Riflessioni sulle letture festive – Meditazione sulle letture della festa di San Giovanni, Apostolo ed Evangelista

È stato pubblicato sul canale Spreaker dell’Ufficio Stampa della Real Commissione per l’Italia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, a cura del Referente per la Formazione della Delegazione di Roma e Città del Vaticano, il Prof. Enzo Cantarano, Cavaliere di Merito con Placca d'Argento, il podcast con la meditazione sulle letture della festa di San Giovanni, Apostolo ed Evangelista, di cui riportiamo di seguito l’audio e il testo. Giovanni fu il più giovane e il più longevo degli Apostoli; il discepolo più presente nei grandi avvenimenti della vita di Gesù; autore del quarto Vangelo, opera essenzialmente dottrinale e dell’Apocalisse, unico libro profetico del Nuovo Testamento. Fu insieme al fratello Giacomo e a Pietro testimone della trasfigurazione del Signore, dal quale ricevette stando ai piedi della croce Maria come madre. Si dimostra teologo, che, ritenuto degno di contemplare la gloria del Verbo incarnato, annunciò ciò che vide con i propri occhi. Era quel Dio che, come diceva l’Antico Testamento, non si poteva guardare senza morire. Eppure, Giovanni aveva guardato Gesù e aveva visto in lui un Dio il cui sguardo e il cui contatto danno la vita. Aveva mangiato e bevuto con lui, camminato al suo fianco, spinto da un irresistibile amore, che l’avrebbe portato inevitabilmente non al successo, ma alla morte: eppure, in ogni istante, aveva saputo che era quello il vero cammino di vita.
San Giovanni

Podcast 2-34 – 27 dicembre 2024 – Meditazione sulle letture della festa di San Giovanni, Apostolo ed Evangelista

«Il primo giorno della settimana, Maria di Magdala corse e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette» (Gv 20,2-8).

Ieri Stefano, oggi Giovanni l’apostolo. Passato il Natale, questi giorni servono, di solito, a prepararsi al Capodanno oppure, come succede quest’anno, a usufruire del piccolo ponte natalizio per qualche giorno di vacanza.

Fissando lo sguardo sulla grotta, entra in scena la memoria di Giovanni Apostolo e la lettura, piuttosto curiosa, del Vangelo della Resurrezione. Quasi a ricordarci che dietro quel Bambino c’è il Risorto e che, se dedichiamo del tempo a celebrare quella nascita, è perché quel Neonato è già il Crocefisso e il Risorto. Ci emozioniamo tutti di fronte alla nascita di un bambino: in questo caso, oltre l’emozione, lasciamo spazio alla teologia.

È Dio che diventa uomo il centro della nostra riflessione, la sua presenza in mezzo a noi. Dio si fa uomo perché l’uomo diventi come Dio, dicevano i Padri orientali. Dio si fa uomo per salvarci, dicevano i Latini. Dio si fa l’uomo perché l’uomo impari a diventare più uomo. Celebriamo quel Bambino e lo riconosciamo come il Messia, l’inviato di Dio, il Dio-con-noi. Con stupore ancora lasciamo nascere in noi la presenza del Risorto.

Oggi, contempliamo un Vangelo Pasquale. Maria di Magdala si reca al sepolcro, ma resta smarrita di fronte alla pietra che lo chiudeva ribaltata. Pensa che qualcuno abbia rubato il corpo di Gesù e corre dai discepoli mossa dal timore che sia successo qualcosa di irrimediabile. Alle parole e alla corsa di Maria di Magdala, segue la corsa dei due discepoli che si recano al sepolcro vuoto. Pietro entra, ma non comprende, Giovanni entra e, al contemplare il sepolcro vuoto e le bende posizionate in un determinato modo, “vide e credette”. Vede una tomba vuota e crede che il Signore è Risorto. Nulla di miracolistico e appariscente, nessuna sconvolgente teofania. Ma la fede pasquale di Giovanni non nasce dal contemplare semplicemente una tomba vuota; questa, infatti, può far anche pensare al trafugamento del corpo del Signore. Vi è qui qualcosa di più profondo. Entrare nel sepolcro, trovare i teli e il sudario ordinati, accende nel discepolo amato la memoria del cuore; si ricorda delle parole di Gesù e crede al Signore della vita senza vederlo in quel momento. Questo discepolo “vede con il cuore”: solo l’amore è il principio della fede. L’amore “vede” i segni e “crede”. Il discepolo amato aveva vissuto così intensamente il rapporto con Gesù che impara a riconoscerlo anche nei segni della sua assenza. Aveva permesso a Gesù di incarnarsi così profondamente nella sua vita, che il suo cuore aveva imparato a discernere nell’amore le tracce della Sua presenza.

È illuminante infatti uno dei versetti successivi: “Essi infatti non avevano ancora compreso le Scritture”. Ecco, le Scritture, solo esse, danno e rafforzano la fede pasquale. Tutti gli eventi che viviamo dovremmo essere capaci di leggerli alla luce della Parola di Dio, come Giovanni che legge quella tomba vuota alla luce della Parola.

L’atto di entrare nel sepolcro da parte di Pietro e poi del discepolo amato ha una valenza simbolica. Noi entriamo, durante la nostra vita, in numerosi luoghi di morte (lutti, separazioni, abbandoni, fine di relazioni e di amicizie, incomunicabilità) e lasciamo anche entrare la morte in noi, divenendo noi un luogo di morte per gli altri (chiusura egoistica, arroganza, abuso, violenza, manipolazione, indifferenza). La fede nella resurrezione, consente di entrare nelle situazioni di morte guardando oltre la morte e vivendo la resurrezione, ovvero amando o cercando di amare come Cristo ha amato e, soprattutto, credendo al suo amore per noi.

È questa fede, dunque, che ci aiuta a comprendere il senso più nascosto di tante cose a prima vista insignificanti e oscure. Per questo domandiamoci quanto il nostro agire sia illuminato dalla Parola di Dio, quanto questa sia lampada ai nostri passi, bussola del nostro cammino. Perché allora la nostra sia una fede salda e non evanescente e superficiale, non dimentichiamo le parole di san Girolamo: l’ignoranza delle scritture è ignoranza di Dio.

A Giovanni, poi, noi dobbiamo il Gesù più intimo, quello che più profondamente si manifesta come Figlio di Dio fatto uomo.

Ma, chi era Giovanni? Nato da Zebedeo, ricco pescatore di Betsaida (Mc 1,20; Mt 4,18-22; Gv 1,44), e da Salome, una delle donne che si posero al servizio di Gesù e dei suoi Discepoli, Giovanni fu probabilmente educato, come il fratello Giacomo, nell’ambiente della setta degli zeloti, come mostra la vivacità delle sue repliche (Mc 3,17; Lc 9,53-56).

Essendo discepolo di Giovanni Battista (Gv 1,35-41), fu indirizzato a Cristo dal suo Maestro. Diventato discepolo di Gesù, Giovanni fu presto uno dei membri più attivi del gruppo e uno di quelli ai quali il Signore affidò il più gran numero di incarichi e confidò i segreti più intimi (Mt 17,1-8; Mc 13,3; Lc 22,8; Gv 13,23; Mt 26,37; Gv 19,26;20,3). Partecipò al Concilio di Gerusalemme (Gal 2,9) e, al termine di una lunga vita apostolica, fu esiliato nell’isola di Patmos, al tempo di Domiziano (Ap 1) e vi morì.

Giovanni ha posto al centro del suo Vangelo la manifestazione di Dio al mondo nella persona del Cristo: Gesù è il figlio di Dio, ed egli stesso si presenta per mezzo dei suoi grandi “Io sono” e di una molteplice manifestazione concreta. A questa manifestazione Giovanni dà il nome di “testimonianza” o di “missione”. Essa consiste essenzialmente in una serie di “segni” della “gloria” di Dio; il più importante di questi “segni” è compiuto “in quest’ora”, quella della glorificazione di Cristo nel mistero pasquale. Questi segni si perpetuano nella vita della nostra comunità di credenti e nei sacramenti della presenza del Signore.

Le Lettere di Giovanni prolungano l’insegnamento del suo Vangelo: Dio che è “Amore e Luce”, gli impegni Cristiani derivanti dalla carità e le precauzioni contro il peccato sono i temi principali.

L’Apocalisse è essenzialmente una meditazione sul significato della storia, redatta secondo un genere letterario molto usato nel mondo ebraico e destinata a fortificare la fede dei Cristiani provata dalle persecuzioni: Cristo ha già vinto il mondo e Satana; coloro che partecipano alle sofferenze di Cristo, partecipano pure al suo trionfo.

Dai Trattati sulla Prima Lettera di Giovanni di Sant’Agostino, Vescovo.

Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi e ciò che le nostre mani hanno toccato del Verbo della vita (cfr. 1Gv 1,1). Chi è che tocca con le mani il Verbo, se non perché il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi? (cfr. Gv 1,14). Il Verbo che si è fatto carne, per poter essere toccato con mano cominciò ad essere carne dalla Vergine Maria; ma non cominciò allora ad essere Verbo, perché è detto: “Ciò che era fin da principio”. Vedete se la Lettera di Giovanni non conferma il suo Vangelo, dove ora avete udito: “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, ed il Verbo era Dio” (Gv 1,1). Forse qualcuno prende l’espressione “Verbo della vita” come se fosse riferita a Cristo, ma non al corpo di Cristo toccato con mano. Ma fate attenzione a quel che si aggiunge: “La vita si è fatta visibile” (1Gv 1,2). È Cristo dunque il Verbo della vita. E come si è fatta visibile? Esisteva fin dal principio, ma non si era ancora manifestata agli uomini; si era manifestata agli angeli ed era come loro cibo. Ma cosa dice la Scrittura? “L’uomo mangiò il pane degli angeli” (Sal 77,25).

Dunque la vita stessa si è resa visibile nella carne; si è manifestata perché ciò che può essere visibile solo al cuore, diventasse visibile anche agli occhi e risanasse i cuori. Solo con il cuore infatti può essere visto il Verbo, la carne invece anche con gli occhi del corpo. Si verificava dunque anche la condizione per vedere il Verbo: il Verbo si è fatto carne, perché lo potessimo vedere e fosse risanato in noi ciò che ci rende possibile vedere il Verbo. Disse: “Noi rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi” (1Gv 1,2), ossia, si è resa visibile fra di noi; o meglio, si è manifestata a noi.

“Quello dunque che abbiamo veduto e udito, lo annunziamo anche a voi” (1Gv 1,3). Comprenda bene il vostro amore: “Quello che abbiamo veduto e udito, lo annunziamo anche a voi”. Essi videro il Signore stesso presente nella carne e ascoltarono le parole dalla bocca del Signore e le annunziarono a noi. Anche noi perciò abbiamo udito, ma non l’abbiamo visto. Siamo dunque meno fortunati di coloro che hanno visto e udito? E come mai allora aggiunge: “Perché anche voi siate in comunione con noi” (1Gv 1,3)? Essi hanno visto, noi no, eppure siamo in comunione, perché abbiamo una fede comune. “La nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo perché la vostra gioia sia perfetta” (1Gv 1,3-4). Afferma la pienezza della gioia nella stessa comunione, nello stesso amore, nella stessa unità.

Indice dei podcast trasmessi [QUI]

Foto di copertina: Carlo Dolci, San Giovanni Evangelista, 1670 circa, olio su tela, 78×95 cm, ottagonale, Palazzo Pitti, Firenze.
l dipinto, fin dal 1834 figura tra i quadri di Palazzo Pitti, dove è tuttora. Sappiamo dal Baldinucci che il Dolci dipinse più volte quadri con evangelisti: da giovane eseguì quattro ottagoni per un suo confessore, che, in seguito, abbellì; un San Giovanni Evangelista (1650 circa) che venne inviato a Venezia e un altro, commissionatogli da Cosimo III nel 1670 (ora alla Palatina). Il San Giovanni Evangelista è appunto una replica esatta di quest’ultimo. I volumi levigati e la qualità porcellanata della materia pittorica che, per il Del Bravo, il Dolci derivò dalla pittura di artisti fiamminghi come Frans van Mieris, accomunano l’opera ad altre eseguite intorno agli anni 1670.

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