Riflessioni sulle letture festive – XXVI Domenica del Tempo Ordinario: “La tentazione di monopolizzare Dio”

È stato pubblicato sul canale Speaker dell’Ufficio Stampa della Real Commissione per l’Italia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, a cura del Referente per la Formazione della Delegazione di Roma e Città del Vaticano, il Prof. Enzo Cantarano, Cavaliere di Merito con Placca d'Argento, il podcast con la meditazione per la XXVI Domenica del Tempo Ordinario: La tentazione di monopolizzare Dio, di cui riportiamo seguito l’audio e il testo. È nella comunità che i carismi vengono riconosciuti. È al “pastore” che Dio ha affidato il compito di difendere il gregge contro gli assalti, le insinuazioni e il fascino del male camuffato di bene. La tentazione di monopolizzare il nome di Cristo, di incapsularlo nella nostra chiesa, nel nostro gruppo, associazione o movimento, è sempre attuale.
Gesù ai discepoli

Podcast 2-6 – 29 settembre 2024 – XXVI Domenica del Tempo Ordinario: La tentazione di monopolizzare Dio

O Dio, tu non privasti mai il tuo popolo della voce dei profeti; effondi il tuo Spirito sul nuovo Israele, perché ogni uomo sia ricco del tuo dono, e a tutti i popoli della terra siano annunziate le meraviglie del tuo amore.

Lo Spirito di Dio spira dove e come vuole. Dio può suscitare figli di Abramo anche dalle pietre. La sua voce può servirsi, per farsi sentire, anche degli strumenti più impensati. Ma già nell’Antico Testamento emerge l’atteggiamento meschino ed invidioso di chi vorrebbe monopolizzare addirittura Dio e piegarlo al proprio volere. E cerca, per questo, di manipolare chi era, pro tempore, il vero mediatore tra Dio ed il suo popolo. È questo il senso teologico della Prima Lettura tratta dal Libro dei Numeri [Num 11,25-29 – Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo!]: Dio è essenzialmente libero nel concedere i suoi doni. Egli agisce al di fuori degli schemi mentali usuali e delle strutture consacrate, concedendo la «profezia» anche a chi è fuori della tenda.

Questo è anche l’atteggiamento di Gesù nel Vangelo odierno [Mc 9,38-43.45.47-48 – Chi non è contro di noi è per noi. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala]. Egli invita al rispetto e alla fiduciosa attesa, e invita a scorgere in coloro «che non sono dei nostri», non un potenziale nemico o un concorrente, ma una sintonia interiore che può avere lo sbocco positivo di un «compagno di fede». Il brano è la continuazione di quello di domenica scorsa. Siamo ancora “in casa” (Mc 9,33), la casa di Pietro e di Gesù. Il fatto che questo accada in casa ha una valenza simbolica. Significa che Gesù si sta rivolgendo in particolare alla comunità Cristiana, dando ai suoi delle normative di vita.

Dopo la questione di chi fosse il più grande e la catechesi di Gesù sulla piccolezza, viene a galla un altro fatto, sollevato dall’apostolo Giovanni: “Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demoni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva”. Gli “esorcisti”, per dare forza al loro esorcismo, solevano invocare nomi di angeli e di personaggi che si supponeva avessero un potere di guarigione. I Dodici erano gelosi che altri al di fuori del gruppo si servissero del nome del loro Maestro. La risposta di Gesù è perentoria: “Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi”. Susseguono tre detti di Gesù incastonati qui, apparentemente non connessi tra di loro. In realtà ogni sentenza è collegata alla precedente tramite una parola o un argomento. Da quanto dice l’apostolo Giovanni, sembra che i Dodici volessero “impadronirsi” del nome di Gesù. Solo loro potevano scacciare i demoni nel suo nome. Pretendevano averne l’esclusiva. Quell’altro lo faceva abusivamente perché non era “uno di loro”.

La tentazione di monopolizzare il nome di Cristo, di incapsularlo nella nostra chiesa, nel nostro gruppo, associazione o movimento, è sempre attuale. Abbiamo diviso il mondo in due: noi che siamo “dentro” e gli altri che sono “fuori”. Ma chi è veramente “dentro” e chi invece “fuori”? Lo Spirito è libero e non si lascia confinare. Il Regno di Dio non conosce frontiere di pensiero, di credo o di religione. Egli è presente e agisce dovunque, sia nel cuore del credente come dell’agnostico o dell’ateo. Solo Dio è davvero “Cattolico”, cioè universale.

Noi, purtroppo, talvolta siamo come Giovanni: vorremmo accaparrarci lo Spirito e soffriamo di gelosia constatando che tanti sono più bravi, più generosi e solidali di noi, senza fare riferimento al nome di Cristo. Un giorno essi ascolteranno con stupore questa parola di Gesù: “L’avete fatto a me” e “l’avete fatto grazie a me”! Si può agire nel nome di Cristo senza nemmeno saperlo.

Il Cristiano “Cattolico” è colui che è capace di riconoscere il bene dovunque, meravigliarsi e lodare il Signore, santificando il suo Nome. L’espressione “nel mio nome” (in bocca a Gesù) o “nel tuo nome” (in bocca agli apostoli) o nel nome di Gesù/Cristo/Signore appare spesso nel Nuovo Testamento. Il Cristiano è colui che vive nel nome di Gesù: nasce, cresce, opera, prega, annuncia, soffre, è perseguitato, muore… sempre nel Suo Nome. Il Suo Nome diventa progressivamente la nostra identità, fino a poter dire come Paolo: “Non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). Possiamo chiederci, tuttavia, se è questo nome che regola la nostra vita. Perché può capitare che siano altri nomi (dei numerosi idoli) ad essere padroni della nostra vita, dimenticandoci che “in nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati” (Atti 4,12).

Il Vangelo di Marco è una raccolta di informazioni che l’evangelista ha trascritto durante la predicazione di Pietro a Roma. Quindi quello che si presenta al principe degli apostoli è una comunità dove inevitabilmente i contrasti si fanno sentire. Raccontando questo aneddoto di Gesù c’è la preoccupazione del predicatore di evitare le divisioni che sono condotte dalla condizione dell’esclusività. La Carità è la Virtù di coloro che – amati da Dio – offrono con gratitudine e liberalità disdegnando il possesso egoistico.

Giacomo, l’autore dell’epistola della seconda lettura [Giac 5,1-6 – Le vostre ricchezze sono marce], ci invita ad andare al cuore proprio dell’amore nei confronti del prossimo mettendo in guardia da tutto quello che diventa proprio un danno contro i fratelli. Oggi viviamo in un tempo di forte diseguaglianza sociale dove la maggior parte delle risorse del pianeta è utilizzato da una piccola fetta della popolazione mondiale con un aumento esponenziale negli ultimi anni.

Ma cosa dice a noi questa invettiva forte di Giacomo? Qualcuno potrebbe obiettare che non lo riguarda. Tuttavia è bene ricordarsi sempre che siamo nati in terre fortunate, ricche di beni e diritti conquistati, pur con le disfunzioni del capitalismo. Quello che Giacomo vuole offrirci è una risposta sull’atteggiamento con cui relazionarci col sistema socio-economico del nostro periodo storico: la sobrietà. Questa non può essere di facciata, ma si esprime nella ricerca dell’essenziale, nonché di consumi sostenibili e rispettosi, che mettano al centro la persona, le comunità ed il bene comune. Sono sempre più convinto che oggi siamo chiamati ad uno sforzo doppio, evitando in primis di farci risucchiare dal vortice e di trovare canali certamente più silenziosi e di meno facile accesso: declinazione della famosa “porta stretta” di cui ci parla Gesù.

Le istituzioni possono risalire anche alla iniziativa di Dio; ma ciò che importa è l’uso che ne fanno gli uomini. I profeti non cesseranno di ricordarlo: Iahvè è sovranamente libero! Può benissimo fare a meno del Tempio, se in esso non riceve la vera adorazione; il regno davidico può benissimo finire se i re non sono a lui fedeli; Iahvè può, se lo vuole, suscitare la fede al di là delle frontiere di Israele; persino l’alleanza del Sinai non è eterna.

Caratteristico è anche l’atteggiamento di Gesù rispetto alle strutture e alle istituzioni del suo popolo: le assume in tutta libertà, vale a dire, senza mai lasciarsi asservire da esse. Sottolinea la trascendenza di Dio nella sua iniziativa di salvezza: lo Spirito soffia dove vuole e non è legato a nessuna struttura umana. Le istituzioni sono fatte per l’uomo e non l’uomo per le istituzioni.

Dio è libero. La perenne tentazione del credente è quella di sequestrare Dio, di monopolizzarlo per sé, a proprio uso e consumo, di rinchiuderlo nelle proprie certezze teologiche, di esaurirlo nelle proprie istituzioni ecclesiastiche, dimenticando che egli non si lega mai le mani, che la sua azione salvifica non si esaurisce entro i confini visibili della sua Chiesa, e che la sua grazia scorre e arriva fino a noi anche per tanti altri canali che non sono i segni sacramentali tradizionali.

Questa tentazione può diventare più forte nelle istituzioni ecclesiastiche, nelle quali si “cristallizza”, in qualche modo, la libera iniziativa di Dio, nel senso che esse si presentano in termini oggettivi ed individuabili come l’eco fedele dell’ordine che Dio intende promuovere e dei mezzi per giungervi. Tuttavia anche queste istituzioni sono soggette e minacciate da un processo di degradazione che può sfigurarne il volto e la missione.

Lungo tutto il corso della storia della Chiesa sono sorti dei profeti per discernere gli appelli dello Spirito, e ogni volta una fedeltà rinnovata al Vangelo ha ridato alla istituzione il volto della giovinezza. Ultimamente è stato Papa Giovanni XXIII. Ha convocato un Concilio, che ha effettivamente impegnato la Chiesa Cattolica in una lettura rinnovata della volontà di Dio nei “segni dei tempi”.

Spirito o istituzione? Nel dopo-Concilio, così ricco di fermenti e così creativo e inventivo di iniziative e di tentativi nuovi, si è parlato molto di carismi. Se ne parla talvolta in tono polemico, contrapponendoli all’istituzione, per rivendicare una dimensione individuale, originale, che si presume autentica, dell’esperienza religiosa, contro la dimensione tradizionale, codificata, che si presume mortificante lo spirito.

Bisogna guardarsi dagli equivoci e dalle illusioni; saper ascoltare la voce di Dio, e con umiltà accettare gli insegnamenti di chiunque, buono o cattivo, credente o ateo, senza presumere di noi stessi.

È nella comunità che i carismi vengono riconosciuti. È al “pastore” che Dio ha affidato il compito di difendere il gregge contro gli assalti, le insinuazioni e il fascino del male camuffato di bene.

Indice dei Podcast pubblicati [QUI]

Foto di copertina: Gesù invita i discepoli a non ostacolare chi vuole fare del bene. In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demoni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva».

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