Meditazione per la festa della Cattedra di San Pietro Apostolo

È stato pubblicato sul canale Spreaker dell’Ufficio Stampa della Real Commissione per l’Italia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, a cura del Referente per la Formazione della Delegazione di Roma e Città del Vaticano, il Prof. Enzo Cantarano, Cavaliere di Merito con Placca d'Argento, il podcast con la meditazione per la festa della Cattedra di San Pietro Apostolo, di cui riportiamo di seguito l’audio e il testo. In questa festa in cui celebriamo Pietro quale primo Vescovo della Chiesa di Roma, riascoltiamo la domanda cruciale di Gesù: «Voi, chi dite che io sia?», cui Pietro risponde: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Fondati su Cristo e accompagnati dalla testimonianza di Pietro, sentiamo risuonare anche noi la domanda: «Tu, chi dici che io sia?». La risposta verrà «lungo la via» (Mc 8,27), la strada del discepolo, il cammino della vita. Cammino esigente, ma anche semplice: occorre la volontà di seguire e stare con Gesù nonostante tutto. Approfondita la conoscenza di Gesù, cioè perdendo la vita per Lui, sentiremo risuonare la sua domanda: tu, chi dici che io sia? Ovvero: vuoi seguirmi con un tuo progetto, oppure accogliendo la mia differenza, la mia vita, il mio Vangelo?
Statua di San Pietro

Podcast 2-52 – 22 febbraio 2025 – Meditazione per la festa della Cattedra di San Pietro Apostolo

«Festa della Cattedra di San Pietro Apostolo, al quale disse il Signore: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”. Nel giorno in cui i Romani erano soliti fare memoria dei loro defunti, si venera la sede della nascita al cielo di quell’Apostolo, che trae gloria dalla sua vittoria sul colle Vaticano ed è chiamata a presiedere alla comunione universale della carità» (Dal Martirologio).

Prima lettura (1Pt 5,1-4 – Compi la tua opera di annunciatore del Vangelo, adempi il tuo ministero). Salmo responsoriale (Sal 22 – Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla). Vangelo (Mt 16,13-19 – Tu sei Pietro, e a te darò le chiavi del regno dei cieli)

Il 22 febbraio gli antichi Romani onoravano la memoria dei defunti e mangiavano presso le loro tombe, attorno alla loro “cattedra” (un seggio riservato al defunto per indicare che egli era presente al banchetto). Anche nella società odierna, indipendente dalla data calendariale, si venerano tante cattedre simili a quelle accennate sopra. Anche sulle attuali sembrano sedere, metaforicamente o simbolicamente, dei “morti”. Ma questi cadaveri non inducono coloro che li onorano e li venerano a pensieri legati alle inoppugnabili verità escatologiche dei Quattro Novissimi: morte, giudizio, inferno e paradiso. I “morti” assisi su queste cattedre insegnano mezze verità, menzogne, pregiudizi e ideologie.

Al di sopra di queste cattedre, per noi Cristiani Cattolici romani, si erge la Cattedra di Pietro. Da questa Cattedra noi ci aspettiamo la verità di fede, non come fonte della stessa, che sorge esclusivamente in Dio e viene alla luce, nella storia della Salvezza, per mezzo dello Spirito Santo, grazie al Figlio, Gesù Cristo, ma come espressione di quella tensione escatologica tra il “già” e il “non ancora” cui si riferisce Paolo in Rm 5,9;8,18-30, in Col 3,1-4, in Ef 2,1-10 e in 1Ts 3,12-13;5,23-24.

È per molti versi assai sorprendente che questo ruolo fondamentale incarnato simbolicamente nella persona di Simone bar Giona abbia trovato espressione manifesta e radicale in uno solo dei Vangeli canonici, quello di Matteo (cfr. Mt 16,18). Gli altri tre Evangelisti non riportano nulla di simile. Questa singolare assenza è particolarmente stupefacente soprattutto se si fa riferimento al Vangelo più antico, il primo dei Vangeli, quello di Marco, che era, com’è noto, l’amico più stretto, il “segretario” di Pietro.

E, a proposito della “pietra” cui la pericope matteana fa esplicito riferimento occorre comunque ricordare le parole con le quali Gesù designa se stesso come la pietra angolare (Mc 12, 10 par), pietra che, secondo Isaia (28, 16), doveva essere la pietra di fondazione della nuova Sion (cf. Rom 9,32; Ef 2,20). Spetta dunque in primo luogo a Gesù l’immagine di “pietra di fondazione”. Fino ad oggi, e per i secoli dei secoli, è su questa pietra, su questa Roccia che si fonda la verità e la salvezza. L’identificazione primordiale di Gesù con la pietra spiega come Simone ha potuto ricevere tale qualifica: in virtù del suo potere divino Gesù comunica a Simone la sua qualità di pietra di fondazione. La Chiesa resta la Chiesa di Cristo, la “mia Chiesa”, ed è in qualità di Sommo Sacerdote, ossia di ministro di un culto che non gli appartiene e di cui non è il padrone, che Simone è chiamato pietra di fondazione. Egli non sostituisce Gesù, perché questi rimane la pietra unica che sostiene l’insieme della Chiesa, ma è destinato a rappresentarlo visibilmente nello sviluppo terreno del Regno di cui rappresenta, pure, il transeunte, laddove il “ricapitolare tutto in Cristo” (cfr. Ef 1,3-14) rappresenta il fine escatologico definitivo ed eterno.

Altro motivo di sorpresa lo fornisce, oltre alla lettura di Atti 15,1-19, sul, così detto, “Concilio di Gerusalemme”, soprattutto quella su di un evento poi noto come “Incidente di Antiochia” di cui in Gal 2,11-14: “Quando Cefa venne ad Antiochia io, dice Paolo, mi opposi a lui a viso aperto perché evidentemente aveva torto”. Certo, l’atteggiamento fortemente critico dell’Apostolo delle Genti nei confronti di Pietro non sembrerebbe deporre per un primato assoluto di quest’ultimo.

Simone bar Giona era di temperamento irruento, ma di carattere debole e instabile  e Gesù, il quale, secondo Is 42,3-5, non spezza una canna incrinata e non spegne uno stoppino dalla fiamma smorta, non lo stravolge, ma integra perfettamente i due tratti della personalità di Pietro stabilizzandola, rendendola una Roccia, quasi a sua immagine che è, poi, il perfetto rispecchiamento della “nostra immagine e somiglianza di cui il Creatore-Trinità parla in Gn 26.

E quale Roccia della fede deve “confermare i suoi fratelli”. Dalla Cattedra della Verità, Pietro continua ancor oggi a confermare la fede di tutti i credenti in Cristo. Oggi Pietro, dalla sua Cattedra, continua a proclamare la verità su quanto, nel mio vecchio, amato, Catechismo, veniva definito “Misteri fondamentali della nostra Fede” e cioè: l’Unità e Trinità di Dio; l’Incarnazione, Passione e Morte del Nostro Signor Gesù Cristo e su tutte le altre verità che da questi Misteri derivano comprese quelle che riguardano il Creato e, soprattutto, l’uomo e la donna.

La verità, come roccia massiccia e inamovibile può sembrate a qualcuno “ingombrante”, quasi un impedimento alla realizzazione di quanto promettono le chimere delle “mezze verità” che entrano più facilmente nella mente e nel cuore dell’uomo dove, però, non fanno che un’apparizione fugace come lo sono i progetti fallimentari e transeunti che su di esse si fondano. La verità di fede, invece, per la Redenzione operata dal Figlio e per la grazia dello Spirito Santo, quando entra nella vita dell’uomo e della donna, la trasforma e vivifica.

Riponiamo la nostra fiducia sia nella verità che ci viene insegnata dalla Cattedra di Pietro, sia nel suo percorso, lento, ma sicuro, verso il cuore di ogni uomo, redento perché “amato dal Signore”, e aperto all’azione dello Spirito Santo.

La Cattedra di Pietro è la festa del magistero, dell’insegnamento dell’apostolo. Ed egli ha una cosa sola da dirci: la sua fede in Gesù, riconosciuto come Figlio di Dio. Anche a noi l’apostolo continua ad indicare la persona di Gesù come legata al Padre celeste in un modo straordinario e profondissimo, che lo rende l’unico capace di indicare la via di Dio e l’accesso alla vita divina. Noi vogliamo accogliere ancora l’insegnamento dell’apostolo e credere con lui che seguire Gesù è partecipare della vita divina, è la via che ci porta all’abbraccio del Padre.

In una Udienza generale del 22 febbraio 2006, Papa Benedetto XVI, di venerata memoria, ebbe a dire: “La Liturgia latina celebra oggi la festa della Cattedra di San Pietro. Si tratta di una tradizione molto antica, attestata a Roma fin dal secolo IV, [ma fissata definitivamente al 22 febbraio da Papa Giovanni XXIII], con la quale si rende grazie a Dio per la missione affidata all’apostolo Pietro e ai suoi successori. La “cattedra”, letteralmente, è il seggio fisso del Vescovo, posto nella chiesa madre di una Diocesi, che per questo viene detta “cattedrale”, ed è il simbolo dell’autorità del Vescovo e, in particolare, del suo “magistero”, cioè dell’insegnamento evangelico che egli, in quanto successore degli Apostoli, è chiamato a custodire e trasmettere alla Comunità cristiana. Da quella sede guiderà, quale maestro e pastore, il cammino dei fedeli, nella fede, nella speranza e nella carità. Quale fu, dunque, la “cattedra” di san Pietro? Egli, scelto da Cristo come “roccia” su cui edificare la Chiesa (cfr Mt 16,18), iniziò il suo ministero a Gerusalemme, dopo l’Ascensione del Signore e la Pentecoste. La prima “sede” della Chiesa fu il Cenacolo dove anche Maria, la Madre di Gesù, pregò insieme ai discepoli. Successivamente, la sede di Pietro divenne Antiochia, città situata sul fiume Oronte, in Siria, oggi in Turchia, a quei tempi terza metropoli dell’Impero romano dopo Roma e Alessandria d’Egitto. Di quella città, evangelizzata da Barnaba e Paolo, dove “per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani” (At 11,26), dove quindi è nato il nome cristiani per noi, Pietro fu il primo vescovo, tanto che il Martirologio Romano, prima della riforma del calendario, prevedeva anche una specifica celebrazione della Cattedra di Pietro ad Antiochia. Da lì, la Provvidenza condusse Pietro a Roma. Quindi abbiamo il cammino da Gerusalemme, Chiesa nascente, ad Antiochia, primo centro della Chiesa raccolta dai pagani [da parte di Paolo] e ancora unita con la Chiesa proveniente dagli Ebrei. Poi Pietro si recò a Roma, centro dell’Impero, simbolo dell'”Orbis” – l’”Urbs”, la città, che esprime l’”Orbis”, la terra – dove concluse con il martirio la sua corsa al servizio del Vangelo. Per questo la sede di Roma, che aveva ricevuto il maggior onore, raccolse anche l’onere affidato da Cristo a Pietro di essere al servizio di tutte le Chiese particolari per l’edificazione e l’unità dell’intero Popolo di Dio. La sede di Roma, dopo queste migrazioni di Pietro, venne così riconosciuta come quella del successore di Pietro, e la “cattedra” del suo Vescovo rappresentò quella dell’Apostolo incaricato da Cristo di pascere tutto il suo gregge. Lo attestano i più antichi Padri della Chiesa, come ad esempio Sant’Ireneo, Vescovo di Lione, ma che veniva dall’Asia Minore, il quale, nel suo trattato Contro le eresie, descrive la Chiesa di Roma come “più grande e più antica, conosciuta da tutti; … fondata e costituita a Roma dai due gloriosissimi apostoli Pietro e Paolo”; e aggiunge: “Con questa Chiesa, per la sua esimia superiorità, deve accordarsi la Chiesa universale, cioè i fedeli che sono ovunque” (III, 3,2-3).

Tertulliano, poco più tardi, da parte sua, afferma: “Questa Chiesa di Roma, quanto è beata! Furono gli Apostoli stessi a versare a lei, col loro sangue, la dottrina tutta quanta” (La prescrizione degli eretici, 36). La cattedra del Vescovo di Roma rappresenta, pertanto, non solo il suo servizio alla comunità romana, ma la sua missione di guida dell’intero Popolo di Dio. La storia della Chiesa dimostra l’esistenza di tante circostanze nelle quali la profezia del Cristo circa la sua edificazione e l’esortazione dello stesso Pietro circa il modo di comportarsi dei pastori “non per vergognoso interesse,… non come padroni… ma facendosi modelli” è stata tradita da battezzati che hanno negletto l’obbligo di essere costruttori della Chiesa, corpo mistico del Signore. Ma l’assistenza dello Spirito Santo ha consolidato la fede e ha assicurato la continuità del suo valore infallibile.

Celebrare la “Cattedra” di Pietro, come facciamo oggi, significa, perciò, attribuire ad essa un forte significato spirituale e riconoscervi un segno privilegiato dell’amore di Dio, Pastore buono ed eterno, che vuole radunare l’intera sua Chiesa e guidarla sulla via della salvezza.

Tra le tante testimonianze dei Padri, mi piace riportare quella di San Girolamo, tratta da una sua lettera scritta al Vescovo di Roma, particolarmente interessante perché fa esplicito riferimento proprio alla “cattedra” di Pietro, presentandola come sicuro approdo di verità e di pace. Così scrive Girolamo: “Ho deciso di consultare la cattedra di Pietro, dove si trova quella fede che la bocca di un Apostolo ha esaltato; vengo ora a chiedere un nutrimento per la mia anima lì, dove un tempo ricevetti il vestito di Cristo. Io non seguo altro primato se non quello di Cristo; per questo mi metto in comunione con la tua beatitudine, cioè con la cattedra di Pietro. So che su questa pietra è edificata la Chiesa” (Le lettere I, 15,1-2).

Indice dei podcast trasmessi [QUI]

La Preghiera per il Santo Padre

Noi preghiamo sempre per il Santo Padre, anche quando sta bene, con maggior ragione quando è sofferente. Si chiama empatia e Cattolicesimo. Quindi, oggi in particolar modo preghiamo per l’attuale Successore sulla Cattedra di San Pietro Apostolo:

Oremus pro Pontífice nostro Francisco
Dominus conservet eum,
et vivíficet eum,
et beatum faciat eum in terra,
et non tradat eum in animam inimicorum eius.

Preghiamo per il nostro Papa Francesco.
Il Signore Lo conservi,
Gli doni vita e salute,
Lo renda felice sulla terra
e Lo preservi da ogni male.

La Cattedra di San Pietro
e il dovere di insegnare

C’è un libro di Antonio Rosmini che forse pochi conoscono, anche perché la produzione del roveretano è quasi sterminata e non è possibile conoscere tutto. Questo libro si chiama Storia dell’empietà ed è una polemica con il filosofo francese Beniamino Constant (1767-1830), accusato di rendere la religione un mero prodotto del sentimento. In effetti il pericolo identificato dal Rosmini non è di secondaria importanza, anzi potremmo dirlo un problema che oggi sembra ancora più importante. Infatti, non è spesso la religione percepita come il prodotto di quello che sento, di quello che elaboro dentro di me come ciò che percepisco giusto e corretto? Ma in questo modo la religione diviene un fatto soggettivo, un sentimento personale, una mera opinione. Ma questo non si accorda bene con l’annuncio portato da Gesù Cristo con la sua pretesa definitiva di essere la Via, la Verità e la Vita.

La Verità, tanto per dirne una, non può ridursi ad una opinione, altrimenti sarebbe una verità umana, forse anche rispettabile ma certamente non definitiva. E se noi impegniamo la nostra vita completamente in qualcosa, se preghiamo incessantemente, attendiamo cerimonie frequentemente, osserviamo certi comportamenti che ci impegnano ogni giorno, certo non vogliamo fare questo basandoci su una opinione umana, su un vago sentimento religioso.

Ecco perché bisogna ben riflettere su una festa come quella della Cattedra di San Pietro, che la Chiesa celebra il 22 febbraio. La Cattedra è segno e simbolo della potestà docente, segno di coloro che hanno la facoltà di trasmettere una conoscenza. Una conoscenza che non è umana, quindi deve essere custodita, trasmessa, approfondita, ma non manipolata o adattata ai gusti di questo o di quel pubblico.

Nella rivista online Sanfrancescopatronoditalia.it, così viene raccontata l’origine della festa:

«Come nasce allora la venerazione per la Cattedra di Pietro? Una tesi interessante è spiegata da padre Umberto Fasola, barnabita e studioso di archeologia cristiana. Negli antichi documenti si rintraccia la vicenda di un pellegrino di Monza che volendo portare alla sua Regina Teodolinda alla fine del VI secolo gli olii sacri raccolti sulle tombe dei martiri si avvia nella regione tra la Salaria e la Nomentana per cercare le vestigia di Pietro. Perché non in Vaticano? Seguendo i testi che si incrociano con la leggenda ed è evidente che in quell’epoca doveva esserci un oggetto che chiamava la devozione popolare. Fasola, grazie ai testi, lo identifica con una sedes o cattedra di san Pietro. Come era nata la leggenda? Per Fasola era importante studiarla proprio per capire la natura della festa del 22 febbraio, anticamente chiamato Natale Petri de Cathedra. Durante gli scavi di fine ‘800 nel Cimitero Maggiore sulla via Nomentana sembrò chiaro agli studiosi, non senza polemiche, che una memoria Petri fosse venerata fin dai primissimi secoli del cristianesimo. E la scoperta di alcune “cathedrae” in pietra con evidenti segni di venerazione sembrò confermare questa idea. Sulla data però c’è ancora mistero. Il 22 febbraio nel mondo pagano si concludevano i Parentalia giorni dedicati dai parenti ai defunti. E nei cimiteri si svolgevano i refrigeria, i banchetti funebri, delle vere feste. La festa liturgica definita nel 336 nella Depositio Martyrum, non si riferiva ad una cattedra materiale, ma certo la solennità richiamava l’oggetto. Insomma un intreccio tra devozione popolare e teologia che si concretizzava, forse, nelle “cathedrae” che si trovano nelle catacombe nate con altri scopi, appunto per i refrigeria. I fedeli che andavano a pregare per i parenti proprio nel giorno in cui era stata definita la festa, davanti ad una “cathedra” pensano a Pietro».

In un discorso del 1985 al Pontificio Consiglio per la Famiglia, il Cardinale Carlo Caffarra affermava: «La ragione d’essere della Chiesa è una sola: guidare l’uomo alla comunione eterna con Dio». Proprio questo scopo soprannaturale necessita un magistero che non sia in balia delle opinioni umane sempre soggette a mutamenti, ma sia ancorato ad una verità eterna, un deposito che la Chiesa custodisce ed interpreta ma non cambia.

Sempre il Cardinal Caffarra, in un articolo per L’Osservatore Romano del 1976 osservava:

«La permanenza del depositum apostolico nella Chiesa che ne vive è assicurata dalla successione apostolica cui è stato affidato il compito di interpretare autenticamente la parola di Dio scritta o trasmessa. E così questo ultimo elemento della trascendenza nella storia ne compie la struttura così che la Verità e la Legge di Cristo vengono donate all’uomo mediante una “costellazione” di tre grandezze inseparabilmente unite fra loro: S. Scrittura – Tradizione – Magistero. Pensare di raggiungere la Rivelazione di Dio in Cristo trasmessaci dagli Apostoli per altra strada fuori da quella indicata da quella costellazione è mettersi su una strada sbagliata (cfr. S. Ireneo, Adv. Haer. IV, 26,2)».

Ma questa funzione docente della Chiesa è oggi spesso sotto attacco da parte di forze esterne ed interne alla stessa Chiesa. Oggi si pensa che giudicare sia fuori luogo, proprio perché tutto è ridotto a sentimento del religioso e quindi in un senso relativo valido per chi porta avanti quel tipo di sensazione. Mons. Antonio Livi, nel suo libro Filosofia del senso comune (2018) affermava:

«Con il giudizio il soggetto non si limita a enunciare uno stato di cose (“le cose stanno così”), ma ne afferma anche la verità, nel senso che dice anche che “è vero che le cose stanno così” e che “non è vero che le cose stiano in modo diverso”. Detto in un altro modo, con il giudizio si afferma che quella determinata cosa va pensata così e che è impensabile il contrario».

E se è vero questo per un giudizio comune quanto più vero è per i giudizi informati delle verità soprannaturali come sono quelli che sono in carico alla Chiesa cattolica nella persona del suo supremo pastore, il successore di Pietro, il Papa.

Come detto, oggi questa potestà magisteriale è fortemente messa in dubbio e ci sono vari modi con cui si tenta di scardinare questa facoltà. Uno è il ricorso alla pastorale come criterio interpretativo di tutto. Anche qui Mons. Livi ha detto delle cose importanti:

«Da dopo Giovanni XXIII si ha l’idea che la pastorale della Chiesa consista nel tradurre il dogma in un linguaggio comprensibile, accettabile per l’uomo moderno – cosa che è un mito, una fantasia – e nel trovare il bene anche nelle posizioni teoretiche più contrarie al dogma. Io ritengo che si tratti di una pastorale che, in quanto tale, è erronea e nociva per la Chiesa, ma in quanto teoria è un’attività, una prassi erronea che come dottrina non ha alcun sostegno nell’infallibilità. La prassi può essere erronea perché è un atto derivante da un giudizio prudenziale che può essere giudicato erroneo da chi esprime altri giudizi prudenziali, come i miei, che sono giudizii non sostenuti dall’infallibilità. Così, quando io critico questa pastorale che mi sembra disastrosa, utilizzo dei giudizi, degli aggettivi e degli avverbi che fanno capire che si tratta di mie opinioni. Dio giudicherà, ma non v’è niente di dogmatico nel fatto di giudicare l’opportunità di una linea pastorale. Quelli che fanno del male alla Chiesa sono coloro che considerano dogmaticamente la pastorale del Concilio e dei papi ad esso seguenti come la sola necessaria, e parlano di «nuova Pentecoste della Chiesa» e di «interventi dello Spirito Santo», come se tali giudizi prudenziali, che io considero erronei, fossero invece dogmaticamente infallibili ed anche santi e la sola cosa che la Chiesa possa fare».

Quindi coloro che tanto difendono il diritto ad ogni opinione, trasformano poi le opinioni a loro più confacenti in nuovi dogmi, da osservare senza fiatare pena scomuniche striscianti sotto la forma di isolamento e morte civile (ed ecclesiale). Per poter giustificare questa ribellione al magistero autentico si fa ricorso a delle giustificazioni, tra cui quella del cosiddetto “popolo”, invocato per avallare opinioni che invece sono promosse da alcuni e imposte a tutti. Ma parliamo sempre di opinioni, come dicevamo sopra, che vanno vagliate nel confronto con la Tradizione della Chiesa, al cui rispetto è tenuto ogni Papa che siede sulla Cattedra di Pietro. Noi non seguiamo le opinioni personali (pur rispettabili) di questo o quel Pontefice, ma lo seguiamo in quanto interprete autentico del deposito della fede.

Ma torniamo un attimo al concetto di popolo e leggiamo ancora cosa ha da dire su di questo Mons. Antonio Livi:

«”Bisogna arrivare ad una Chiesa di popolo”. Ma il popolo è un’immagine puramente retorica. Non si può mai sapere ciò che vuole il popolo, cioè una moltitudine di persone diverse. Anche in politica, l’espressione «il popolo» è puramente retorica, e ancor più in teologia. Per esempio: dire che il popolo ha voluto cambiare la Messa è una sciocchezza, questo non è mai stato né possibile né attestato. Nel popolo vi sono di quelli che, come Padre Pio al suo tempo, sono pieni di fede, e di quelli che non hanno alcuna fede. Allora vi erano di quelli che volevano riformare le cose perché la Messa in latino non piaceva loro e la volevano in italiano, ma costoro non comprendevano le parole della Messa né in latino né in italiano. La Chiesa non ha mai condotto delle operazioni a carattere «democratico», come eleggere delle persone con l’accordo di una base: essa non ha mai tratto quello che deve insegnare da ciò che pensa la gente. La Chiesa deve insegnare quello che ha detto Gesù: è talmente semplice!».

Certo è semplice, ma diviene più arduo quando l’opinione viene trasformata in dogma e quando il vero dogma viene trattato come una pura e semplice opinione.

Maestro Aurelio Porfiri
Musica Sacra

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