Podcast 2-41 – 12 gennaio 2025 – Festa del Battesimo del Signore. Terza Epifania
Il Battesimo di Gesù al Giordano costituisce la terza Epifania di Gesù, prima di dare inizio alla vita pubblica.
La prima Epifania si ebbe alla nascita, quando Gesù si manifestò ai Pastori, che furono avvisati dagli Angeli: “Non temete, pastori, è per voi un lieto annuncio. è nato per voi il salvatore”.
La seconda Epifania si ebbe con il sorgere di una stella cometa nel mondo pagano: i Magi, uomini di cultura, furono guidati da questa stella sino a Gerusalemme; da qui furono inviati a Betlemme, ricomparve la stella, trovarono il Bambino e adorarono il Figlio di Dio, facendo i loro doni: oro, incenso e mirra.
La terza Epifania è stata al fiume Giordano dove Giovanni Battista battezzava il popolo esortando alla penitenza. Il Battesimo è stato il primo atto pubblico compiuto da Gesù: scende nel fiume, confuso tra i peccatori pentiti, e chiede di essere battezzato. Davanti a Giovanni, che si mostra titubante, Gesù lo sprona a compiere il rito e, mentre esce dall’acqua, lo Spirito scende e si posa su di Lui mentre la voce del Padre lo addita: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in Te ho posto il mio compiacimento”.
Questa investitura messianica anticipa il Battesimo istituito da Gesù e quindi il Battesimo che noi abbiamo ricevuto. Il Figlio di Dio incarnato si è immesso nella nostra realtà di peccatori per renderci partecipi della sua stessa vita; si è incarnato ed ora inizia la sua missione con il Battesimo amministrato da Giovanni.
San Paolo scriverà ai Romani: “Noi siamo stati battezzati nella morte di Cristo per avere la stessa vita di risorti”. Giovanni addita Gesù come colui che è venuto a battezzare l’umanità nello Spirito Santo; è venuto a portare la vita eterna che risuscita l’uomo, lo guarisce anima e corpo restituendolo al progetto originario per il quale era stato creato d Dio.
Il Battesimo di Gesù è diverso dal Battesimo di Giovanni; lo afferma lo stesso Giovanni: “Io battezzo con acqua ma, chi viene dopo di me battezzerà con lo Spirito Santo, con il fuoco”. Il Battesimo di Giovanni era solo un battesimo di penitenza, in ordine alla conversione e al perdono dei peccati; il Battesimo istituito da Gesù ci innesta a Cristo, libera l’uomo dal peccato, lo riscatta dalla schiavitù di Satana e segna la sua rinascita nello Spirito santo.
È necessario prendere coscienza del nostro Battesimo che ci incorpora a Cristo Gesù e ci rende partecipe della sua consacrazione nello Spirito Santo e nella missione sacerdotale, profetica e regale. “Come il Padre ha mandato me – dirà Gesù agli Apostoli prima di salire al cielo – io mando voi”: oggi è necessario che il Cristiano scopra la sua dignità e vocazione: uomo, diventa quello che sei! Grazie allo Spirito Santo abbiamo un dono e un impegno vocazionale: il dono in forza del quale ci siamo innestati a Cristo con il Battesimo e siamo divenuti figli di Dio (Gesù è figlio naturale, noi figli per adozione perché fratelli del Cristo). Da questo dono scaturisce un impegno: figli di Dio, fratelli tra di noi; come tale siamo chiamati ad essere “lievito” di una umanità nuova dove Dio è il “Padre nostro che sei nei cieli”.
Il Battesimo è un “pacco-dono”: se vogliamo gustare il dono, dobbiamo aprire il pacco; scoprire la ricchezza del Battesimo che ci costituisce fratelli, figli di Dio a prescindere anche dal colore della pelle, dalle condizioni economico-sociali, dai talenti e carismi ricevuti. Questi doni diventano operanti nel momento in cui c’è vera fede in noi e viviamo nell’amore verso Dio e i fratelli.
Allora, amico che leggi o ascolti, sii te stesso, vivi nella tua dignità di figlio di Dio e attua il cammino dell’amore verso Dio e i fratelli in nome di Dio. Allora sarai veramente felice.
Indice dei podcast trasmessi [QUI]

Foto di copertina: Piero della Francesca, Il Battesimo di Cristo, 1440-60, tempera su tavola, 167×116 cm, National Gallery, Londra.
La tavola venne commissionata dall’abbazia camaldolese di Sansepolcro, città natale e residenza del pittore, come tavola centrale per un polittico terminato da Matteo di Giovanni verso il 1465, che probabilmente decorava l’altare maggiore. Forse nella committenza ebbe un ruolo Ambrogio Traversari, priore dell’Abbazia e celebre teologo ed umanista, che grande importanza aveva avuto nel Concilio di Firenze del 1439, morendo in quello stesso anno. Il dipinto potrebbe essere quindi un ricordo dell’abate e delle sue dottrine. L’opera era lo scomparto centrale di un trittico con predella, anche se gli altri pannelli non furono dipinti da Piero, ma da un artista locale. Essi sono conservati oggi nel Museo Civico di Sansepolcro.
Il dipinto venne riscoperto nella sagrestia del Duomo di Sansepolcro verso il 1858 dall’inviato della Regina Vittoria, Sir Charles Lock Eastlake, a caccia di opere per i nascenti musei inglesi, ma non venne preso in considerazione, perché “quasi completamente devastato dal sole e dell’umidità”. Pochi mesi dopo venne invece acquistato da un altro inglese, il più giovane Sir John Charles Robinson, per l’industriale delle ferrovie Matteo Uzielli per quattrocento sterline, non essendo riuscito ad ottenere una somma pari dai curatori del nascente Victoria and Albert Museum. Alla morte di Uzielli (1861) Eastlake, forse preso dal rimpianto di essersi fatto sfuggire il capolavoro, acquistò l’opera inizialmente per sé stesso, salvo poi ripensarci e venderla alla National Gallery. Una volta arrivata nel museo pubblico l’opera, studiatissima e molto ammirata, riaccese l’interesse internazionale per Piero della Francesca.
Gesù, in posizione frontale, sta ricevendo il Battesimo da San Giovanni nel Giordano, mentre dal cielo è comparsa, in conformità col racconto evangelico (Matteo 3,16), la colomba dello Spirito Santo. A sinistra, accanto a un grosso albero dal fogliame fitto, assistono alla scena tre angeli. A destra, più in lontananza, un altro battezzando si sta spogliando, mentre sullo sfondo sta passando un gruppo di sacerdoti Greci, uno dei quali indica stupefatto il cielo: si tratta probabilmente di un espediente per alludere al passo evangelico in cui si parla del “cielo spalancato” dal quale discese la colomba, un prodigio altrimenti difficile da rappresentare. Il gesto è posto in rilievo dall'”incroniciatura” del battezzando e del corpo di Giovanni, col braccio del Battista che appare come un prolungamento del gesto del sacerdote, e la sua gamba in parallelo.
I dignitari Greci e l’uomo che si spoglia sono stati messi in relazione con una possibile interpretazione storica del dipinto, legato alle trattative di avvicinamento tra le Chiese ortodossa e latina. In particolare il Battesimo, secondo Marinescu, deriverebbe dai perduti affreschi di Pisanello nella basilica di San Giovanni in Laterano, che celebravano, forse, l’alleanza tra Martino V e Manuele II di Bisanzio. Dell’uomo che si spoglia, assente in opere precedenti di ambito toscano, resterebbe traccia sia nei disegni di Pisanello al Louvre, che in alcuni schizzi della bottega di Baldassarre Peruzzi (Biblioteca Comunale di Siena) ripresi proprio dai perduti affreschi.
Lo sfondo è composto da un paesaggio collinare, con un piccolo borgo fortificato alle pendici: si tratta verosimilmente di Borgo San Sepolcro, figurata come nuova Gerusalemme. L’albero è un noce, probabile richiamo alla leggenda di fondazione della città. Entrambe queste raffigurazioni si richiamano infatti al mito di fondazione di Borgo San Sepolcro ad opera dei due santi pellegrini Egidio e Arcano ed esprimono, allo stesso tempo, il profondo inserimento di Piero della Francesca nel tessuto culturale cittadino, che proprio attorno ai decenni centrali del XV secolo recupera l’identità civica attorno all’idea di nuova Gerusalemme.
Il dipinto è composto secondo una rigorosa costruzione geometrica tramite l’uso di corpi platonici, dei quali l’artista trattò nel De corporibus regularibus: un quadrato sormontato da un semicerchio; se dal lato superiore del quadrato si costruisce un triangolo equilatero, il vertice inferiore coincide con il piede di Cristo, mentre nell’incontro delle diagonali del quadrato si trova il suo ombelico. Al centro del triangolo si trovano le mani giunte di Cristo e sull’asse del dipinto si allineano, con esattezza geometrica la colomba, la mano con la coppa di Giovanni Battista e il corpo di Gesù stesso. La colomba si trova sul centro del semicerchio e le sue ali sono disposte lungo il diametro. L’asse mediano, che allude alla rivelazione di Gesù come Figlio di Dio, genera una partizione calibrata, ma non simmetrica in quanto l’albero a sinistra, che divide la tavola in rapporto aureo, ha maggior valore di cesura che non il gruppo centrale. Se nel quadrato si inscrive un pentagono, esso racchiude gran parte delle figure della composizione, con parallelismi tra i suoi lati ed altre linee di forza.
La “trasfigurazione” di Cristo come uomo e Dio è uno dei temi centrali del dipinto, come sottolinea l’isolamento sull’asse di Cristo, in posizione frontale, e della colomba, con gli altri personaggi disposti simmetricamente ai lati. Un indizio è la mano sinistra di Giovanni Battista, che non va oltre la sua veste, come bloccata da un impalpabile confine immaginario.
La composizione manifesta l’idea di appartenenza dei soggetti al tutto: la colomba dello Spirito Santo è accostabile alle nuvole sullo sfondo, Gesù è assimilabile al bianco tronco d’albero che ha accanto a sé. Entrambi sono infatti dello stesso colore, definito successivamente “polpa di marmo”, che dà alla carne del Cristo un senso di freddezza e solidità. La sua figura ha inoltre un modellato anatomico saldo e naturalistico, derivato dall’esempio di Masaccio.
La rappresentazione del Battesimo abroga alcune leggi naturali: ad esempio il fiume Giordano si interrompe ai piedi di Cristo. Ciò è probabilmente dovuto alla credenza che Cristo, in quanto essere unico e inimitabile, non potesse essere sdoppiato, nemmeno dal riflesso dell’acqua. I riflessi quasi impercettibili sui malleoli delle figure centrali testimoniano comunque che essi si trovano nell’acqua. Molto originale per la pittura italiana dell’epoca è anche la disposizione del fiume, che sfocia in primo piano, perpendicolare allo sfondo e rivolto allo spettatore.
I tre angeli, vestiti di colori differenti, diversamente dalla norma iconografica non reggono i vestiti di Cristo, simbolo della veste della nuova vita dopo i quaranta giorni trascorsi nel deserto, a meno che la veste non sia da intendere come il drappo rosa sulla spalla dell’angelo di destra. Essi si tengono per mano, in segno di concordia: molti critici vedono in loro la celebrazione del Concilio tenutosi in quegli anni a Firenze per l’unificazione della Chiesa occidentale con quella Orientale. Tale simbolismo sembra essere testimoniato anche dalla presenza, subito dietro il neofita, di personaggi vestiti all’orientale.
L’angelo di destra guarda fuori dal dipinto rivolgendosi direttamente allo spettatore: è la figura chiamata “festaiuolo”, cioè il narratore che nel teatro rinascimentale presentava e commentava le rappresentazioni e che in pittura aveva la funzione di richiamare l’attenzione dell’osservatore, per poi dirigerla, tramite lo sguardo degli altri due angeli, al Cristo che viene battezzato.
Già in quest’opera sono evidenti i debiti con la scuola pittorica fiorentina, in particolare la solidità plastica di Masaccio e il colore luminoso dei “pittori di luce” quali Beato Angelico e Domenico Veneziano, sebbene il tutto sia reinterpretato in maniera personalissima. La luce zenitale annulla le ombre rendendo omogenea tutta la composizione. Le vesti dei dignitari e degli angeli sono delicatamente accordate, con un alternarsi ritmico tra colori caldi e colori tenuemente freddi, come si ritrova anche negli affreschi della Leggenda della Vera Croce.
Il paesaggio fa capolino tra i gruppi delle figure. Vi si vedono una serie di colline in lontananza, descritte nei minimi dettagli. Esse non sfumano ancora in lontananza per effetto della foschia (come in opere successive di Piero influenzate dalla pittura fiamminga), ma il cielo è già sfumato con toni più chiari vicino all’orizzonte, un modo di dare profondità e luce al dipinto derivato dalle miniature francesi. Le nuvole tridimensionali, a forma di cilindri distesi e fortemente chiaroscurate, sono uno dei dettagli più tipici della pittura di Piero, che si ritrovano anche in altre opere.
Nello scorcio profondo delle colline l’occhio è guidato da alcuni elementi ricorrenti, come gli alberi, che permettono di stabilire le distanze reciproche. Manca però una visione unitaria, infatti lo spettatore non può cogliere appieno la spazialità (la città ad esempio appare troppo piccola e lontana), potenziando l’attenzione sul tema religioso in primo piano. Ciò dimostra come Piero sapesse ignorare le regole della costruzione spaziale prospettica quando il discorso figurato lo richiedesse.
In generale l’opera, come tipico dell’arte di Piero, è dominata da una visione pacata e unitaria, governata da leggi matematiche, dove non trova posto il moto né alcun elemento contingente; non di meno viene evitato lo schematismo, grazie all’infinita ricchezza dei dati naturali e della gamma di toni coloristici utilizzati.