












La prima parte del modulo formativo Educare alla legalità sui passi di Don Peppe Diana ha visto un Convegno significativo che è stato svolto alle ore 17.30 presso la basilica-cattedrale di Santa Maria del Lauro, un contesto simbolico che ha enfatizzato il valore civico del tema trattato, in un evento di grande rilevanza che ha riunito educatori, esperti del settore giuridico, rappresentanti delle Istituzioni e studenti, con l’obiettivo di riflettere sull’importanza dell’educazione alla legalità come strumento fondamentale per costruire una società più giusta e consapevole. L’iniziativa organizzata dalla Zona Alto Jonio del Gruppo Scout AGESCI, dalla Sezione dell’Alto Jonio Cosentino della Delegazione della Calabria del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio e dalla Diocesi di Cassano all’Jonio, ha visto la presentazione del libro Per rabbia e per amore. Le impronte dei passi di don Peppe Diana (Guida 2023, 216 pagine [QUI]), un testo di storia della camorra casalese, con l’intento di mantenere vivo il ricordo, il martirio e l’insegnamento del sacerdote ucciso per il suo impegno contro la criminalità organizzata.

Il giornalista Raffaele Sardo, che ha conosciuto il protagonista del suo libro, Don Peppe Diana, lo ha raccontato già in altri suoi scritti. Questo libro, infatti è un seguito della storia iniziata nel volume Don Peppe Diana, un martire in terra di camorra (Di Girolamo 2015, 144 pagine [QUI]), dove l’espediente letterario di far incontrare Don Peppe con suo padre Gennaro dopo la morte, serviva a restituirlo in tutta la vivacità del suo spirito e delle sue parole. Adesso l’incontro chiave è quello con la mamma Iolanda, infaticabile custode della sua memoria e madrina di tutti i progetti realizzati nel suo nome, dopo il brutale omicidio a opera dei clan. Dal seme che muore fiorisce una messe nuova di giustizia e di paceè l’epitaffio sulla sua tomba a Casal di Principe. Inoltre, c’è l’incontro immaginario di Don Diana con Peppino Impastato “il Siciliano” e sua madre Felicia Bartolotta, che si sono ribellati alla mafia. Ogni pezzo di racconto è intervallato dalla cronaca di episodi significativi, ma anche dalle vicende più personali di Don Diana, che lo hanno portato a scegliere la vita sacerdotale.

Don Giuseppe Diana, per tutti Don Peppe, martire di Cristo, per amore del suo popolo, un amore incondizionato per la sua gente, per i suoi giovani e per i suoi scout. Fu ucciso nella sagrestia della sua chiesa parrocchiale di San Nicola di Bari a Casal di Principe, la mattina del 19 marzo 1994, un giorno che è diventata un simbolo. Quell’omicidio, che ha profanata la sacralità del luogo dove è avvenuto e che ha messa in discussione l’autorità ecclesiastica, ha sancito uno spartiacque tra il prima e il dopo. Chi pensava che la morte di Don Diana avrebbe fermato una storia che guardava alla rinascita di una terra inzuppata di sangue, si sbagliava. Il libro si pone l’obiettivo di dare un contributo a ricostruire anche una narrazione religiosa di un prete che ha scelto consapevolmente il martirio. Sarà il dialogo tra madre, padre e figlio, a scandire i tempi dei racconti dove si snocciolano i ricordi che hanno segnato la storia di una resistenza contro la camorra che ha avuto tanti protagonisti che animano le pagine di questo libro.

Terminato il Convegno nel pomeriggio, in serata i lavori del modulo formativo Educare alla legalità “sui passi di Don Peppe Diana” sono proseguiti con un momento di gioco e condivisione organizzato dal Gruppo Scout AGESCI della Zona Alto Jonio, per rafforzare i legami tra i partecipanti, ha creato un’atmosfera di comunità e collaborazione. Poi, il modulo formativo si è concluso il giorno successivo, con la celebrazione della Santa Messa e laboratori metodologici, che hanno visto la partecipazione attiva di 58 capi scout.
Ogni intervento e ogni attività nell’ambito del modulo formativo hanno contribuito, in chi ha partecipato ai lavori del modulo formativo, a rafforzare l’impegno nella formazione alla legalità, seguendo il grande esempio di Don Peppe Diana.
Il Convegno – che ha visto la partecipazione di qualificati relatori di grande spessore, da cui i partecipanti hanno potuto ascoltare degli interventi ispiratori che hanno arricchito lo sguardo sulla legalità e sui valori civili – è stato aperto con un commosso ricordo da parte del giornalista-moderatore dei lavori, Francesco Garofalo, che ha sottolineato l’attualità e modernità del messaggio e dell’esempio di Don Peppe Diana. Quindi, ha ringraziato gli organizzatori: i Responsabili del Gruppo Scout AGESCI della zona Alto Jonio e Maria Teresa Elefante e Andrea Selvaggi, e il Referente per l’Alto Ionio Cosentino della Delegazione della Calabria della Sacra Milizia Costantiniana, Antonio Coiro, Cavaliere di Ufficio.
Per la Delegazione della Calabria hanno partecipato il Vice Delegato, Nob. Dott. Candido Francica di Panaya, Cavaliere de Jure Sanguinis; il Segretario Generale. Dott. Domenico D’Auria, Cavaliere di Merito; il Responsabile per le Attività in ambito sanitario, Dott. Emanuele Scarlata, Cavaliere di Merito con Placca d’Argento; Maurizio Capano, Cavaliere di Ufficio; e i Postulanti Dott. Antonio Maggio, Dott. Massimo Turtora, Dott. Cataldo Papparella, Dott. Alessandro De Rango, Antonio La Banca, Dott.ssa Franca Spataro, Dott.ssa Sabrina Spataro, Dott. Antonio Belmonte, Giovanni Battista Rindelli, Dott. Salvatore Minervini, Dott. Giuseppe Novello, Andrea Selvaggi e Dott. Mario Loria. Inoltre, hanno presenziato il Dott. Maurizio Barbato, Cavaliere di Merito, e i Postulanti Dott. Dario Taranto e Dott. Giovanni Tartaglione, della Delegazione di Napoli e Campania; e il Dott. Salvatore Senatore, della Delegazione delle Sicilia Occidentale.



Nel suo intervento, il Vescovo di Cassano all’Jonio, Mons. Francesco Savino, Vice Presidente Area Sud della Conferenza Episcopale Italiana, ha illustrato casi concreti di come la mancanza di consapevolezza legale possa condurre a situazioni di disagio sociale.

Intenso, nitido e centrato sulla figura di Don Peppe Diana, l’intervento del Delegato ad interim per la Calabria dell’Ordine Costantiniano, S.E. il Marchese Don Pierluigi Sanfelice di Bagnoli, Cavaliere Gran Croce di Giustizia, Luogotenente per l’Italia Meridionale Peninsulare della Real Commissione per l’Italia, che ha sottolineato come la Sacra Milizia Costantiniana, nonostante sia antichissima, abbia una tuttavia una moderna capacità di organizzarsi attraverso Delegazioni in tutta Italia e nel mondo, battendosi in prima linea per la salvaguardia della persona umana, la sua integrità, la libertà di vivere e di assistere il prossimo in modo concreto secondo i principi Cristiani. Don Peppe Diana è un simbolo della libertà, della fede, dell’amore verso il prossimo, che con il sacrificio della propria vita ha dato l’esempio più alto di servizio all’umanità.
Il Senatore Arch. Ernesto Rapani, Membro della Commissione Permanente Giustizia, ha evidenziato “l’importanza di integrare la legalità nei programmi scolastici attraverso approcci interdisciplinari”.
Gli ha fatto eco il Dott. Mario Spagnuolo, già Procuratore della Repubblica di Cosenza, che ha evidenziato, da addetto ai lavori, “le difficoltà e i progressi nella lotta alla criminalità organizzata, enfatizzando l’importanza dell’impegno civico e della denuncia come strumenti fondamentali per il cambiamento”.
Anche il Senatore Giuseppe Lumia, già Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, ha sottolineato “l’importanza fondamentale necessaria fin dalla tenera età, dell’Educazione alla Legalità. Una tipologia di educazione che rappresenta una pietra miliare nella formazione dei cittadini di domani. Si tratta di un processo educativo che mira a trasmettere non solo il rispetto per le leggi, ma anche un insieme di valori legati alla responsabilità, all’etica e alla partecipazione attiva nella vita pubblica”.
Toccanti sono state le testimonianze di coloro che hanno conosciuto Don Peppe Diana.
Augusto Di Meo, il fotografo amico di Don Peppe Diana, che quella mattina del 19 marzo 1994 si trovava con lui, che fu testimone dell’omicidio e che ha riconosciuto l’omicida, Giuseppe Quadrano. Non esitò a raccontare tutto ai carabinieri e da quel momento anche per Augusto Di Meo comincia un duro calvario. Ma, nonostante tutte le vicissitudini che ha vissuto, non si è mai pentito di quella sua scelta e continua a raccontare quella mattina a centinaia di giovani di tutt’Italia. In una commossa esposizione ha raccontato episodi significativi della sua vita, evidenziando la sua “dedizione al prossimo e il suo coraggio nel fronteggiare minacce concrete e quotidiane”.
Raffaele Sardo ha spiegato il perché della scelta del titolo per il suo libro. “Per rabbia e per amore” è la sintesi delle motivazioni principali che animavano l’azione di Don Peppe Diana: la rabbia contro l’oppressione e l’ingiustizia subite dalla sua comunità, e l’amore verso il suo popolo, il popolo di Dio, che lo ha spinto a lottare fino all’estremo sacrificio.
Nel corso del Convegno, studenti e scout AGISCI hanno letto alcune pagine del libro, che ripercorre la vita e l’impegno di Don Peppe Diana, dalla sua vocazione sacerdotale alla sua decisione di schierarsi apertamente contro la Camorra, fino al tragico epilogo del 19 marzo 1994. Attraverso le pagine, sono emersi non solo i fatti, ma anche l’umanità e il coraggio di un uomo che ha scelto di non tacere di fronte all’ingiustizia.
I Relatori hanno sottolineato come l’educazione alla legalità sia essenziale per prevenire comportamenti antisociali e promuovere una cultura della legalità fin dall’infanzia. Tutti hanno messo in luce unanimemente, l’urgenza di investire nell’educazione come veicolo per promuovere una cittadinanza attiva e responsabile. Solo attraverso un impegno condiviso tra istituzioni, scuole e comunità è possibile costruire una società più giusta e consapevole.
Il Convegno si è concluso con l’auspicio che le riflessioni possano tradursi in azioni concrete, capaci di lasciare un segno tangibile nel percorso educativo delle nuove generazioni. La legalità non è solo il rispetto delle norme, ma un valore che richiede impegno, dialogo e partecipazione. Educare alla legalità significa educare alla libertà e alla dignità di ogni persona.
- Il servizio sul Convegno di Viviana Spinella per il TGR Calabria del 27 gennaio 2025 [QUI]
«Non c’è bisogno di essere eroi, basterebbe ritrovare il coraggio di aver paura, il coraggio di fare delle scelte, di denunciare» (Don Peppe Diana).
La resistenza contro la Camorra
il 28 settembre 1987, dopo il Convegno tenuto al Cinema Faro di San Cipriano d’Avversa, nacque il movimento Liberiamo il futuro, che diede vita al Coordinamento permanente anticamorra, a cui parteciparono studenti, consigli di fabbrica, sindacati, militanti politici, sindaci. Una mobilitazione senza precedenti che diede vita alla manifestazione per le strade di Aversa, dove sfilarono almeno diecimila persone. Don Peppe Diana era sul palco degli oratori quel giorno. Era andato per vedere, per ascoltare ma, soprattutto, per capire perché quella massa enorme di studenti e lavoratori, protestavano in modo così convinto contro i suoi paesani. Ma, è indubbio, che se stava su quel palco, è perché aveva già deciso da che parte stare.
Da quella iniziativa si formarono piccoli nuclei di resistenza che cominciarono a parlarsi, confrontarsi e dunque a organizzarsi. Nacque una rete che cominciò a promuovere assemblee pubbliche, dibattiti nelle scuole. Nacque anche qualche foglio di comunicazione. Allora non c’era ancora Internet. Don Peppe Diana decise di far parte di uno di questi nuclei di resistenza.
Ci furono riunioni quasi semiclandestine nelle parrocchie, nelle associazioni. La sede del Jazz club “Lennie Tristano”, in piazza Mercato, messa a disposizione dal Presidente, Bruno Lamberti, divenne il luogo dove si incontravano tutti i gruppi locali nati dalla manifestazione. Quel lavoro sotto traccia diede vita a piccoli comitati locali di resistenza e, soprattutto, stabilì un rapporto forte tra coloro che aderirono all’idea di organizzare la resistenza contro la Camorra.
Altri, tra cui Don Peppe Diana, continuarono il loro impegno partecipando alla redazione del mensile lo Spettro. Nel frattempo la guerra di Camorra lasciava dietro di sé una scia enorme di sangue. In più di una occasione furono uccise anche persone che nulla avevano a che fare con i clan. Uccisi da colpi vaganti, o perché potevano diventare pericolosi testimoni di un agguato. Il 21 luglio 1991 un giovane di 20 anni, Angelo Riccardo, fu ucciso, mentre in auto con alcuni suoi amici, transitava la domenica pomeriggio nel centro di San Cipriano di Aversa, dove proprio in quel momento si verificò uno scontro a fuoco tra gruppi di Camorra rivali. Non era la prima volta che questo accadeva in pieno giorno nel centro cittadino. Angelo Riccardo tornava dal mare con i suoi amici. Fu colpito in un occhio. Morì all’istante. In quell’occasione furono ferite altre cinque persone, che transitavano in altre auto.
Quell’episodio fu la scintilla che convinse Don Peppe Diana a esprimere ad alta voce in pubblico, la contrarietà alla violenza camorristica. Fino a quel momento nessuno aveva osato parlare apertamente, perché nessuno si fidava nemmeno delle forze dell’ordine. Le caserme, in più di una occasione, avevano dimostrato di essere poco affidabili. Anzi, si erano rivelate fonti di informazioni per i camorristi. Ma quello di Don Peppe Diana e di pochi altri che avevano scelto di stargli al fianco, fu un segnale importante. Ebbe il coraggio di farlo in un periodo in cui la sola parola “camorra” era solo sussurrata. Diede voce alla sua gente che non riusciva ad esprimere apertamente quello che stava vivendo. Pubblicò un volantino contro “la dittatura armata della camorra”. La comunità parrocchiale di San Nicola di Casal di Principe, la comunità parrocchiale di Santa Croce di San Cipriano di Aversa, la comunità di La roccia e il giornale lo Spettro, firmarono il volantino e lo diffusero fuori le chiese. Quella dura presa di posizione contro la “dittatura armata della camorra” fece molto scalpore. Ci volle molto coraggio. Si poteva morire per niente. Il coraggio, o l’incoscienza, a seconda dei punti di vista, a Don Peppe non mancava. La sua fu una scelta di libertà, di riscatto, di amore. Una scelta che poi ha pagato con la vita.
Don Peppe Diana fu decisivo nel convincere la Chiesa nel territorio a scendere in campo contro i clan. La protesta delle comunità parrocchiali, nuova per quelle zone, contribuì ad attirare l’attenzione delle Istituzioni. Ormai aveva rotto il muro di silenzio che si era creato attorno alla Camorra, aveva deciso che la paura non doveva prevalere.
A Natale del 1991 i parroci della Foranìa di Casal di Principe (Parrocchie di Casal di Principe, San Cipriano d’Aversa, Casapesenna, Villa Literno, Villa di Briano, Santuario di Maria Santissima di Briano), stilarono un documento, Per amore del mio popolo [QUI], che riprendeva un analogo documento dei vescovi campani del 29 giugno 1982 [QUI]. Una denuncia così forte delle organizzazioni criminali non era stata mai osata. Un documento coraggioso che sottolineava come “la Camorra è una forma di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi e tenta di diventare componente endemica nella società campana” e sottolineava che se tutto ciò era accaduto c’erano “precise responsabilità politiche”. Fu letto in tutte le chiese della Foranìa di Casal di Principe. Erano i sacerdoti a criticare per la prima volta in modo così duro la politica. Denunciavano la corruzione e invitavano anche la Chiesa ad uscire dalle sagrestie e a dare voce ad un popolo che era soffocato dalla violenza della camorra. Era una ribellione aperta al potere dei clan. Era la prima volta che nelle terre dove la Camorra era fortemente radicata, si parlava un linguaggio chiaro e semplice contro il malaffare e la corruzione. Ed era anche la prima volta che un pezzo della Chiesa della Diocesi di Aversa, faceva una scelta di campo uscendo dall’ambiguità. Quel documento provocò uno scossone sociale molto forte.
Le parrocchie da quel momento diventeranno il punto di riferimento di coloro che avevano deciso di resistere alla camorra. Un movimento sotterraneo che stava scuotendo dalle fondamenta tanti cittadini assuefatti al dominio dei clan. Il 30 ottobre 1992 Don Carlo Aversano, uno dei firmatari del documento Per amore del mio popolo, lancia un appello ai camorristi in occasione della missione dei Passionisti. “Lasciate le armi ai piedi del crocefisso”. La tradizione vuole, che quando finisce la missione, venga eretta una croce di ferro in una piazza o ad un incrocio, sopra un basamento di pietra. Don Carlo ha un’idea nuova. Suggerisce un basamento con un contenitore in cemento dove i cittadini vadano a depositare ogni tipo di arma in loro possesso. È una provocazione forte, che non raggiunge il risultato sperato, ma ormai si comincia a parlare apertamente di alcuni temi.
Il 15 maggio del 1993 presso il Santuario Maria Santissima di Briano si riuniscono immigrati di varie nazionalità assieme con i Parroci Don Paolo dell’Aversana, Don Carlo Aversano e Don Peppe Diana, per pregare insieme l’unico Dio. L’incontro ha per titolo Noi e i fratelli africani. La chiesa apre anche agli immigrati, che sul territorio fanno sentire la loro presenza. Don Peppe Diana stava dando vita ad un centro di prima accoglienza per immigrati.
Dopo l’uccisione di Jerry Masslo, avvenuta la notte tra il 24 e 25 agosto 1989, il tema dell’immigrazione è tra quelli che comincia ad avere più spazio dalla Chiesa locale. Il 29 maggio del 1993 arriva il nuovo Vescovo della Diocesi. È Mons. Lorenzo Chiarinelli. Viene accolto da tantissimi fedeli nella cattedrale di Aversa. Fuori verrà distribuito un volantino. È uno “speciale” del giornale lo Spettro. Contiene diversi articoli sul ruolo della Chiesa ad Avversa, per anni schiacciata sul “fiancheggiamento” ai partiti come la Democrazia Cristiana. Sono articoli che consigliano una nuova strada da imboccare, sulla scia anche di quelle prese di posizioni della Chiesa dell’area di Casal di Principe. Tra gli articoli ce n’è anche uno a firma di Don Beppe Diana dal titolo Vogliamo sentirci più Chiesa.
Il 5 novembre 1993 i Parroci di Casal di Principe diffondono un appello in vista delle elezioni amministrative del 21 novembre, le prime dopo lo scioglimento del Consiglio comunale per condizionamenti di Camorra. Nell’appello scrivono, tra l’altro: “Ai cittadini raccomandiamo di essere più attenti alle scelte, individuando aldilà di personalismi e favoritismi, l’uomo giusto e pulito”. E ancora: “Invitiamo, infine, i camorristi a tenersi in disparte, e non inquinare e ancora una volta affossare, questo nostro caro paese, che ormai ha bisogno solo di Resurrezione”. Alle elezioni amministrative, con la Democrazia Cristiana che si stava sfaldando, come tutti i partiti della Prima Repubblica, trionfa alle amministrative la lista di Alleanza per cambiare, che aveva come capolista Renato Natale, storico esponente del Partito Comunista ed esponente del movimento anticamorra.
Ma quattro mesi dopo quelle elezioni, che avevano visto trionfare un sindaco anti-clan, la mattina del 19 marzo 1994, accade un fatto senza precedenti. Uno dei killer del clan dei casalesi, Giuseppe Quadrano, appartenente al cartello che in quel momento si contrapponeva ai clan Schiavone-Bidognetti, si presenta alle ore 07.20 del mattino nella chiesa parrocchiale di San Nicola di Bari nel quartiere Larina, la parrocchia di Don Beppe Diana. Entra proprio quando il sacerdote sta indossando i paramenti sacri per celebrare la Santa Messa. L’uomo armato indossa un giubbino di pelle scura e ha i capelli lunghi.
In quel momento con Don Peppe Diana c’era il suo amico fotografo Augusto Di Meo. “Chi è Don Peppe?”, chiede il killer. “Sono io Don Peppe”, risponde Don Diana, girandosi verso di lui. Un attimo dopo, il killer spara cinque colpi di pistola. Quattro vanno a segno tra la faccia e il petto. Uno solo va a vuoto.
In chiesa a quell’ora c’erano alcune suore e pochi fedeli, soprattutto donne. Quando sentono sparare, capiscono che è accaduto qualcosa di grave e scappano tutti. Augusto Di Meo, pur frastornato per quanto era appena successo, invece di scappare, si reca in caserma dai carabinieri per denunciare quello che aveva visto. Riconosce l’assassino dalle foto segnaletiche e un anno dopo lo riconosce anche quando scende dall’aereo proveniente dalla Spagna dove era stato arrestato dall’Interpol. Quel sabato mattina finisce la giovane esistenza di Don Peppe Diana. È il giorno di San Giuseppe, il giorno del suo onomastico. Aveva 36 anni e dal 1989 era Parroco di San Nicola di Bari a Casal di Principe. Aveva ancora una vita intera da vivere. Da quel giorno le cose sono cominciate a cambiare a Casal di Principe. È da allora che è cominciato anche il declino della Camorra.