Podcast 2-4 – 26 settembre 2024 – Santi, non mondani. Papa Francesco sulla corruzione interiore
Giusto un anno fa, il 30 settembre 2023, il Santo Padre Francesco ci faceva dono di un suo documento dal titolo assai significativo: Santi, non mondani. La Grazia di Dio ci salva dalla corruzione interiore.
Ho voluto operare, per i Confratelli e le Consorelle dell’Ordine Costantiniano, una sintesi ragionata ed applicata proprio a loro. Come potranno leggere o ascoltare, il Pontefice, che Dio ce lo conservi, scrive, a più riprese, che la nostra fede è una lotta. Ecco, dunque, che il testo, con queste premesse, mi sembra tagliarsi perfettamente ai Membri di un Ordine che si definisce, oltre che sacro, militare.
Il Santo Padre riecheggia le parole di Paolo, là dove il battagliero Apostolo delle genti afferma di avere combattuto “la buona battaglia” (2Tm 4,7), una “battaglia non contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra” (Ef 6,12). E, dunque, l’invito del Papa è a proseguire, forti della nostra Fede, “pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” con “dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché nel momento stesso in cui si parla male di voi rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo” (1Pt 3,15-16) e capaci, con le opere di mostrare al mondo il nostro essere veri Christifideles (Gc 2,14-26). Ma leggiamo lo scritto del Pontefice:
“La fede cristiana è una lotta, una battaglia interiore per vincere le tentazioni della chiusura nel nostro io e per lasciarci abitare dall’amore di un Padre che desidera la nostra felicità. È una lotta bella perché, quando lasciamo vincere il Signore, il nostro cuore esulta di pienezza e la nostra esistenza viene illuminata da un raggio di infinito. La lotta per cui combattiamo come seguaci di Gesù è anzitutto contro la mondanità spirituale, che è un paganesimo travestito con vesti ecclesiastiche. Per quanto camuffato da una parvenza di sacro, è un atteggiamento che finisce con l’essere idolatrico, perché non riconosce la presenza di Dio come Signore e liberatore della nostra vita e della storia del mondo, ma ci lascia in balia del nostro capriccio e delle nostre voglie. Dunque dobbiamo combattere. Ma la nostra non è una lotta vana e senza speranza, poiché tale combattimento ha già un vincitore: Gesù, colui che ha sconfitto nella sua morte la forza del peccato. E con la sua resurrezione ci ha dato la possibilità di diventare persone nuove. Certo la vittoria di Gesù ha un nome, la croce, che di primo acchito ci crea ripulsa e ci allontana. Ma essa è il segno di un amore sconfinato, umile e tenace. Gesù ci ha amato fino ad una morte così ignominiosa come quella della croce perché non potessimo più dubitare che le sue braccia restino aperte anche per l’ultimo dei peccatori… La croce di Gesù diventa il criterio di ogni scelta di fede. Per quanto possa sembrare paradossale, la forza, la vitalità, la speranza, la fecondità della Chiesa vengono da li. Non da altrove. Tutto il resto non è che fumo negli occhi, illusione mondana. La chiesa si inganna ed inganna il mondo, quando si pone come potenza tra le potenze o come un’organizzazione, fors’anche umanitaria, o come un movimento evangelico capace di dare spettacolo. Può anche brillare, ma non può bruciare del fuoco dell’amore di Dio, “forte come la morte” – dice il Cantico dei Cantici… La preoccupazione, che sento come una chiamata forte di Dio a tutta la Chiesa, è di restare vigilanti e lottare, con la forza della preghiera, contro ogni cedimento alla mondanità spirituale. Questa lotta ha un nome: si chiama santità. La santità non è uno stato di beatitudine raggiunto una volta per sempre, è invece l’incessante, instancabile, desiderio di restare attaccati alla croce di Gesù, lasciandoci plasmare dalla logica che viene dal dono di sé e dal resistere a chi, il nemico, ci lusinga instillandoci la convinzione della nostra autosufficienza. Ci farà bene, invece, ricordare ciò che ha detto Gesù: “Senza di me non potete far nulla” (Gv 15, 5). Santità è dunque il restare aperti al “di più” che Dio ci chiede e che si manifesta nell’adesione alla nostra vita quotidiana. Ecco, è il nostro quotidiano il luogo in cui lasciar spazio al Signore che ci salva dalla nostra autosufficienza e che ci chiede quel magis di cui parla sant’ Ignazio da Loyola: quel “di più” che ci spinge verso una felicità non effimera, ma piena e serena. Offro al lettore questi testi… come occasione di riflessione sulla propria vita e su quella della Chiesa nella convinzione che Dio ci chiede di essere aperti alle sue novità, ci chiede di essere inquieti e mai appagati, in ricerca e mai installati in accomodanti opacità, non arroccati in false sicurezze, bensì in cammino sulla via della santità”.
A questo punto il Pontefice analizza più specificamente il tema della corruzione e del peccato, che noi, Cavalieri e Dame Cristiani leggiamo sempre nell’ottica del combattimento contro queste mortali forme di perversione della immagine e somiglianza di Dio che è l’Uomo vivente e che dovrebbe, invece, rappresentare la gloria del Creatore secondo una notissima espressione di sant’Ireneo di Lione (II secolo) in Adversus haereses, IV, 20,7: “Gloria Dei vivens homo”. “Nelle nostre società e nei media il tema della corruzione appare spessissimo, quasi costantemente, come una delle realtà abituali della vita”.
Ciò non rappresenta una novità: la corruzione è presente fin dai primordio dell’umanità ed è chiaramente un processo di morte. Spesso la corruzione viene identificata col peccato. In realtà non è proprio così. Sono due realtà diverse, sebbene strettamente intrecciate. Anche su questa identificazione sarà bene riflettere insieme in modo che alla luce della Parola di Dio impariamo a discernere i vari stati di corruzione che ci circondano e minacciano di sedurci. Il peccato, purtroppo, è entrato nel tempo e nella nostra natura e siamo tutti peccatori, ma “corrotti no!”, afferma con forza Francesco.
Occorre tenere ben presente la differenza tra un termine e l’altro “affinché non accettiamo lo stato di corruzione come un qualsiasi peccato.” Ma proprio la pervasività e la perversione della corruzione porta il cuore corrotto ad arroccarsi “nella soddisfazione della propria autosufficienza da non permettere nessuna messa in discussione”, da non permettergli, alla fine, di riconoscere il suo esiziale errore di valutazione di sé e del Mondo. La sua coscienza autoreferente ed invincibilmente erronea, a poco a poco, si atrofizza e muore. “La Persona corrotta… procede nella vita scegliendo scorciatoie che sacrificano la dignità degli altri in nome del suo vantaggio personale… Ma il peggio è che arriva a credere alla propria finzione… Reagisce male davanti a qualsiasi critica, screditando la persona o l’istituzione che la pone, cercando di squalificare qualsiasi autorità morale che possa metterlo in discussione, ricorrendo a sofismi ed equilibrismi nominalistici e ideologici per giustificarsi, sminuendo gli altri e scagliandosi contro chiunque la pensi diversamente (Gv 9,34)”. Anche nel Vangelo “i corrotti appaiono come manipolatori della verità, tendono trappole a Gesù (Gv 8,1-11; Mt 22,15-22; Lc 20,1-8), tramando per eliminarlo (Gv 11,45-57; Mt 12,14), corrompendo chi può tradirlo (Mt 26,14-16) o i funzionari di turno (Mt 28,11-15)”.
Come Cavalieri e Dame Cristiani occorre stare sempre allerta per “comprendere il pericolo di disgregazione personale e sociale causato dalla corruzione… poiché uno stato quotidiano di complicità con il peccato può portare alla corruzione”.
Il Pontefice, poi, richiama la nostra attenzione proprio sulla relazione strettissima tra la corruzione personale e quella sociale. Quest’ultima “non è che la conseguenza di cuori corrotti. Senza cuori corrotti non ci sarebbe corruzione sociale… Perché un cuore si corrompe?” Dipende dal tipo di “tesoro” custodito nel cuore. “Ecco perché Gesù quando ci invita a riconoscere il cuore come fonte delle azioni, richiama l’attenzione sull’impronta finalistica del nostro cuore inquieto: “Dov’è il tuo tesoro, la sarà anche il tuo cuore” (Mt 6,21). Conoscere il cuore dell’uomo, il suo stato, comporta necessariamente la conoscenza del tesoro a cui quel cuore è legato… È in questo tesoro, personale e sociale, che il cuore diventa autore e custode della corruzione ed è dal cuore che si passa al tesoro a cui esso è legato”.
Per evitare che la corruzione diventi un luogo comune o una parola usuale ed abusata è “utile addentrarsi nella struttura interna dello stato di corruzione… riconoscendo che, sebbene esso sia intrinsecamente legato al peccato, in alcuni aspetti si distingue da esso… Non bisogna confondere peccato e corruzione. Il peccato, soprattutto se ripetuto, conduce alla corruzione, non quantitativamente, bensì qualitativamente, creando abitudini che deteriorano e limitano la capacità di amare, facendo ripiegare il cuore verso l’egoismo… Alla base di ogni atteggiamento corrotto c’è una mancanza di trascendenza: di fronte a Dio che non si stanca i perdonare, il corrotto si erge come autosufficiente nell’ambito della sua salvezza… Il corrotto non percepisce la sua corruzione e difficilmente può uscire dal suo stato per rimorso interiore… Quindi la corruzione, più che essere perdonata, deve essere risanata” anche perché “i corrotti cercano sempre di salvare le apparenze… e coltivano le loro buone maniere per nascondere le loro cattive abitudini… nella convinzione, sempre più certa, di essere migliori degli altri… con cui hanno sempre bisogno di paragonarsi per mascherare la propria incoerenza e giustificare il proprio atteggiamento… Nel paragonarsi, il corrotto si erge a giudice: egli si fa misura del comportamento morale e… proietta sugli altri la propria malvagità… [proponendosi come “benpensante”]. La corruzione porta alla perdita della pudicizia, che custodisce la verità, ed accompagna in un cammino che porta all’impudenza pubblica… Tali atteggiamenti [sembrano] funzionare e quindi, i corrotti si sentono vincitori, trionfano… ed alimentano un senso ottimistico dell’esistenza, al punto di auto-inebriarsi in una sorta di anticipazione escatologica che corrisponde al trionfalismo… Il peccatore può sperare e nel perdono e domandarlo, il corrotto no, perché non si sente in peccato dal momento che ha trionfato!… La persona corrotta non conosce la fraternità o l’amicizia, ma la complicità… e renderà gli altri complici della sua scelta di stile… Il peccato e la tentazione sono contagiosi, la corruzione è “proselitista”… ha capacità di convocazione e “fa dottrina”… Riassumendo, la corruzione non è un atto, ma uno stato personale e sociale in cui ci si abitua a vivere in una vera e propria cultura che il corrotto cerca di imporre ai suoi proseliti come accettazione sociale, oscurando la realtà a vantaggio dell’apparenza, in una sorta di sfacciataggine pudica, con severe norme di stampo “vittoriano”.
È il culto delle buone maniere che nascondono le cattive abitudini [vizi privati e pubbliche virtù del noto proverbio]. E noi, Cavalieri e Dame di un antico Ordine Cristiano siamo chiamati, oggi come ieri, a formarci permanentemente e ad esercitarci “nell’adesione al Signore” cercando “stati d’animo aperti alla trascendenza, senza riservare per sé alcuna area immanente” che apre la via, opaca ed autoreferente, della corruzione e della mondanità spirituale.
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Papa Francesco ha offerto nel pomeriggio dell’6 ottobre 2023 ai partecipanti all’Assemblea sinodale il libro Santi, non mondani. La grazia di Dio ci salva dalla corruzione interiore (Libreria Editrice Vaticana 2023, 80 pagine [QUI]) che raccoglie due interventi di Jorge Mario Bergoglio pubblicati in momenti e occasioni diverse: un articolo scritto nel 1991, dal titolo originario Corrupción y pecado (Corruzione e peccato), poi ripubblicato nel 2005 quando era Arcivescovo metropolita di Buenos Aires; e la Lettera ai sacerdoti della Diocesi di Roma, diffusa il 5 agosto 2023. Il volume si apre con il testo introduttivo inedito dello stesso Papa Francesco che riportiamo di seguito:
La fede cristiana è una lotta, una battaglia interiore per vincere la tentazione della chiusura nel nostro io e lasciarci abitare dall’amore di un Padre che desidera la nostra felicità. È una lotta bella perché, quando lasciamo vincere il Signore, il nostro cuore esulta di pienezza e la nostra esistenza viene illuminata da un raggio di infinito.
La lotta per cui combattiamo come seguaci di Gesù è anzitutto contro la mondanità spirituale, che è un paganesimo travestito con vesti ecclesiastiche. Per quanto camuffato da una parvenza di sacro, è un atteggiamento che finisce con l’essere idolatrico, perché non riconosce la presenza di Dio come Signore e liberatore della nostra vita e della storia del mondo. Mentre ci lascia in balia del nostro capriccio e delle nostre voglie.
Dunque, dobbiamo combattere. Ma la nostra non è una lotta vana né senza speranza, perché tale combattimento ha già un vincitore: Gesù, colui che ha sconfitto nella sua morte la forza del peccato. E con la sua resurrezione ci ha dato la possibilità di diventare persone nuove.
Certo, la vittoria di Gesù ha un nome, la croce, che di primo acchito ci crea ripulsa e ci allontana. Ma essa è il segno di un amore sconfinato, umile e tenace. Gesù ci ha amato fino ad una morte così ignominiosa come quella della croce perché non potessimo più dubitare che le sue braccia restino aperte anche per l’ultimo dei peccatori. E questo amore eterno interpella e orienta le vie del cristiano e della Chiesa stessa. La croce di Gesù diventa il criterio di ogni scelta di fede.
Il beato Pierre Claverie, vescovo di Orano, in una sua omelia affermava questo con parole molto belle, che voglio qui riportare: «Io credo che la Chiesa muore se non sta sufficientemente vicina alla croce del suo Signore. Per quanto possa sembrare paradossale, la forza, la vitalità, la speranza, la fecondità cristiana, la fecondità della Chiesa vengono da lì. Non da altrove. Tutto il resto non è che fumo negli occhi, illusione mondana. La Chiesa si inganna e inganna il mondo, quando si pone come una potenza fra le potenze, o come un’organizzazione, foss’anche umanitaria, o come un movimento evangelico capace di dare spettacolo. Può anche brillare, ma non può bruciare del fuoco dell’amore di Dio, “forte come la morte” – dice il Cantico dei Cantici».
Proprio per questo motivo ho voluto raccogliere in questo volumetto due testi pubblicati in tempi diversi: uno, scritto nel 1991, poi ripubblicato nel 2005 quando ero arcivescovo di Buenos Aires, dedicato alla corruzione e al peccato; l’altro, una Lettera ai sacerdoti di Roma. Cosa li unisce? La preoccupazione, che sento come una chiamata forte di Dio a tutta la Chiesa, a restare vigilanti e lottare, con la forza della preghiera, contro ogni cedimento alla mondanità spirituale.
Questa lotta ha un nome: si chiama santità. La santità non è uno stato di beatitudine raggiunto una volta per sempre, è invece l’incessante, instancabile desiderio di restare attaccati alla croce di Gesù, lasciandoci plasmare dalla logica che viene dal dono di sé e dal resistere a chi, il nemico, ci lusinga instillandoci la convinzione della nostra autosufficienza. Ci farà bene invece ricordare ciò che ci ha detto Gesù: «Senza di me non potete far nulla» (Gv 15, 5). Santità è dunque il restare aperti al “di più” che Dio ci chiede e che si manifesta nell’adesione alla nostra vita quotidiana. Il padre Alfred Delp scriveva: «Dio ci abbraccia con la realtà». Ecco, è il nostro quotidiano il luogo in cui lasciar spazio al Signore che ci salva dalla nostra autosufficienza, e che ci chiede quel magis di cui parla Sant’Ignazio di Loyola: quel “di più” che ci spinge verso una felicità non effimera ma piena e serena.
Offro al lettore questi testi come occasione di riflessione sulla propria vita e su quella della Chiesa nella convinzione che Dio ci chiede di essere aperti alle Sue novità, ci chiede di essere inquieti e mai appagati, in ricerca e mai installati in accomodanti opacità, non arroccati in false sicurezze bensì in cammino sulla via della santità.
Città del Vaticano, 30 settembre 2023
Franciscus
Foto di copertina: La lotta di Giacobbe.