Podcast 2-20 – 10 novembre 2024 – XXXII Domenica del Tempo Ordinario: Offrire a Dio ed al prossimo tutto quello che si è
«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3)
L’Orazione Colletta, programmatica delle letture di oggi, ci dice: “O Dio, Padre degli orfani e delle vedove, rifugio agli stranieri, giustizia agli oppressi, sostieni la speranza del povero che confida nel tuo amore, perché mai venga a mancare la libertà e il pane che tu provvedi, e tutti impariamo a donare sull’esempio di colui che ha donato se stesso, Gesù Cristo nostro Signore”.
A giudicare da queste parole, la Liturgia di oggi vuole celebrare, ancora una volta, la generosità di Dio verso le sue creature, in particolare i figli da lui prediletti, i discriminati e i rifiutati nel mondo. Ma già nel Salmo e poi nel Vangelo emerge una sorta di contrappunto: quello tra la risposta generosa dei “poveri” ai doni di Dio e la grettezza, egoismo, meschinità di uomini non in sintonia con la totale oblatività dell’amore del Padre espressa nel Figlio per mezzo dello Spirito.
Tra i destinatari privilegiati dell’amore divino, la liturgia di oggi ha scelto come “testimonial” due povere vedove.
L’ospitalità, in tempo di carestia e di assoluta povertà, della prima, viene compensata dal miracolo di Elia che troviamo nella Prima Lettura dal Primo libro dei Re (17,10-16): “Quella andò e fece come aveva detto Elia; poi mangiarono, lei, lui e la casa di lei per diversi giorni. La farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunciato per mezzo di Elia”.
L’umile generosità della seconda vedova, di cui ci parla il Vangelo di oggi (Mc 12,38-44), riscuote da Gesù un elogio entusiasta: “In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”.
La generosità di queste povere vedove è ancora più notevole se la si confronta con l’atteggiamento dei ricchi che, quasi a contrasto, il racconto contrappone ad esse: da una parte l’empia regina Gezabele che vive nel lusso e nella ricchezza, opprimendo i poveri, che troviamo nello stesso Libro da cui è tratta la Prima Lettura (1 Re 21), dall’altra i ricchi scribi contro i quali Gesù mette in guardia perché: “Amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere”.
Dovremmo sempre tenere presente, soprattutto noi, Cavalieri, Dame e Cappellani di un Ordine cavalleresco Cristiano, questa dura considerazione del Signore sugli ipocriti, amanti dell’apparenza senza sostanza, di liturgie sfarzose, piene di ori e pesanti ricami, a compensare l’insita povertà di sacro o che si affannano spudoratamente per conquistare i primi posti.
La contrapposizione evangelica tra ricchi e poveri, oggi incarnata in quella tra gli scribi e la vedova, è un procedimento frequente nei discorsi escatologici di Gesù: è usato nelle Beatitudini, in cui l’opposizione ricchi-poveri di Luca 6,20-24 serve prima di tutto ad annunciare l’arrivo del Regno e il capovolgimento delle situazioni fondate sull’abuso e sul disprezzo della dignità della creatura umana. Più che fare l’apologia o la critica di questo o di quell’altro stato sociale, sottolinea il capovolgimento che l’arrivo degli ultimi tempi porterà nelle strutture mondane.
La vedova ha dato del suo necessario, in contrapposizione ai ricchi, che danno qualcosa del loro potere e dei loro privilegi con ostentata e pomposa ricerca della propria gloria. Il gesto furtivo con cui la vedova dona in silenzio, quasi di nascosto, forse anche per la vergogna della sua minima offerta, due spiccioli, è un gesto prima di tutto di fede, poi di amore e, infine, di preghiera.
L’obolo è insignificante, ma il dono è totale; tanto più grande quanto meno si ostenta, e anzi cerca di nascondersi. Gesù, che ha ammirato il gesto e l’ha lodato, non misura gli atti umani col nostro metro che si ferma alle apparenze. Egli non misura in cifre quello che doniamo, lo misura in amore, lo valuta secondo il metro dei valori interiori della persona, egli arriva al cuore.
Donare così, come la vedova, è donare come fa Dio. Sembra un controsenso, in realtà, perché chi è più ricco di lui? Verrebbe spontaneo associare le infinite possibilità insite nelle ricchezze del Creatore con quelle accessibili ai ricchi piuttosto che alla miseria delle due vedove citate nelle scritture di oggi. Se lo facessimo significherebbe che avremmo sbagliato il senso del valore del dono scambiando, come spesso facciamo, la quantità con la qualità soggettiva.
Dio non ci dona di quello che ha, ma di quello che è: la sua stessa vita divina. E lo fa mediante suo Figlio, Gesù, che, ricco della sua divinità, si fa povero e servitore degli uomini non come una parentesi nella sua vita terrena, ma come manifestazione del suo modo di essere Dio-con-noi. Egli non è un Signore possente che si è degnato di visitare una umanità sottosviluppata, lui non solo si è fatto “Figlio dell’Uomo” e nostro fratello, ma ha voluto rinunciare a tutto quello che aveva per poter offrire tutto quello che era e che è. Come uomo non si è fatto solo servo, mantenendo, cioè, il possesso di sé, ma, rinunciando anche a questo ultimo potere, schiavo di tutti (cfr. Fil 2,6-8) per arricchire della sua ricchezza la nostra povertà.
La parola del Signore e il comportamento della vedova portano facilmente la nostra considerazione sul senso della ricchezza e della povertà, non solo nella vita del singolo Cristiano, ma anche nella vita delle nostre comunità.
Come leggiamo nel Decreto sull’apostolato dei laici Apostolica actuositatem del 1988: “La santa Chiesa, come fin dalle sue prime origini, unendo insieme l’”agape” con la Cena eucaristica si manifestava tutta unita nel vincolo della carità attorno a Cristo, così, in ogni tempo, si riconosce da questo contrassegno della carità, e, mentre gode delle iniziative altrui, rivendica le opere di carità come suo dovere e diritto inalienabile. Perciò la misericordia verso i poveri e gli infermi e le cosiddette opere caritative e di mutuo aiuto, destinate ad alleviare ogni umano bisogno, sono tenute dalla Chiesa in particolare onore”.
La fondamentale importanza, anche sul piano teologico oltre che ecclesiale, della stretta connessione tra dono, offerta, e salvezza, redenzione, la mette in evidenza la Seconda Lettura (Eb 9,24-28) che porta sul piano della economia trinitaria l’offerta del Figlio in risposta obbediente a quella del Padre e per opera dello Spirito Santo.
Cristo, divino sacerdote dell’umanità, è entrato nel cielo stesso, per comparire al cospetto di Dio in nostro favore. Una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio, il dono totale di se stesso… E dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza.
In un’Omelia di un autore del II secolo possiamo leggere:
«Fratelli, ravviviamo la nostra fede in Gesù Cristo, vero Dio, giudice dei vivi e dei morti, e rendiamoci consapevoli dell’estrema importanza della nostra salvezza. Se noi svalutiamo queste grandi realtà facciamo male e scandalizziamo quelli che ci sentono e mostriamo di non conoscere la nostra vocazione né chi ci abbia chiamati né per qual fine lo abbia fatto e neppure quante sofferenze Gesù Cristo abbia sostenuto per noi.
E quale contraccambio potremo noi dargli o quale frutto degno di quello che egli stesso diede a noi? E di quanti benefici non gli siamo noi debitori? Egli ci ha donato l’esistenza, ci ha chiamati figli proprio come un padre, ci ha salvati mentre andavamo in rovina. Quale lode dunque, quale contraccambio potremo dargli per ricompensarlo di quanto abbiamo ricevuto? Noi eravamo fuorviati di mente, adoravamo pietre e legno, oro, argento e rame lavorato dall’uomo. Tutta la nostra vita non era che morte! Ma mentre eravamo avvolti dalle tenebre, pur conservando in pieno il senso della vista, abbiamo riacquistato l’uso degli occhi, deponendo, per sua grazia, quel fitto velo che li ricopriva.
In realtà, scorgendo in noi non altro che errori e rovine e l’assenza di qualunque speranza di salvezza, se non di quella che veniva da lui, ebbe pietà di noi e, nella sua grande misericordia, ci donò la salvezza.
Ci chiamò all’esistenza mentre non esistevamo, e volle che dal nulla cominciassimo ad essere. Esulta, o sterile, tu che non hai partorito; prorompi in grida di giubilo, tu che non partorisci, perché più numerosi sono i figli dell’abbandonata dei figli di quella che ha marito (cfr. Is 54,1).
Dicendo: Esulta, o sterile, tu che non hai partorito, sottolinea la gioia della Chiesa che prima era priva di figli e poi ha dato noi alla luce.
Con le parole: Prorompi in grida di giubilo…, esorta noi ad elevare a Dio, sempre festosamente, le voci della nostra preghiera.
Con l’espressione: Perché più numerosi sono i figli dell’abbandonata dei figli di quella che ha marito, vuol dire che il nostro popolo sembrava abbandonato e privo di Dio e che ora, però, mediante la fede, siamo divenuti più numerosi di coloro che erano guardati come adoratori di Dio.
Un altro passo della Scrittura dice: “Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori” (Mt 9,13). Dice così per farci capire che vuol salvare quelli che vanno in rovina. Importante e difficile è sostenere non ciò che sta bene in piedi, ma ciò che minaccia di cadere.
Così anche Cristo volle salvare ciò che stava per cadere e salvò molti, quando venne a chiamare noi che già stavamo per perderci».
Sta a noi, qui ed ora, anche al di là delle apparenze, sapendo discernere la sostanza, comprendere la vera natura dei doni, dei “talenti” (cfr. Mt 25,14-30), che abbiamo ricevuto e che continuamente riceviamo dalla divina provvidenza come ineffabile proseguimento del dono supremo della creazione e di quello non meno sublime della salvezza che ci sono stati dati una volta per tutte. E comprendere che questi sono epifenomeni del vero, immenso, indicibile dono che è l’amore stesso di Dio Creatore. E che questo amore sostanzia ontologicamente Dio stesso che “è amore” (1 Gv 4,7-16), lo Spirito Santo. Questo è il dono per eccellenza, invisibile se non per i suoi effetti di grazia santificante che ci è stato donato dal Padre a lui esplicitamente richiesto dal Figlio.
Indipendentemente dal poco o molto che si ha da donare, che per Dio ha un valore assolutamente relativo, siamo chiamati a far rendere al cento per cento i “talenti” affidatici sull’esempio ineguagliabile di Gesù, offrendo a Dio ed al prossimo tutto quello che si è.
Indice dei podcast trasmessi [QUI]
Oggi la Chiesa celebra la 74ª Giornata Nazionale del Ringraziamento [QUI] che quest’anno ha per tema: “La speranza per il domani: verso un’agricoltura più sostenibile”. Le celebrazioni si svolgono ad Assisi, nella terra di San Francesco, autore circa 800 anni fa del celebre Cantico delle creature.
«Tale ricorrenza ci sollecita a riconoscere il creato e le sue ricchezze come dono di Dio all’uomo, creato a sua immagine; da qui il canto: “Lodato sii, o mio Signore”. È doveroso essere riconoscenti al Signore per i frutti della terra e del lavoro dell’uomo; da qui il dovere del rispetto dell’ambiente naturale, risorsa preziosa affidata alla responsabilità dell’uomo. Da qui la necessità di educare al consumo più saggio e responsabile, promuovere la responsabilità personale in ordine alla dimensione sociale dell’uomo, fondata sull’accoglienza, la solidarietà, la condivisione, perché a nessuno manchi il lavoro, il pane, l’acqua e tutte le altre risorse primarie, veri beni universali offerti da Dio all’uomo per il bene i tutti. Grazie, Dio grande e misericordioso» (Don Pietro Pisciotta).
Comunicazione di servizio
Fra qualche settimana inizieremo a riportare le riflessioni sulle letture domenicali di Don Pietro Pisciotta, 86 anni, sacerdote di Campobello di Mazara. Dirige l’Archivio Storico Diocesano di Mazara del Vallo, uno dei più importanti archivi storici ecclesiastici della Sicilia. Risalente al XV secolo, l’archivio conserva documenti riguardanti il territorio dell’intera Sicilia Occidentale poiché la Diocesi, istituita dal Conte Ruggero, si estendeva sino al 1844 a tutta la provincia di Trapani e a buona parte della provincia di Palermo.
Uno studioso, professore di filosofia, teologo, autore di studi e libri di notevole spessore culturale, ma soprattutto sacerdote e uomo speciale. Sa parlare ai giovani e attraverso la sua pagina Facebook ogni venerdì racconta la Parola di Dio, commentando passi del Vangelo. Un sacerdote dal carattere aperto, spiritoso, amorevole, cordiale e gentile con tutti, dotato di una buona dose di humour, impeccabile nel suo ministero sacerdotale, che ama parlare con la sua gente a 360 gradi. Stimolatore di ottimi argomenti, fautore di atmosfere allegre e aggregati, dopo quasi 60 anni di sacerdozio continua ad essere un punto di riferimento non soltanto per i fedeli ma per l’intera collettività, visto che è anche uno scrittore e autore di molti testi sulla storia del territorio. Il telefonino sempre dietro, i messaggi che continua a leggere e a inviare, poi prende la sua utilitaria e va a trovare chi lo chiama per un aiuto perché sa dire di no solo raramente.
Da più di 40 anni svolge il suo sacerdozio presso la chiesetta di Tre Fontane, mentre in una struttura familiare di assistenza vi si reca giornalmente per celebrare la Messa agli anziani. È stato per tanti anni docente di religione al Liceo classico di Mazara all’Istituto Commerciale di Castelvetrano al Liceo Classico anche di Castelvetrano e sa come parlare ai giovani. Come insegnante di religione ai ragazzini poneva delle domande esistenziali, assai semplici, vista la loro età, che finivano a livello concettuale logico ad dimostrare non solo l’esistenza di Dio, ma anche la sua immanenza nella vita di ogni giorno.
Per Don Pisciotta Facebook hanno i suoi lati positivi, soprattutto quando arrivano i commenti alla pagina del Vangelo che scrive e la condivisione finisce per aumentare il suo messaggio. L’aspetto negativo è legato al suo uso distorto che se ne fa. È un sacerdote popolare di grande cultura, che continua a predicare il verbo anche della buona lettura. Nel suo libro Campobello di Mazara. Storia, religione e folklore afferma: ”La cultura è la migliore e più grande premessa di un sereno avvenire di giustizia, di libertà e di pace”. Nei piccoli centri c’ è ancora chi è capace di leggere e meditare. Nella città che abbrutisce, non si hanno ormai, se non i bleu-jeans della cultura, come scriveva Virgilio Titone nel settembre del 1963, illustre storico e docente dell’Università di Palermo ad alcuni giovani di Campobello, come cita Don Pisciotta.
Immagine di copertina: illustrazione dal Libro 6 del “Standard Bible Story Readers” di Lillie Anne Faris, illustrato da O.A. Stemler e Bess Bruce Cleaveland, pubblicato da The Standard Publishing Company, 1925.