Podcast 2-73 – 11 maggio 2025 – IV Domenica di Pasqua. Gesù, il buon pastore
Prima Lettura: At 13,14.43-52 – Ecco, noi ci rivolgiamo ai pagani. Salmo responsoriale: Sal 99 – Noi siamo suo popolo, gregge che egli guida. Seconda Lettura: Ap 7,9.14-17 – L’Agnello sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. Vangelo: Gv 10,27-30 – Alle mie pecore io do la vita eterna.
Io sono il buon pastore, dice il Signore,
conosco le mie pecore
e le mie pecore conoscono me (Gv 10,14).
Nel Vangelo Gesù ci propone il Regno con l’immagine del Buon Pastore. Noi siamo suo popolo, gregge che Egli ama.
Il tema odierno si incrocia con quello della chiamata e della vocazione Cristiana. Tutti siamo chiamati a far parte del suo gregge e le parole di Gesù risuonano consolanti: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi, affaticati, oppressi, ed io vi ristorerò!”. Rispondere positivamente alla chiamata, all’invito del Buon Pastore è garanzia di salvezza eterna: “Io darò loro la vita eterna”, assicura Gesù.
Nel messaggio tre verbi evidenziano il rapporto tra il Pastore e le sue pecorelle: io le conosco, mi ascoltano, mi seguono. Dio conosce tutte le sue pecore, perché sono espressione del suo amore misericordioso per il quale “il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. Le pecore sono sue e per esse ha dato Maria, sua madre, come madre della Chiesa per la quale oggi preghiamo: “Rivolgi a noi, madre, gli occhi tuoi misericordiosi”. Gesù conosce le sue pecorelle per le quali è accusato dagli avversari (scribi e farisei ipocriti) di mangiare con esse ed accoglierle.
Ma Gesù dirà: qualunque cosa fai ad un povero a nome mio, l’hai fatto a me. A Pietro che chiede quante volte si può o si deve perdonare, Gesù dirà non sette volte ma settanta volte sette. Gesù, buon Pastore, è sempre attento a ciascuno di noi: ci cerca, ci ama e di ognuno conosce pregi e difetti; nostro compito è ascoltare la sua voce e seguirlo. Questo significa vero amore: l’amore è dono, non è costrizione: c’è pertanto chi lo respinge, c’è chi lo accoglie: Gesù chiama “amico” Giuda che lo tradisce con un bacio e poi va ad impiccarsi; Gesù perdona a Pietro, che lo rinnega e poi piange il suo peccato e poi gli dirà: pasci le mie pecorelle, pasci i miei agnelli: lo costituisce capo e suo vicario sulla terra.
Gesù invita tutti alla salvezza ma all’invito di Gesù deve fare riscontro il nostro “sì” generoso e carico di amore. Necessita ascoltare la sua voce e seguirlo, lavare le proprie vesti rendendole candide nel sangue dell’Agnello, come si legge nell’Apocalisse. È necessario liberare il cuore da tutte quelle passioni che non si conciliano con l’amore misericordioso di Dio. Le mie pecore, dice Gesù, ascoltano la mia voce, mi seguono e nessuna andrà perduta. Solo l’amore, inteso come coinvolgimento e capacità di mettersi in giuoco, evidenzia che siamo suoi; non c’è alternativa: ciò che ci costituisce di essere veri Cristiani, ciò che conta è ascoltare Cristo e seguirlo. Questa è la Chiesa, il grande gregge di Gesù, di cui parla l’Apocalisse: “Una moltitudine immensa che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua”.
Un regno di Dio dove le pecore sono nutrite con il suo corpo e il suo sangue: “Prendete e mangiate, questo è il mio corpo”. Basta pensare ai discepoli di Cristo, che ad Emmaus riconobbero Gesù solo nello spezzare il pane. Un Regno dove Gesù dice espressamente: chi vuole essere mio discepolo prenda la Croce e mi segua; la Croce per il Cristiano è una cattedra e ogni discepolo di Gesù deve essere un maestro. Capirono ciò bene gli apostoli che diedero la vita per testimoniare la parola di Dio in mezzo agli Ebrei e al mondo pagano. Questa è la Chiesa di Gesù: vera Chiesa missionaria! Sei cristiano se ascolti Cristo Gesù e la tua vita diventa testimonianza viva; fai parte di una Chiesa sempre in uscita. È allora necessario predicare ed essere predicatori credibili.
Maria, la Santissima Vergine, madre di Gesù e nostra, ci aiuti ad accogliere con gioia viva il messaggio di Gesù e ad essere testimoni credibili del Vangelo con le parole e le opere.
Indice dei podcast trasmessi [QUI]

Foto di copertina: Lunetta del Buon Pastore, mosaico, prima metà del V secolo, lato interno dell’ingresso del mausoleo di Galla Placidia, Ravenna.
In questo mosaico, tra i più famosi mosaici bizantini ravennati, Gesù è rappresentato in un paesaggio soffuso di pace, ricco di piante e fiori, ha un’espressione serena, è giovane, senza barba, circondato da sei pecorelle, con un chiaro significato allusivo: solo attraverso il Cristo si raggiunge la pace eterna.
«Il mosaico, appartenente alla prima fase dello stile bizantino ravennate, mostra un naturalismo che deriva dall’influenza dell’arte tardo-romana a cui si associano il simbolismo paleocristiano e alcuni elementi stilistici orientali.
La scena è molto equilibrata, impostata su una composizione simmetrica ma non rigida, vivacizzata da varianti e si presenta come un’immagine idilliaca, dove regna la pace e l’armonia.
L’ambientazione è naturalistica, sembra un paesaggio di montagna molto ricco di piante, fiori e cespugli, immerso in un’atmosfera primaverile, a cui sembra alludere il cielo azzurro. Anche i colori sono chiari, luminosi come quelli di una giornata serena: sono tutti elementi che rinviano al Paradiso come è descritto nei testi sacri medievali. Il Pastore e gli animali appaiono sereni, rilassati e perfettamente a loro agio.
Si inserisce nel programma iconografico legato al tema della salvezza di cui fa parte l’intero ciclo decorativo dei mosaici del mausoleo. Ogni dettaglio della rappresentazione segue un preciso linguaggio simbolico religioso.
Al centro, asse della composizione, è rappresentato Gesù, paragonato ad un pastore che si prende cura del suo gregge. Le pecorelle rappresentano i fedeli Cristiani, che seguono Cristo come loro guida.
Gesù è una figura giovanile, è presentato senza barba, come un adolescente, perché è l’immagine del Figlio di Dio. In abiti imperiali, è presentato come Re del Cielo, ha la veste d’oro perché rivestito della sua natura divina e il manto porpora, simbolo della Passione. Il corpo è tutto girato, in una posa dinamica, plastica e articolata, compie movimenti lenti e solenni, possiede un’energia contenuta. L’espressione è serena e rilassata, lo sguardo, con la testa girata verso destra, sembra assorto, rivolto lontano. Con la sinistra si regge una croce (altro rinvio alla passione) e con la destra accarezza una pecora. Questo gesto esprime affetto e accoglienza, rinvia alla comunicazione con i fedeli che per mezzo di lui potranno accedere al Paradiso.
Gli animali sono simili, ma ognuno si pone con un atteggiamento diverso per indicare la libertà che Dio ha concesso agli uomini. Tutti però rivolgono la testa verso Cristo. È l’immagine dei fedeli che seguono l’insegnamento di Gesù attraverso il Vangelo.
Dall’arte romana deriva la rappresentazione tridimensionale dello spazio e il naturalismo d’insieme: le diverse gradazioni di azzurro nel cielo, la definizione dei piani di profondità, i volumi solidi delle rocce e dei corpi delle figure e le ombre proiettate sul terreno. Le forme sono tondeggianti e tornite la figura centrale di Cristo propone effetti di scorcio e dinamismo come nelle gambe e nelle braccia che suggeriscono profondità e una certa scioltezza.
Su questa base più classica si sovrappongono alcuni elementi astrattivi che appartengono al gusto bizantino-orientale, più vicino cioè all’arte di Costantinopoli. Tra questi: le linee di contorno scure che tendono ad appiattire le forme e a delimitarle. Altri elementi di astrazione sono i cespugli tutti alla stessa distanza e il mantello delle pecore con motivi a zig-zag» (A. Cocchi).