti da studioso, come un calendario solare e una sfera armillare. Grande cura è riposta nella descrizione dei dettagli, come i gioielli che decorano la mitria appoggiata accanto al tavolo da studio, in cui i singoli riflessi delle perle e delle pietre preziose derivano dall’esempio del realismo dei pittori fiamminghi, rinnovato in quegli anni proprio dall’arrivo del Trittico Portinari di Hugo van der Goes a Firenze.
Nel grande libro con le dimostrazioni geometriche del teorema di Euclide, posto alle spalle della figura del santo, Umberto Baldini notò per primo la presenza di un particolare curioso: nella finta scritta tracciata sulla pagina del libro è presente, sottolineata da un esponente a croce, una frase vera che dice: “Dov’è Fra Martino? Non c’è, è andato fuori Porta a Prato”. Si tratta probabilmente di una scherzosa menzione delle scappatelle di un frate alle quali Botticelli aveva, suo malgrado, assistito mentre lavorava nella chiesa, che dà un’inedita immagine spiritosa dell’artista, spesso descritto di carattere malinconico e acuto.
La figura del santo è impostata a un’espressività e un’energia plastica notevoli, che derivano dall’esempio di Andrea del Castagno, con una fedele rappresentazione dell’anatomia, soprattutto nelle mani del santo, a cui l’illuminazione incisiva dà un risalto scultoreo dalla forza quasi titanica. Ciò fa serpeggiare una certa inquietudine nell’affresco, particolarmente evidente se lo si confronta con il sereno San Girolamo di Ghirlandaio sulla parete opposta. In queste tensioni si legge il riflesso dei drammatici avvenimenti del 1478 (la congiura dei Pazzi), che innescarono una crisi fatta di incertezze, culminante, a fine del secolo, nella teocrazia savonaroliana. Botticelli fu uno degli artisti più profondamente colpiti da questa crisi, che segnò anche la sua produzione verso forme sempre più isolate e consapevolmente arcaizzanti.
Nella seconda metà del Cinquecento, in osservanza dei dettami del Concilio di Trento, molte chiese furono ristrutturate con l’intento di eliminare alcuni elementi architettonici. Nella chiesa di Ognissanti risale al 1564 l’intervento di demolizione del tramezzo e il trasporto delle due pitture murali, staccate a massello, perdendo gran parte della cornice architettonica dipinta, e collocate sulle pareti contrapposte della navata. L’intervento è ricordato in una scritta in latino che è ancora parzialmente visibile sull’architrave dipinta del Sant’Agostino. Poco prima dell’alluvione del 1966 l’opera del Botticelli fu, come quella del Ghirlandaio, sottoposta a un restauro realizzato da Leonetto Tintori, mirato ad alleggerire le ridipinture ed eliminare i completamenti cinquecenteschi, senza per questo rimuovere la pittura dal punto in cui era stata posizionata in epoca di Controriforma. A seguito dell’alluvione, però, la parte inferiore dell’opera subì un’accelerazione dei fenomeni di degrado, rendendo necessario un ulteriore intervento di restauro. Dopo aver tentato, con risultati poco soddisfacenti, di asciugare la parete per operare direttamente in loco, si optò per la rimozione della pittura dalla struttura muraria. Questo intervento fu realizzato conservando solo pochi millimetri dell’intonaco pittorico, che fu poi fatto aderire a un nuovo supporto di resina poliestere e fibra di vetro, rinforzato da un telaio in alluminio.
Oggi l’opera è appesa sulla parete destra della navata. Botticelli, nel 1495, dipinse un’altra versione del soggetto, a tempera su tavola, conservata alla Galleria degli Uffizi a Firenze.