Dottrina Sociale della Chiesa – Prima parte: Rerum novarum

È stato pubblicato sul canale Speaker dell’Ufficio Stampa della Real Commissione per l’Italia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio il primo Podcast di una serie sulla Dottrina Sociale della Chiesa a cura del Referente per la Formazione della Delegazione di Roma e Città del Vaticano, il Prof. Enzo Cantarano, Cavaliere di Merito con Placca d'Argento. Nel suo impegno per la salvezza di ogni persona, la Chiesa si preoccupa di tutta la famiglia umana e delle sue necessità, compresi gli ambiti materiali e sociali. A tal fine sviluppa, come una bussola, una dottrina sociale per formare le coscienze e aiutare a vivere secondo il Vangelo e la stessa natura umana. «Con tale dottrina, la Chiesa non persegue fini di strutturazione e organizzazione della società, ma di sollecitazione, indirizzo e formazione delle coscienze» (Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 81). «La Chiesa (…) ha però una missione di verità da compiere, in ogni tempo ed evenienza, per una società a misura dell'uomo, della sua dignità, della sua vocazione» (Caritas in veritate, 9).
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Podcast 2-43 – Dottrina Sociale della Chiesa – Prima parte: Rerum novarum

Con questo Podcast intendo iniziare un breve “corso” sulla Dottrina Sociale della Chiesa, sintetico e senza pretese di sistematicità accademica, che si articolerà su nove testi più uno, dal titolo provocatorio, sullo stile “manageriale” di Gesù.

“Una volta suscitata l’ardente brama di cose nuove, che da tempo muoveva gli Stati, era inevitabile che lo studio dei cambiamenti prima o poi scivolasse dalla politica all’economia sociale”. È questo l’incipit della Lettera enciclica Rerum novarum di Papa Leone XIII, pubblicata il 15 maggio 1891, e considerata come l’atto originario della Dottrina Sociale della Chiesa.

È sempre difficile parlare di una origine storica, poiché inevitabilmente essa è preceduta da preliminari che studi ulteriori consentono di illuminare. Affrontando la “questione sociale”, di cui molti altri si erano occupati nei cinquant’anni precedenti, quale è stato l’atteggiamento di colui che è stato in seguito chiamato il “Papa degli operai”? Iniziato alla fine del XVIII secolo, lungo il XIX lo sviluppo industriale procede con un ritmo di crescente accelerazione, pur attraversando crisi economiche più o meno cicliche. Nel 1891 la produzione e l’industria mondiale di carbone e di acciaio è in piena crescita come pure lo sviluppo delle ferrovie. Le flotte commerciali delle potenze europee si ingrandiscono, alla ricerca di merci e in concomitanza con le conquiste coloniali. Il telegrafo permette di comunicare istantaneamente dappertutto, e l’elettricità comincia a essere usata per i trasporti, la metallurgia, la chimica, l’illuminazione urbana. Gli Stati sorvegliano i potenti istituti bancari.

Questo grandioso sviluppo delle industrie ha un risvolto sociale: la questione operaia. Le rivoluzioni, gli scioperi, le manifestazioni violente e le sommosse che si verificano in molti Paesi, consentono a tutti, in particolare alle autorità, di prendere consapevolezza dell’esistenza del problema, anche se forse non della sua natura e ampiezza. In realtà, infatti, i Paesi più industrializzati conservano la loro fisionomia prevalentemente rurale, ma le classi dirigenti non si avvedono che ha avuto inizio il calo degli addetti all’agricoltura. Il movimento operaio, da parte sua, sviluppa la propria coscienza, la propria organizzazione, la propria tradizione.

Infine, nell’ultimo decennio del secolo, scoccherà l’ora del sindacalismo internazionale. Sotto la pressione di questi diversi fattori, hanno visto la luce alcune conquiste sociali e anche elementi di legislazione sociale. La questione sociale era oggetto di attenzione da parte dei Cristiani e degli uomini di Chiesa assai prima che Papa Leone XIII lanciasse il suo grande appello. Certo, se si osserva la Chiesa nel suo complesso, domina l’impressione che la paura delle rivoluzioni violente e una tendenza alla restaurazione dell’ordine sociale, concepito ancora secondo un modello a prevalenza rurale, abbiano reso vano l’allarme dato da una prima generazione di socialisti Cristiani. La Chiesa, malgrado la questione politica che la oppone agli Stati laicisti, realizza progressivamente un’alleanza di fatto con la borghesia dominante. Di fronte a tale atteggiamento, il movimento operaio inasprisce il proprio anticlericalismo.

Tuttavia, a partire dal 1848, alte personalità Cattoliche fanno sentire la loro voce e giudicano severamente le strutture economiche responsabili della proletarizzazione e incoraggiano movimenti di azione e di riflessione, gestiti da minoranze di laici, che saranno denominati “Cristiani sociali” in Germania, Austria e Svizzera e “Cattolici sociali” in Francia, Italia e Spagna.

La questione operaia e il Cristianesimo mettono in discussione la struttura sociale derivata dal liberalismo e propongono come soluzione le riforme legislative e la gestione da parte degli operai del proprio lavoro, cioè le cooperative di produzione.

In Francia un altro movimento di Cattolici che si interessano della questione sociale, la “scuola di Angers”, propone, invece, un riassetto del funzionamento del sistema liberale secondo lo spirito della carità Cristiana; essi rimproverano ai precedenti una mancanza di realismo di fronte alle necessità dell’economia.

Mons. Gioacchino Pecci, il futuro Papa Leone XIII, all’epoca in cui era Vescovo di Perugia si era preoccupato della miseria operaia e aveva trattato la questione sociale nelle lettere quaresimali. Salito al pontificato, manifestò ben presto l’intenzione di pronunciarsi in proposito e se ne trovano accenni in molteplici interventi. Nel 1882 costituì a tal fine a Roma un “comitato ristretto” con eminenti personalità, che promossero incontri internazionali informali tra Cattolici sociali e Cristiani sociali, da cui erano emerse tesi comuni. Per coordinare le ricerche dei gruppi nazionali di Roma, Francoforte e Parigi, i loro membri crearono l’Unione di Friburgo. Quest’ultima, alla vigilia della Rerum novarum, aveva affrontato molti problemi: il sindacalismo, il regime corporativo, l’organizzazione dell’industria, la questione agraria, il salario, le assicurazioni operaie, la regolamentazione internazionale della produzione industriale.

La grande statura intellettuale e politica di Papa Leone XIII emerge inattesa in un momento in cui la “questione romana” sembrava aver confinato il papato nella cittadella vaticana. Il Papa colse i problemi chiave della propria epoca: la nuova forma degli Stati e delle loro relazioni, la questione operaia nel mondo industriale. Intuì anche le nuove possibilità: comunicazioni facilitate, ruolo prevalentemente morale che la Chiesa può svolgere, efficacia della centralizzazione romana. Nella sostanza, il suo pensiero è classico, addirittura conservatore: non si transige sulla “tesi” in materia dottrinale, ma il campo di applicazione, l'”ipotesi”, esige apertura e flessibilità, perfino audacia. I Cristiani all’avanguardia nella ricerca di giustizia in materia sociale, in particolare l’Unione di Friburgo, si sentirono presto sostenuti dal pontefice.

Quattro avvenimenti contribuirono alla maturazione dell’Enciclica. Dal 1885, Léon Harmel guida in pellegrinaggio alla Città eterna interi treni di operai che, a migliaia, vengono ricevuti in udienza dal “loro” Papa. Dagli Stati Uniti il Cardinale James Gibbons viene a perorare con successo a Roma la causa dei Knights of Labor, sindacato in lotta contro i monopoli e accusato di costituire una società segreta. A Londra il Cardinale Henry Edward Manning partecipa direttamente al negoziato, aggiornandone costantemente il Papa, che, si conclude con l’accoglimento delle rivendicazioni degli scaricatori portuali in sciopero. A Berlino, nel 1890, l’Imperatore Guglielmo II, volendo convocare una conferenza internazionale sul lavoro, domanda l’appoggio del Papa.

L’attesa enciclica è maturata attraverso la riflessione e sotto la spinta dell’urgenza. L’elaborazione del testo passa attraverso quattro redazioni: una prima del 1890 di Padre Matteo Liberatore, gesuita italiano, discepolo in materia sociale e politica di Padre Luigi Taparelli d’Azeglio (gesuita e fratello di Massimo); una del Cardinale Tommaso Maria Zigliara, poi rivista dal Padre Liberatore e dal Cardinale Camillo Mazzella; infine, quarta fase, la traduzione latina di Mons. Alessandro Volpini apporterà ancora ritocchi significativi, ad esempio l’inciso sui “sindacati separati” (associazioni di soli operai, a differenza di quelle miste di operai e padroni, sul modello delle corporazioni). Tra il primo schema, molto corporativista, e l’ultima redazione, fu aggiunta la sottolineatura del carattere volontario e libero delle associazioni professionali.

La struttura dell’Enciclica è semplice: dopo poche frasi di penetrante descrizione del “male sociale”, un capitolo critica il “falso rimedio” che è il socialismo; segue la parte fondamentale che si sviluppa attorno a tre soggetti indispensabili per guarire questo male sociale: la Chiesa che insegna e agisce (13-24), lo Stato che interviene ai fini del bene comune (25-35), le associazioni professionali (di proprietari e di operai) che devono organizzare il campo sociale (36-44). La conclusione è un richiamo ai diversi attori sociali.

Il tono diretto e la densità del preambolo della Rerum novarum conferiscono, ancor oggi, all’appello di Papa Leone XIII una risonanza profetica sul tema dello sviluppo. È nei preamboli dei documenti sociali che verrà spesso ricordato perché e in nome di che cosa parla la Chiesa. Gli interventi storici della Chiesa sono tanto “atti” quanto formulazioni dottrinali che procedono dai principi alle azioni pratiche. La storia della Rerum novarum mostra come essi nascano da “ciò che lo Spirito dice alle Chiese” (cfr Apocalisse 2-3) attraverso alcuni dei loro membri, anche se appartenenti a una minoranza.

La teoria sottesa alla riflessione della Rerum novarum è quella della legge naturale e del diritto naturale, nella forma tomistica in materia socio-politica. La legge naturale è l’iscrizione dell’impronta di Dio in ogni coscienza umana, che implica una chiamata a fare il bene e la conoscenza dei principi morali universali che è stata oscurata dal peccato, ma non annullata. La Rivelazione manifesta in che modo Dio sana la natura umana ferita e illumina di luce nuova quella legge, infondendo in pari tempo lo Spirito di carità. Il “diritto naturale” è, in sostanza, l’oggettivazione di tale legge. Ad esso si devono conformare le leggi emanate dagli uomini. Talune realtà sono ontologicamente di diritto naturale: la famiglia, la società civile, la proprietà, il lavoro, l’associazione, ecc. Questo schema di base sarà utilizzato in tutti i successivi documenti pontifici fino al Concilio Vaticano II.

I temi principali della Rerum novarum sono quelli che già attiravano l’attenzione delle scuole sociali: il diritto di proprietà, il capitalismo, il salario, l’intervento dello Stato nell’economia, le associazioni (corporazioni o sindacati). L’apertura discreta a queste ultime permetterà la nascita del sindacalismo Cristiano o confessionale e, più tardi, la partecipazione dei Cattolici al sindacalismo non confessionale.

Moderata nella sostanza, ma acuta e precisa nell’affrontare i problemi e proveniente dal vertice stesso della Chiesa, l’Enciclica ebbe un’eco straordinaria nella stampa. Fu qualificata come manifesto socialista, altri dichiararono che essa aveva fatto cadere per sempre la barriera esistente tra la Chiesa e il mondo moderno, ridando alla Chiesa il prestigio perduto e riscuotendo simpatie. Le reazioni di socialisti e liberali furono polemiche: astuzia per ripristinare la teocrazia, ritorno al Medioevo, rifiuto della libertà… I moderati si interrogavano sulla sua applicazione: un rigido dogma o delle aperture da allargare?

I Cattolici sociali e i Cristiani sociali accolsero con gioia la Rerum novarum, e ne assicurarono la durata nel tempo, ma rimasero una minoranza poco influente sulla società, come fu il passaggio dell’insegnamento sociale nella formazione del clero e dei laici. Il liberalismo dei datori di lavoro cedette poco di fronte a queste audaci posizioni. I Cattolici sociali delle classi agiate ebbero per molto tempo contatti difficili e maldestri con gli operai che volevano educare ad assumersi le loro responsabilità.

Quarant’anni dopo, nel 1931, Papa Pio XI, nella Lettera enciclica Quadragesimo anno, riassume i frutti apportati dalla Rerum novarum, e constata a proposito dei Cattolici: “I troppo tenaci dell’antico disdegnavano questa nuova filosofia sociale, i pusillanimi paventavano di ascendere a tanta altezza; taluno anche vi fu, che pure ammirando questa luce, la reputava come un ideale chimerico di perfezione più desiderabile che attuabile” (14). Eppure, alla Rerum novarum risalgono oggi i Cattolici ogni qualvolta vogliono designare l’atto originario con cui la Chiesa intera è stata chiamata ad affrontare la questione sociale nel cuore del mondo moderno.

Fonte: Ceres Projet

Indice dei podcast trasmessi [QUI]

Foto di copertina: Ambrogio Lorenzetti, Effetti del Buon Governo in Città (dettaglio) (fa parte di Allegoria ed Effetti del Buono e del Cattivo Governo, una serie di affreschi realizzati da Lorenzetti, contemporaneo al periodo del Governo dei Nove, volendo dare una rappresentazione del governo e delle conseguenze positive dello stesso nella società, e nella vita nella Città di Siena), 1338-40, affresco su parete, 200×720 cm, Sala della Pace, Palazzo Pubblico, Siena, Italia.
«Amate la giustizia voi che governate questa terra»
Gli affreschi del Buon e del Cattivo Governo di Siena
In Toscana, i frutti più nobili del lavoro e della creatività umana risalgono all’epoca in cui le città raggiunsero in Italia un livello di vita avanzatissimo e costituirono degli Stati il cui obiettivo non era la potenza ma il benessere dei cittadini. La riproduzione più significativa di questa epoca è quella degli affreschi del Buon e del Cattivo Governo, dipinti fra il 1337 ed il 1339 da Ambrogio Lorenzetti nella Sala dei Nove del Palazzo Pubblico di Siena e che rimangono di una grande importanza per il mondo contemporaneo. Furono commissionati ad Ambrogio Lorenzetti dal Governo dei Nove, che governò Siena dal 1287 al 1355, nel momento in cui la città è all’apogeo della sua potenza e della sua ricchezza ed è una delle quindici città più importanti d’Europa. Una potenza ed una ricchezza che Siena deve alla Via Francigena, una rete di strade e stradine che seguono i pellegrini provenienti dalla Francia per andare a Roma, che è anche un’arteria fondamentale per gli scambi ed il commercio fra l’Oriente e l’Occidente. Grazie a questa strada i mercanti senesi possono esportare i loro beni verso il nord dell’Europa ed importare d’Oriente spezie, tessuti e pietre preziose, come gli stili artistici ed i colori che ne fanno ancora il suo splendore. Con questi affreschi, Lorenzetti è chiamato a fare l’elogio del modello politico sofisticato della Repubblica di Siena.
Nell’allegoria del Buon Governo, la dama vestita di rosso porpora ed oro è la Giustizia, con la frase Amate la giustizia voi che governate questa terra, che apre il Libro della Saggezza. La stessa frase si legge nella pergamena che Gesù tiene in mano nella Maestà di Simone Martini, che si trova nella Sala del Mappamondo, dove si riuniva il Gran Consiglio di Siena, il Parlamento della Città. È la frase che Dante vede apparire nel cielo del Paradiso.
Le altre due figure che sono al centro del dipinto, sono la Saggezza e la Concordia, che sono legate da una corda ai cittadini che a loro volta la passano al Comune di Siena, rappresentato da una persona vestita in bianco e nero, i colori della Città. Tutti i dettagli dell’allegoria fanno riferimento alla concezione filosofica e del mondo di Aristotele e di San Tommaso d’Aquino, che sono l’essenza della Divina Commedia.

Nelle immagini che riproducono gli effetti del Buon Governo, Lorenzetti ha dipinto le sue caratteristiche e le sue conseguenze. Tutti si danno da fare e lavorano ad ogni angolo di strada; i contadini scambiano i loro prodotti e parlano con gli abitanti della città. I bambini giocano. Le fanciulle danzano, una donna in rosso convola a nozze e fonda una nuova famiglia, in un quadro di pace e serenità. Un’atmosfera che si oppone a quella di guerra e di distruzione provocata dal cattivo governo, rappresentato nell’allegoria del cattivo governo, i suoi effetti in città ed i suoi effetti in campagna.

L’allegoria degli Effetti del Cattivo Governo è dominata da una figura con le corna, il tiranno, che è strabico. Il tiranno non è per Lorenzetti, e la sua epoca, il dittatore. Il tiranno è colui che non pensa che ai suoi interessi e non vede il bene comune.
Nel 1310, il governo di Siena ha fatto tradurre gli Statuti della Città in toscano, affinché tutti i Senesi possano capire le leggi e le regole della vita comune. Nel 1337, commissionando gli affreschi a Lorenzetti, il Governo dei Nove vuole dire a tutti i cittadini, anche coloro che non sanno leggere, che la miglior forma di governo possibile è la repubblica.
I 9 che componevano il governo della Repubblica di Siena assumono il loro compito a rotazione, per un periodo di 3 a 6 mesi, restano rinchiusi nel Palazzo durante tutto il periodo del loro mandato per essere totalmente a servizio dei loro ideali e dedicarsi interamente alla missione del Bene Comune, che si oppone all’interesse particolare. Il nome originario degli affreschi è “il Bene Comune e la Pace” ed è solamente nel XVII secolo che vengono chiamati “Il Buon e il Cattivo Governo”.
Gli affreschi del Buon e del Cattivo Governo fanno comprendere che è sul rispetto dei valori etici come la giustizia, la saggezza, la concordia, che riposa il buon governo, quello che assicura il “Bene Comune”, il bene di tutti. Essi fanno vedere che è nelle città che è nato quel sistema di governo straordinario che è stato quello delle repubbliche italiane del Medio Evo, le Città-Stato, in cui un terzo dei cittadini partecipavano concretamente alla vita pubblica e politica. Essi ricordano che queste Città-Stato avevano fondato la loro potenza e la loro ricchezza sul commercio e lo scambio con il resto del mondo e che quelle società fiorenti furono il punto di partenza del Rinascimento, che avrebbe contribuito allo sviluppo dell’Europa e dell’umanità.

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