Riflessioni sulle letture festive – XXVIII Domenica del Tempo Ordinario: “Basilio, la cura del povero e l’onere della ricchezza”

È stato pubblicato sul canale Speaker dell’Ufficio Stampa della Real Commissione per l’Italia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, a cura del Referente per la Formazione della Delegazione di Roma e Città del Vaticano, il Prof. Enzo Cantarano, Cavaliere di Merito con Placca d'Argento, il podcast con la meditazione per la XXVIII Domenica del Tempo Ordinario, di cui riportiamo di seguito l’audio e il testo. La ricchezza è realtà buona che serve a tutti, non è cattiva. Lo diventa quando l'uomo ne fa il suo dio. La povertà proposta anche al ricco non è il “non avere nulla”, ma il compromettersi con i poveri, specialmente con quelli che mancano della capacità di organizzarsi, di difendersi, di liberarsi. Il denaro è anche il mezzo per fare del bene, con il dare cibo agli affamati, acqua per gli assetati, ospitalità ai forestieri, vestiti ai nudi, assistenza agli ammalati, vicinanza ai carcerati, perché “ogni volta che avete fatto queste cose ad uno solo di questi fratelli più piccoli lo avete fatto a me”.
Copertina

Podcast 2-9 – 13 ottobre 2024 – XXVIII Domenica del Tempo Ordinario: “Ricchezza e povertà nell’Antico e nel Nuovo Testamento. Basilio, la cura del povero e l’onere della ricchezza”

«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3)

Ricchezza e disponibilità

Le concezioni dell’Antico Testamento e quelle del Nuovo sulla ricchezza e la povertà divergono fino a sembrare, in qualche caso, contrastanti ed opposte.

Anche nei testi più recenti, l’Antico Testamento si compiace di vantare la ricchezza dei personaggi della storia di Israele: quella di Giobbe e quella dei re: Davide, Giosafat, Ezechia.

Dio arricchisce coloro che ama: Abramo, Isacco, Giacobbe. La ricchezza è segno della generosità divina, immagine dell’abbondanza messianica. La prosperità materiale è segno della benedizione e accettazione divina.

Però, già nel Libro della Sapienza (Sap 7,7-11), si leggeva: “Pregai e mi fu elargita la prudenza, implorai e venne in me lo spirito di sapienza. La preferii a scettri e a troni, stimai un nulla la ricchezza al suo confronto, non la paragonai neppure a una gemma inestimabile, perché tutto l’oro al suo confronto è come un po’ di sabbia e come fango sarà valutato di fronte a lei l’argento. L’ho amata più della salute e della bellezza, ho preferito avere lei piuttosto che la luce, perché lo splendore che viene da lei non tramonta. Insieme a lei mi sono venuti tutti i beni; nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile”.

Una prospettiva nuova

L’atteggiamento di Gesù e delle prime comunità Cristiane nei confronti della ricchezza, comunque, è diverso, duro, quasi spietato.

Il “guai a voi, o ricchi” ha l’accento di una condanna senza appello. La diversità del giudizio del Vangelo e quello dell’Antico Testamento a riguardo della ricchezza, si coglie in tutta la sua ampiezza, quando si pongono a confronto le Beatitudini del Discorso della montagna di Matteo 5,1-12 e quelle di Matteo 25, 31-46, con le beatitudini e le maledizioni promesse da Deuteronomio 28, a seconda che Israele sarà o no fedele all’alleanza. Qui la distanza fra l’Antico e il Nuovo Testamento è più evidente.

E questo perché il messaggio del Regno annuncia il dono totale di Dio, che richiede la disponibilità e il distacco più completi.

Per acquistare la perla preziosa, il tesoro unico, per seguire Gesù, bisogna vendere tutto. Non si può, infatti, servire a due padroni, e il denaro è un padrone esigente: soffoca nell’avaro la parola del Vangelo, fa dimenticare l’essenziale, la sovranità di Dio, blocca sulla via della perfezione i cuori meglio disposti come quello del “giovane ricco” de Vangelo di oggi (Mc 10,17-30). È una legge che non ammette eccezioni né attenuazioni: “Chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo” (Lc 14,33). Soltanto i poveri sono capaci di accogliere la buona novella (Is  61,1; Lc 4,18) e proprio facendosi povero per noi, il Signore ha potuto arricchirci (2 Cor 8,9) con le sue “imperscrutabili ricchezze” (Ef 3,8).

Disponibilità e distacco

L’Orazione Colletta recita: “O Dio, nostro Padre, che scruti i sentimenti e i pensieri dell’uomo, non c’è creatura che possa nascondersi davanti a te; penetra nei nostri cuori con la spada della tua parola, perché alla luce della tua sapienza possiamo valutare le cose terrene ed eterne, e diventare liberi e poveri per il tuo regno”.

Il denaro, la ricchezza, in sé sono realtà buone che servono a tutti, non sono cattivi: lo divengono quando l’uomo fonda in esse la sua ricchezza ultima e ne fa il suo dio, pronunciando a suo riguardo l’”amen”, che è dovuto solo al vero Dio.

Certo possono essere simboli di molte “iniquità” e ricordare le terribili ingiustizie, a prezzo delle quali possono essere state acquistate; ma sono soprattutto simbolo del lavoro umano che viene da essi retribuito e delle speranze umane che possono realizzare. Legati al progresso personale e collettivo dell’uomo, sono da un certo punto di vista, i simboli attuali ed efficaci degli sforzi passati e delle speranze future. Sono l’”avere”, acquistato per poter “essere”. A questo titolo, partecipano veramente al divenire della libertà umana.

Ed il Vangelo di Marco (Mc 10,17-30) ribadisce: “Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio”.

Del resto, il denaro è anche il mezzo per fare del bene. In esso c’è il cibo che bisogna dare agli affamati, l’acqua da dare agli assetati, l’ospitalità da offrire ai forestieri, il vestito da dare ai nudi, l’assistenza da dare agli ammalati, la vicinanza da dimostrare i carcerati, per essere chiamati benedetti ed “eredi del regno preparato fin dalla fondazione del mondo”, dal momento che “ogni volta che avete fatto queste cose ad uno solo di questi fratelli più piccoli lo avete fatto a me” e (cfr. Mt 25,35-46). Il denaro può essere il simbolo della carità, quando questa “scende dalle nuvole” per esercitarsi concretamente in favore degli uomini e mostrare, con le opere la fede, che, senza le opere, “è come un corpo senza l’anima” (Gc 2,14-26).

Compromettersi è condividere

In realtà la povertà proposta anche al ricco non è il “non avere nulla”, ma il compromettersi con i poveri, specialmente con quelli che mancano della capacità di organizzarsi, di difendersi, di liberarsi.

Compromettersi cristianamente è condividere le proprie ricchezze come Francesco d’Assisi, è impegnarsi in una estenuante azione sociale per il miglioramento delle condizioni di lavoro o l’adeguamento del salario, è essere solidali in attività anche rivendicative civili e giuste.

Seguire Cristo significa incontrare i poveri sulla propria strada. L’aver dato da mangiare all’affamato, vestito l’ignudo, visitato il malato o il carcerato, sarà titolo determinante al momento del giudizio definitivo come ci ricorda Matteo 25,46. E quel giudizio finale è già in atto oggi su ogni nostra giornata. Con esempi tratti dal suo ambiente, Gesù ha voluto far capire che solo chi sente la fame, la nudità, la ristrettezza, il bisogno, l’abbandono sofferto dagli altri e fa di tutto perché ne siano liberati, è l’uomo del Regno.

Ma decidersi per i poveri non basta. Gesù chiede di più, e cioè, che ciascuno di noi si faccia volontariamente “povero”. È il programma di vita proposto da lui e che i suoi seguaci dovranno vivere nello spirito delle Beatitudini.

Papa Benedetto XVI, di venerata memoria, ci dà modo di apprezzare, oltre il tempo e lo spazio, l’insegnamento del nostro santo legislatore Basilio il Grande e di seguire il suo immortale insegnamento che spazia in tutti i campi della conoscenza e della prassi cristiana soprattutto sul tema della Misericordia nelle opere di carità.

Il Papa così affermava nell’Udienza del 1° agosto 2007: “Come Vescovo e Pastore della sua vasta Diocesi, Basilio si preoccupò costantemente delle difficili condizioni materiali in cui vivevano i fedeli; denunciò con fermezza i mali; si impegnò a favore dei più poveri ed emarginati; intervenne anche presso i governanti per alleviare le sofferenze della popolazione, soprattutto in momenti di calamità; vigilò per la libertà della Chiesa, contrapponendosi anche ai potenti per difendere il diritto di professare la vera fede (Discorso 43, 48-51)”.

Ancora il Santo Padre ebbe modo di rimarcare che per San Basilio il Grande “le opere di carità sono necessarie per manifestare la propria fede: per mezzo di esse gli uomini servono Dio stesso” (Regole morali 5,2).

A questo proposito, alcuni testi delle omelie basiliane restano anche oggi coraggiosi ed esemplari: “Vendi quello che hai e dallo ai poveri (Mt 19,22)… perché, anche se non hai ucciso o commesso adulterio o rubato o detto falsa testimonianza, non ti serve a nulla se non fai anche il resto: solo in tale modo potrai entrare nel regno di Dio” (Basilio, Omelia: La cura del povero e l’onere della ricchezza, 1). Chi infatti, secondo il comandamento di Dio, vuole amare il prossimo come se stesso, “non deve possedere niente di più di quello che possiede il suo prossimo” (Ibidem). “Sei povero?”, domandava, “l’altro è più povero di te. Tu hai il pane per dieci giorni, lui per uno soltanto. Ciò che t’avanza ed abbonda, questo tu – come persona buona e benevola – dividilo equamente col bisognoso. Non dubitare di donare del tuo poco; non anteporre il tuo vantaggio all’emergenza pubblica! Se il tuo cibo è ridotto ad un unico pane e davanti alla porta sosta un mendicante, tira fuori dalla tua dispensa quell’unico pane e, postolo sulle mani e guardando al cielo, di’ con voce lamentosa e amorevole: “Ho solo quest’unico pane che vedi, o Signore, e il pericolo della fame evidentemente incombe. Pongo però davanti a me il tuo comandamento e del mio poco offro una parte al fratello affamato. Ora tu stesso vieni in aiuto del tuo servo esposto al rischio. Conosco la tua bontà, confido nella tua potenza” (Basilio, Omelia in tempo di fame e di siccità, 6).

Ben meritato è dunque l’elogio fatto da Gregorio di Nazianzo: “Basilio ci persuase che noi, essendo uomini, non dobbiamo disprezzare gli uomini, né oltraggiare Cristo, capo comune di tutti, con la nostra disumanità verso gli uomini; piuttosto, nelle disgrazie degli altri, dobbiamo beneficare noi stessi, e fare prestito a Dio della nostra misericordia, perché abbiamo bisogno di misericordia” (Gregorio di Nazianzo, Discorso 43,63).

Ancora Papa Benedetto XVI diceva: “Parole, queste, ancora molto attuali.  Vediamo come San Basilio è realmente uno dei Padri della Dottrina Sociale della Chiesa… Cari fratelli e sorelle, mi sembra si possa dire che questo Padre di un tempo lontano parla anche a noi e ci dice delle cose importanti. Anzitutto, questa partecipazione attenta, critica e creativa alla cultura contemporanea. Poi, la responsabilità sociale: questo è un tempo nel quale, in un mondo globalizzato, anche i popoli geograficamente distanti sono realmente il nostro prossimo. Quindi, l’amicizia con Cristo, il Dio dal volto umano. E, infine, la conoscenza e la riconoscenza verso il Dio Creatore, Padre di noi tutti: solo aperti a questo Dio, Padre comune, possiamo costruire un mondo giusto e fraterno”.

Indice dei Podcast pubblicati [QUI]

Avanzamento lettura