Riflessioni sulle letture festive – Festa di San Giacomo apostolo

È stato pubblicato sul canale Spreaker dell’Ufficio Stampa della Real Commissione per l’Italia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio il podcast con la meditazione per la festa di San Giacomo apostolo, a cura del Referente per la Formazione della Delegazione di Roma e Città del Vaticano, il Prof. Enzo Cantarano, Cavaliere di Merito con Placca d'Argento, di cui riportiamo di seguito l’audio e il testo. La domanda della madre dei figli di Zebedeo che si prostra davanti a Gesù con i suoi due figli, Giacomo e Giovanni, riflette l’ambiguità con la quale il popolo e i discepoli, anche quelli che sono stati scelti, i Dodici, capiscono Gesù, la sua persona e il suo messaggio, e cosa significa seguirlo. Essi chiedono un posto influente in politica, un potere nel mondo. La risposta di Gesù li forza ad un cambiamento radicale di prospettiva in rapporto con lui. Una venerabile tradizione della Chiesa di San Giacomo di Compostella e delle altre diocesi della Spagna lo riconosce come il suo primo evangelizzatore. Per la Chiesa, e per i suoi membri più giovani, rimangono e rimarranno sempre il suo esempio affascinante e la sua intercessione.
San Giacomo

Podcast 2-89 – 25 luglio 2025 – Festa di San Giacomo apostolo

Prima Lettura: 2Cor 4,7-15 – Portiamo nel nostro corpo la morte di Gesù. Salmo responsoriale: Sal 125 – Chi semina nelle lacrime mieterà nella gioia. Vangelo: Mt 20,20-28 – Il mio calice, lo berrete.

Dio onnipotente ed eterno, tu hai voluto che San Giacomo, primo tra gli apostoli, sacrificasse la vita per il Vangelo; per il suo martirio conferma nella fede la tua Chiesa e sostienila con la tua protezione.

All’inizio della Prima Lettura di oggi c’è un’immagine molto bella. Paolo, rivolgendosi ai Cristiani di Corinto dice: “Noi abbiamo un tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi”. Credo che sia una delle similitudini paoline più efficaci per esprimere in modo perfetto la realtà di ogni Cristiano, e oggi in particolare quella dell’apostolo Giacomo. I vasi di argilla siamo, ovviamente, noi: argilla modellata sapientemente e indurita al fuoco… Ma rischiamo sempre di dimenticare la nostra creaturalità: “Forse che il vasaio è stimato pari alla creta? Un oggetto può dire del suo autore: «Non mi ha fatto lui»? E un vaso può dire del vasaio: «Non capisce»?” (Is 29,16).

Non siamo altro che una manciata di polvere (Gn 2,7) e se non fosse per l’alito di vita che Dio soffia nelle nostre narici, non saremmo nulla… ma il rischio di montarsi subito la testa e crederci chissà chi è sempre dietro l’angolo, come ci ricorda Paolo: “Che cosa possiedi che tu non l’abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l’avessi ricevuto? (1Cor 4,7). Non è solo un difetto dei superbi, ma di ogni uomo, e anche l’apostolo Giacomo non ne è stato esente. Forse perché fu tra i primi ad essere chiamati, sul lago di Galilea? (Mc 1,16-20), oppure perché faceva parte del “gruppo ristretto” ricordato come sempre vicino a Gesù nei “momenti forti”, come la Trasfigurazione (Mc 9,2-10), la Risurrezione della figlia di Giàiro (Lc 8,41-56), l’agonia nel Getsemani (Mc 14,32-34)? Il fatto è che – quando si crea questa sicurezza di sé – è un attimo credersi più di quello che si è veramente, il rischio di credersi Dio. Due episodi ci rivelano questa “caduta di stile” nell’apostolo Giacomo.

Il primo è quello che – probabilmente – ha guadagnato a lui e al fratello Giovanni il titolo di boanèrghes (figli del tuono): “Quando videro ciò [che i Samaritani non volevano ricevere Gesù], i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». (Cfr. l’omologo episodio di Elia in 2Re 1,2-15). [Gesù] Si voltò e li rimproverò” (Cfr. Lc 9,51-56). I due fratelli erano così sicuri del “loro” potere da voler risolvere le cose “alla loro maniera”, in modo efficace e definitivo, come Dio: padrone della vita e della morte.

L’altro è quello narrato nel Vangelo di oggi, sempre in compagnia del fratello (e della madre): così superbo da credere di poter meritare un posto d’onore nel Regno dei Cieli. Questa non è la logica di Gesù e spesso contrasta con la nostra, è rivoluzionaria, perché si oppone alla dominazione degli uni sugli altri; proprio per questo Gesù ci invita anche a essere vigilanti, a stare sempre attenti a non ingannarci con una lettura edulcorata del suo Vangelo. Cristo «non ha vissuto la sua libertà come arbitrio o come dominio. L’ha vissuta come servizio. In questo modo ha “riempito” di contenuto la libertà, che altrimenti rimarrebbe “vuota” possibilità di fare o di non fare qualcosa. Come la vita stessa dell’uomo, la libertà trae senso dall’amore» (Benedetto XVI, Angelus, 1° luglio 2007). Gesù aiutò Giacomo e Giovanni a riempire le loro vite di significato, di amore per le altre persone, aprendo a quei semplici pescatori di Galilea orizzonti insospettati, «gli orizzonti del servizio» (Papa Francesco, Udienza, 11 gennaio 2023), molto più ampi di quelli immaginati. E così trasformò la loro vita in una appassionante avventura.

Sono i peccati di superbia che devono preoccupare ciascuno di noi. Per questo – saggiamente – l’apostolo Paolo ci mette in guardia e ci esorta: “Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare… non valutatevi più di quanto conviene, ma valutatevi in modo saggio e giusto, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato” (Cfr. Rm 12,2-3). Giacomo – conformandosi a questo mondo – voleva essere il “primo alla maniera umana”, ma Gesù ha subito orientato lui e i suoi compagni verso la giusta direzione: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mt 20,25-28). Per questo ha chiesto la sua disponibilità a bere il calice che Lui stava per bere. La risposta pronta, «lo possiamo», mossa dall’impeto umano,  andava ancora educata, in lui e in tutti gli altri. Dovevano tutti compiere un indispensabile cammino di conversione, camminando dietro a Gesù e passando attraverso la Sua Passione, Morte e Risurrezione. Insomma, anche gli Apostoli, le “colonne” della fede (Gal 2,9) su cui si fonda e appoggia la nostra piccola fede, erano fragili vasi di creta, non dei “superuomini”.

Magari si credevano tali all’inizio, ma poi la sequela di Cristo li ha trasformati totalmente. Eppure scelti dal Signore, proprio «affinché apparisse che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi» come è più volte ripetuto in diverse pericopi scritturistiche. Strumenti comunque umani, apparentemente inadatti, ma perfetti nelle mani di Dio, perché il Signore non cerca i migliori, ma – se ci lasciamo adoperare docilmente – ci rende migliori, ci fa Suoi strumenti, ci fa santi pur non privandoci della nostra umanità, preziosa agli occhi di chi l’ha voluta assumere per compiere il disegno del Creatore per le sue creature.

Di questa trasformazione ci parla molto bene San Giovanni Crisostomo: “Notate come tutti gli apostoli siano ancora imperfetti, sia i due che vogliono innalzarsi sopra i dieci, sia gli altri che hanno invidia di loro. Ma, come ho già detto, osservateli più tardi, e li vedrete esenti da tutte queste miserie. Giovanni stesso, che ora si fa avanti anche lui per ambizione, cederà in ogni circostanza il primato a Pietro, sia nella predicazione, sia nel compiere miracoli, come appare dagli Atti degli Apostoli. Giacomo, invece, non visse molto tempo dopo questi avvenimenti. Dopo la Pentecoste infatti sarà tale il suo fervore che, lasciato da parte ogni interesse terreno, perverrà ad una virtù così elevata da essere ritenuto maturo di ricevere subito il martirio.” (Giovanni Crisostomo, Omelie Vangelo di Matteo 65,2-4). Giacomo fu il primo a dare la vita per il Signore, a bere quel calice, fu fatto uccidere di spada da Erode Agrippa a Gerusalemme nel 42 d.C. (At 12,1-2).

Viviamo in un mondo di prepotenti, di “vasi di ferro”, dove chi alza di più la voce e agisce in modo spregiudicato si fa largo nella società. Ma il discepolo deve sempre tenere a mente le già citate parole del Maestro a proposito del potere e del dominio sugli uomini perché la tentazione di diventare “vasi di ferro” anche noi, di diventare lupi anziché “agnelli in mezzo ai lupi” o estrarre la spada come Pietro nel Getsèmani (Gv 18,10) è sempre dietro l’angolo. Se fossimo “vasi di ferro” non potremmo lasciarci spezzare dall’amore di Dio per spandere il profumo di Cristo (2Cor 2,15), perché questo avvenga, per restare al simbolo del vaso, dobbiamo essere come quel vasetto di alabastro che, per lasciare uscire tutto il prezioso nardo al suo interno, deve lasciarsi rompere, così che tutto il mondo si riempia di quel profumo (Mc 14,3 e Gv 12,3). Restiamo “vasi di terracotta”, sempre, restiamo fragili, restiamo umani, spargiamo il profumo dell’umanità di Gesù e lui farà il resto.

Questo è il martirio: non solo quello violento del lasciarsi togliere la vita, ma anche e soprattutto quello del diventare – giorno per giorno – remissivi e docili, «prudenti come i serpenti e semplici come le colombe» (Mt 10,16). Solo così l’Amore del Cristo crocifisso potrà scorrere e diffondersi in tutto il mondo. Giacomo continua a farlo ancora oggi, radunando le moltitudini attorno alla sua tomba a Compostela. Ci invita a metterci in cammino, ad essere disposti ad arrivare ai confini del nostro mondo e ad andare oltre le nostre sicurezze e le nostre comodità. «Questo è fondamentale per i Cristiani: noi discepoli di Gesù stiamo seduti aspettando che la gente venga o sappiamo alzarci, metterci in cammino con gli altri, cercare gli altri? È una posizione non cristiana dire: “Ma che vengano, io sono qui, che vengano”. No, vai tu a cercarli, fai tu il primo passo» (Papa Francesco, Udienza, 11 gennaio 2023). E “il primo passo”, si sa, è sempre quello più difficile da compiere perché è quello che inizia una strada piena di incognite: “sarà quella giusta?

Scriveva Sant’Agostino: «Chi corre fuori dalla via corre invano; non solo, corre per stancarsi. Fuori da essa, quanto più corre, più si smarrisce. Quale è la via nella quale corriamo? Cristo lo ha detto: “Io sono la via”. Quale è la patria verso cui ci dirigiamo? Cristo ha detto: “Io sono la verità”. Per lui corri, verso lui corri, in lui troverai riposo» (Sant’Agostino, Omelia X sulla prima Lettera di San Giovanni).

C’è qualcosa di grande nella vita dell’apostolo Giacomo che rimane nascosto ai nostri occhi. È molto poco quello che sappiamo di lui. Il Vangelo contiene poche sue parole e non ha lasciato nessuno scritto. A fronte del silenzio su questo figlio di Zebedeo, appare la figura di un altro Giacomo, con titoli importanti come «fratello del Signore» (Gal 1,19), testimone famoso della sua Risurrezione (1 Cor 15,7), vescovo di Gerusalemme (At 15,13-21) e colonna della Chiesa (Gal 2,9).  Quest’altro Giacomo godeva di grande autorità nella prima comunità Cristiana, come si legge negli Atti degli Apostoli e nelle Lettere di Paolo. Inoltre dà il nome a uno degli scritti del Nuovo Testamento che ho spesso ricordato già in altri miei contributi e che invito sempre a leggere ed a rileggere in quanto portatore di un messaggio fondamentale per la nostra sequela di Cristo: il servizio di carità.

Ecco perché appare strano che la Tradizione abbia voluto attribuire il titolo di Maggiore al fratello di Giovanni, del quale sappiamo ben poco. Il figlio di Zebedeo arrivò ad essere il Maggiore seguendo la via che gli aveva proposto il Maestro. Gesù gli aveva detto: «Chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti (Mt 20, 26-28)».  Questo fece Giacomo: vivere per servire, dare la propria vita. «Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24), scriverà Giovanni nel suo Vangelo, gettando un po’ di luce che ci permette di capire il mistero della vita e della morte di suo fratello Giacomo. Un mistero che si estende all’impressionante potere di attirare gente che ha ancora oggi il sepolcro dell’Apostolo.

Gesù ha dato ai boanèrghes un altro grande esempio dell’importanza del servizio: Maria, sua Madre, perfetta icona di dedizione assoluta ai fratelli ed alle sorelle, in silenzio e senza pubblicità, vana ricerca di visibilità, vanagloria, pompe mondane e liturgie vuote, quanto roboanti.

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