Riflessioni sulle letture festive – VII Domenica del Tempo Ordinario. Il bene trionfa sul male attraverso l’amore

È stato pubblicato sul canale Spreaker dell’Ufficio Stampa della Real Commissione per l’Italia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio il podcast con la meditazione per la VII Domenica del Tempo Ordinario, a cura del Prof. Don Pietro Pisciotta, letta dalla Dott.ssa Valentina Villano, Dama di Ufficio, di cui riportiamo di seguito l’audio e il testo. Il Vangelo ci propone oggi la rinuncia alla vendetta e alla violenza. Gesù impone il principio della non resistenza al male e il comandamento dell’amore dei propri nemici. Non si trionfa sul male con il male; non si trionfa sulla violenza con la violenza. Il male e la violenza sono vinti quando li si lascia dissolvere, senza rilanciarli con una risposta analoga. L’odio non può essere distrutto che dall’amore che lo subisce gratuitamente. Gesù ha conosciuto la cattiveria; cosa vuol dire essere detestato, spogliato, percosso e ucciso. Egli ha amato coloro che lo odiavano; ha dato più di quanto non gli fosse stato tolto; ha benedetto coloro che lo maledicevano. Solo colui che dice “sì” alla croce di Cristo può obbedire a tali precetti e trovare nell’obbedienza il compimento della promessa contenuta in essi: il bene trionfa sul male attraverso l’amore.
La cattura di Gesù

Podcast 2-53 – 23 febbraio 2025 – VII Domenica del Tempo Ordinario. Il bene trionfa sul male attraverso l’amore

Prima Lettura: 1Sam 26,2.7-9.12-13.22-23 – Il Signore ti aveva messo nelle mie mani e non ho voluto stendere la mano. Salmo responsoriale: Sal 102 – Il Signore è buono e grande nell’amore. Seconda Lettura: 1Cor 15,45-49 – Come eravamo simili all’uomo terreno, così saremo simili all’uomo celeste. Vangelo: Lc 6,27-38 – Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso.

Camminiamo in novità di vita

Il Brano del Vangelo non si ferma oggi con il dire “non odiate i vostri nemici”, ma va oltre: “Ama i tuoi nemici… fai del bene a quelli che vi odiano!”

La morale Cristiana non è un moralismo esagerato, ma la conseguenza naturale dell’essere Cristiani, cioè figli di Dio e perciò fratelli tra di noi, tanto da pregare: “Padre nostro, che sei nei cieli”.

L’etica è la conseguenza dell’essere: con il Battesimo ci siamo innestati a Cristo da costituire con Gesù un unico corpo: il corpo mistico della Chiesa dove Cristo è il capo, noi le membra. Il livello ontologico deve precedere sempre quello etico; il nostro comportamento deve essere adeguato ed in sintonia con la realtà acquisita con il Battesimo. Da qui le parole di Gesù: “rimanete nel mio amore ed osservate i miei comandamenti”.

Come vedi, abbiamo due livelli:

Il primo: sei Cristiano se rimani nel mio amore.

Il secondo: se sei Cristiano, discepolo di Cristo, “osserva i miei comandamenti”.

Dio è amore, siamo allora chiamati ad amare; Gesù è morto in croce per tutti (amici ed avversari), allora ama tutti senza alcuna distinzione. L’amore o è altruismo o non è amore. Vuoi sapere se qualcuno ti ama sul serio? Non fidarti delle sue parole, ma mettilo alla prova con il sacrificio: se non è capace di sacrificarsi per te, non ama te ma se stesso.

L’amore non è un divertimento; è una cosa seria, perché è qualcosa di divino. L’amore per il nemico è il nucleo della rivoluzione Cristiana, va contro le logiche umane, rende vana la morale comune, polverizza le strategie del mondo. Non dimenticare: solo l’amore del nemico salverà l’umanità.

Ti sembra cosa difficile? Un giorno anche l’apostolo Paolo, pieno di paura, elevò a Dio la sua preghiera. Il Padre rispose: “Non temere, Paolo, ti basta la mia grazia; la mia potenza, dice il Signore, si manifesta pienamente nella debolezza”. L’apostolo scriverà: “Quando sono debole, è allora che sono forte!” Beato l’uomo che confida nel Signore, maledetto l’uomo che confida nell’uomo.

Il Vangelo oggi ci propone l’insegnamento di Cristo: amate i vostri nemici, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano: chi ti percuote la guancia destra, porgi anche la sinistra. Ecco l’ideale della carità evangelica; potrebbe sembrare un paradosso, ma basta riflettere; secondo i parametri umani appare inconcepibile: amare i nemici, fare del bene a chi fa del male, ma Gesù non è venuto certo per collaudare il mondo egoista ed individualista, superbo ed orgoglioso. Gesù conosce bene il comportamento umano: “Se amate quelli che vi amano, se fate del bene a chi vi ha fatto del bene… cosa avete fatto di straordinario? Non fanno così anche i pagani?”

Tu sei figlio di Dio, Gesù è morto in croce per tutti e per ciascuno di noi e la sua preghiera è stata in favore dei suoi crocifissori: “Padre, perdona loro, non sanno quello che fanno”.

Tutto quanto Gesù ci ha insegnato non è un optional, è un comando. Gesù conosce anche la nostra debolezza, per questo si è fatto uomo, è morto in croce e risorto è rimasto presente nell’Eucaristia: cibo, forza e nutrimento alla nostra debolezza. La logica dell’amore è il distintivo della fede Cristiana e ci spinge ad incontrare tutti con cuore di fratelli. Gesù ci ha dato l’esempio: oltraggiato, non risponde; ingiuriato perdona e prega: “Padre, perdona loro”.

Gli Apostoli, a partire dalla Pentecoste, saranno i primi testimoni dell’amore misericordioso di Dio. I nostri fratelli e sorelle, che chiamiamo “santi”, sono persone che hanno amato sino all’estremo sacrificio: ieri come oggi, vedi ad esempio il Beato Pino Puglisi, Madre Teresa di Calcutta, San Pio da Pietrelcina e quanti sanno amare e perdonare. Diceva San Francesco: nessun fratello, che ha peccato, deve vedere i tuoi occhi e partirsene senza la certezza di essere stato perdonato.

Amico, getta via allora l’aceto dal cuore e riempilo di miele: il miele del perdono, di dimenticare le offese ricevute, di benedire e mai maledire. La più bella vendetta è l’amore e il perdono. L’amore per il nemico è il nucleo della rivoluzione Cristiana.

Indice dei podcast trasmessi [QUI]

“Colui che era stato crocifisso è risorto! Tutte le domande e le incertezze, le esitazioni e le paure sono fugate da questa rivelazione. Il Risorto ci dà la certezza che il bene trionfa sempre sul male, che la vita vince sempre la morte e la nostra fine non è scendere sempre più in basso, di tristezza in tristezza, ma salire in alto. Il Risorto è la conferma che Gesù ha ragione in tutto: nel prometterci la vita oltre la morte e il perdono oltre i peccati” (Papa Francesco, Udienza Generale del 31 marzo 2021).

Foto di copertina: Michelangelo Merisi da Caravaggio, Cattura di Cristo, 1602, olio su tela, 133,5×169,5 cm, National Gallery of Ireland, Dublino.
Quello dipinto da Caravaggio è il momento immediatamente successivo all’arresto di Gesù: questi, al termine dell’intensa orazione nell’orto degli ulivi, viene raggiunto da Giuda Iscariota che indica ai soldati la persona da arrestare mediante un bacio. Il momento descritto in tutti e quattro i Vangeli canonici, ma più precisamente in quello di Marco: «Chi lo tradiva aveva dato loro questo segno: “Quello che bacerò, è lui; arrestatelo e conducetelo via sotto buona scorta”. Allora gli si accostò dicendo: “Rabbì” e lo baciò».
Nel dipinto è rappresentato la scena orchestrata da Caravaggio si sviluppa in senso orizzontale.
Il centro visivo del dipinto, quello che l’occhio coglie a prima vista, è dato proprio dal contrasto delle teste di Gesù e dell’apostolo che lo sta tradendo. Se il primo, dal volto pallido e dall’atteggiamento compunto e rassegnato – caratteristiche che prefigurano i patimenti e la passione – si muove verso sinistra, quasi perdendo l’equilibrio, come si nota facilmente guardando la posizione delle mani giunte di Gesù perché ancora in estasi, è per via dell’impeto del corpo di Giuda, ritratto una frazione di secondo prima che le labbra, già atteggiate alla posizione del bacio, tocchino l’altrui guancia., è per via dell’impeto del corpo di Giuda, ritratto una frazione di secondo prima che le labbra, già atteggiate alla posizione del bacio, tocchino l’altrui guancia.
Sulla destra si trova un gruppo formato da quattro armigeri (dell’ultimo dei quali si scorge solo l’elmo), Giuda Iscariota e un uomo che che solleva sulle teste degli stanti una lanterna che permette di illuminare due guardie che si stanno avventando sul Cristo. Giuda è colto nell’atto di scostarsi da Gesù dopo averlo baciato, mentre i soldati già trascinano via sia l’uno che l’altro.
L’insieme è, ovviamente, frenetico. Lo sbilanciamento delle figure e i guizzi di luce sulle corazze dei soldati, rende la scena concitata e dinamica.
Sottile è il gioco psicologico che l’artista lombardo mette in scena. I volti esprimono stupore, rassegnazione, rabbia; la luce rimbalza sulle scure e lisce corazze dei soldati – quanto mai inappropriate rispetto alla figura emaciata e dismessa dell’arrestato – e, più di tutto, le opposte direzioni dei movimenti rendono alla perfezione la tensione e l’angoscia per ciò che sta avvenendo e per ciò che accadrà, come pronosticato. Lo spazio attorno ai vari personaggi è davvero ridotto proprio ad aumentare la drammaticità. Cristo appare esausto e rassegnato al proprio dolore. Giuda, col volto grottesco, sembra inquieto e pentito come l’Attila del Martirio di sant’Orsola, al quale Caravaggio darà fattezze simili. Gli armigeri non manifestano alcun sentimento, poiché si limitano a compiere il proprio dovere. Il personaggio che regge la lanterna sembra più che altro incuriosito: che si tratti o meno di un autoritratto del Caravaggio, rappresenta l’uomo a lui contemporaneo, colto nell’atto di approcciarsi al Mistero della fede.
Significativo, infine, è il rapporto tra le figure di Cristo e San Giovanni alle sue spalle, colto mentre fugge verso sinistra col volto contratto in un urlo. Le loro teste appaiono fuse, tanto che è impossibile stabilire dove inizi la chioma di uno e finisca quella dell’altro, come un moderno Giano Bifronte. I loro corpi formano una diagonale le cui estremità sono date dalle braccia spalancate dell’uno e dalle mani intrecciate dell’altro. Il loro atteggiamento è speculare e complementare, come se l’Apostolo esprimesse le violente emozioni che Cristo invece reprime.
Del dipinto realizzato da Caravaggio nel 1602, ovvero nel decennale soggiorno romano intervallato dal rilascio dal carcere dell’anno precedente e una nuova fuga a seguito di varie e disparate querele, sono note due versioni. La prima di proprietà della comunità dei Gesuiti, in prestito a tempo indeterminato nella National Gallery of Ireland di Dublino; la seconda nella collezione privata dell’antiquario Mario Bigetti. Sono state inoltre censite 16 copie. Tra le copie più vicine agli originali si annovera quella appartenente al Museo d’Arte Occidentale ed Orientale di Odessa.
La versione più celebre è quella conservata a Dublino, dove è arrivata dopo varie peripezie. Nei primi anni del XVII secolo, durante il soggiorno romano dell’artista, Ciriaco Mattei commissionò al Caravaggio il dipinto; suo fratello, il Cardinale Girolamo Mattei, ne avrebbe suggerito soggetto, iconografia e ambientazione. Il 2 gennaio 1603 il committente pagava centoventicinque scudi per il ritiro del dipinto completato, secondo un antico registro custodito negli archivi della famiglia Mattei a Recanati. Nel 1603 il Cardinal Mattei muore e Caravaggio lascia la sua dimora. In seguito alla morte di Ciriaco, suo figlio Giovan Battista vendette il dipinto alla famiglia Colonna di Stigliano, i quali a loro volta lo cedettero ai Ruffo di Calabria. Il quadro passa poi nelle mani di una facoltosa coppia di scozzesi, gli Hamilton Nisbet, i quali ne detengono la proprietà per decenni prima di metterlo all’asta. Mary Lea Wilson, la nuova proprietaria, convertendosi al Cristianesimo forse proprio per via della folgorazione ricevuta dall’opera, lo dona, nel 1990, alla comunità dei Gesuiti di Dublino, il cui oculato curatore richiede l’assistenza degli esperti della National Gallery di Londra, constatando fin da subito l’altissimo valore e la perfezione dell’opera, che all’epoca era ritenuta una copia anonima. Rimossi i primi strati di depositi superficiali emerse chiaramente la maestria con cui era stato realizzato, tale da poter ipotizzare la paternità del Caravaggio. Nel 1993 Sir Denis Mahon censì per la prima volta il dipinto, definendolo realizzato dal Caravaggio. Tuttavia tale paternità non è universalmente accettata, sulla base delle forti somiglianze tra la copia dublinese e una conservata a Edimburgo, attribuita a Gerard van Honthorst, anche noto come Gherardo delle Notti.
Nel 1943 Roberto Longhi scoprì una versione dello stesso soggetto nella collezione privata della famiglia Sannini di Firenze. Nel 2003 il dipinto fu acquistato dall’antiquario Mario Bigetti, il quale lo sottopose ad approfondite analisi radiografiche: la presenza di numerosi pentimenti sotto la pellicola pittorica suggerirebbero che questa copia sia in effetti l’originale.

Michelangelo Merisi da Caravaggio, Cattura di Cristo, inizio XVII secolo, olio su tela, 134×172,5 cm, Museo d’Arte Occidentale e Orientale, Odessa. Stato del dipinto prima dei lavori di restauro.
Non è noto se la famiglia del Cardinal Mattei si disfece della copia autenticata nel 1950 conservata a Odessa – città ucraina divenuta celebre, purtroppo, anche grazie alle immagini del febbraio 2022, relative ai disperati tentativi di mettere al sicuro e in sicurezza le opere e i monumenti di grandissimo valore culturale che vi si trovano – immediatamente o dopo anni. Sicuramente alla metà dell’Ottocento si trovava esposta nell’Hotel Basilewsky. Nel 1868 il collezionista Alexander Petrovich Basilewsky decide di disfarsi di tutti i quadri in suo possesso – principalmente per questioni economiche –, fatta eccezione per La cattura di Cristo. L’opera nel 1870 viene donata al fratello del futuro Zar Alessandro III, il quale la espone all’Accademia delle Belle Arti di San Pietroburgo. La permanenza del dipinto nell’imponente collezione reale è in realtà piuttosto breve, visto che ai primi del Novecento la si sposta in una città appena fondata dagli stessi Romanov, centro commerciale, ma anche culturale e multietnico, Odessa. Qui, il Museo di Arte Occidentale e Orientale vede la luce nel 1924, istituito presso un palazzo dalla delicata architettura costruito alla metà dell’Ottocento.
Il 30 luglio 2008 il dipinto viene rubato dal museo. Lo si ritrova due anni dopo, in una stazione periferica della città di Berlino, in un pessimo stato che richiede un immediato restauro, che però viene impedito per 11 anni poiché la tela è necessaria per portare a giudizio più di 20 persone, membri di una banda specializzata in furti di opere d’arte.
Nell’estate del 2018 sono iniziati i lavori di restauro presso l’Istituto di Restauro di Kyiv, nonostante la mancanza di strumentazioni all’avanguardia e di una consistente esperienza alle spalle.
Il 24 febbraio 2022 il museo riporta sui propri canali social: «Il Museo d’arte occidentale e orientale di Odessa non accetta visitatori, ma si impegnerà nel suo primo dovere: preservare la collezione, proprietà dei cittadini Ucraini. Siamo sicuri che ci incontreremo molto presto». Le opere sono state sigillate e trasportate in bunker, per preservarle in caso di attacchi aerei, ritenuti allora molto probabili, alla città. Il museo, chiuso dal 24 febbraio 2022, avrebbe dovuto ospitare, proprio nelle settimane in cui è scoppiata la guerra, una serie di lezioni e convegni aperti a studiosi e cittadini sulla Commedia dell’Arte, patrimonio del teatro italiano.
Nonostante la terribile situazione, si è intensificata la pubblicazione sui canali social di post relativi alle opere d’arte della collezione, in particolar modo di dipinti che rappresentano esempi di forza, lealtà e coraggio, in una dinamica comunicativa utilizzata ampiamente dallo stesso Volodymyr Zelenskj, per tenere aggiornato e spronare il proprio esercito e popolo, ma anche per raggiungere l’opinione pubblica mondiale. Un esempio della “propaganda per la pace” impugnata dalla direzione museale è la didascalia accanto a un’opera che ne riporta una breve analisi, letta alla luce della situazione corrente: «Cosa ci serve? Pace, tranquillità e luce. […] L’immagine dell’eroina del dipinto di Max diventa l’incarnazione di una fonte di luce spirituale, che l’artista riteneva essere la fede cristiana incarnata da una lampada nelle mani di Cecilia. Il volto della ragazza è concentrato-triste; la sua figura che compone la croce frangia, tutto il riempimento emotivo e artistico dell’opera suona come un sermone di umiltà e umiltà. […] La luce è con noi!»
«Il restauro de La Cattura di Cristo di Odessa procede a rilento ma sta andando avanti. Forse parlare del restauro di un quadro in questi giorni per qualcuno potrebbe essere fuori luogo e inopportuno viste le cose molto più importanti che il Paese sta affrontando, ma se ci riflettiamo un attimo una similitudine con il nostro “stare in attesa di questi giorni” la possiamo decisamente ritrovare: in questo caso si tratta di una magnifica tela del Seicento, forse addirittura del Caravaggio, che nella lontana Odessa in Ucraina sta aspettando di ritornare alla propria vita. Sospesa nella sua funzione principale, quella di essere esposta e farsi ammirare da vicino dal suo pubblico, poter essere testimone della maestria e dell’ingegno del suo autore, insegnare e descrivere quel mondo che rappresentava, in qualche modo ritroviamo la stessa condizione di sospensione che stiamo sperimentando in questi giorni. Senza poter vedere se non a distanza, senza poter insegnare o imparare con le nostre scuole e università necessariamente chiuse, sospesi anche noi in tante delle nostre prerogative fondamentali di confronto, con al massimo la possibilità di surrogare tutto ciò in maniera più o meno reale attraverso l’uso di strumenti elettronici (e in tal senso in queste ore fioccano le iniziative in rete o attraverso i media di visite virtuali a siti archeologici o a intere gallerie d’arte). Ma in qualche modo questo tipo di iniziative sicuramente lodevoli potrebbero, per alcuni, acuire questa sensazione di sospensione senza fine.
Ma in fondo questa premessa più o meno condivisibile è solo per descrivere come un restauro di un’opera d’arte sia questo. È sospendere quella tela o quell’affresco da tutte le sue funzioni, e ciò avviene perché tutto è programmato, reso necessario dal passare degli anni (è come fare il nostro tagliando della vettura, o come se per qualche acciacco o per l’età che naturalmente avanza inesorabile avessimo bisogno di un check o di qualche cura), non è una cosa drammatica, è soltanto “da fare”, al massimo da sopportare. Ma è drammatico quando lo dobbiamo fare perché un qualcosa che non controlliamo ci costringe a farlo, e in questo caso qualsiasi intervento diventa lungo, faticoso e complicato.
Il restauro di questa tela, La Cattura di Cristo del Museo d’arte Orientale e Occidentale di Odessa è proprio uno di questi casi: difficile, a lungo atteso e anche decisamente complesso. Non a caso ci ritroviamo a parlarne a distanza di soltanto quasi otto mesi e anche stavolta non vi potrò dare la notizia che il lavoro iniziato nell’estate del 2018 è terminato» (Nataliia Chechykova, 19 marzo 2020).

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