La celebrazione della Santa Messa è stata presieduta dal Cappellano Capo di Delegazione, Prof. Mons. Carlo Dell’Osso, Cappellano di Giustizia, concelebrante il Parroco di San Valentino ai Parioli, Don Maurizio Modugno, Cappellano di Merito con Placca d’Argento.
Oltre al Delegato per Roma e Città del Vaticano, il Prof. Giuseppe Schlitzer, Cavaliere Gran Croce di Merito, erano presenti tra altri: il Consigliere della Real Deputazione e della Real Commissione per l’Italia, S.A.S. Don Maurizio Ferrante Gonzaga di Vescovato, Principe del Sacro Romano Impero, Marchese del Vodice, Cavalieri Gran Croce di Giustizia; il Segretario di Delegazione, Michele Cantarano, Cavaliere de Jure Sanguinis, Segretario Generale della Cancelleria della Real Commissione per l’Italia; il Referente per le Attività Culturali di Delegazione, Nob. Carlo Alberto Baracchi Tua di Paullo, Cavaliere de Jure Sanguinis con Placca d’Oro; i Cavalieri di Giustizia Maurizio Bettoia e Marco Antonio Gueritore; Antonio Palazzi, Cavaliere de Jure Sanguinis; Angelo Di Stasi, Cavaliere Gran Croce di Merito; Luca Errico, Cavaliere di Merito con Placca d’Argento; e Maximilian Boech, Cavaliere di Ufficio.

Nella sua omelia, Mons. Dall’Osso ha sottolineato l’importanza della riflessione sui testi della Liturgia della Parola. Ha quindi poi richiamato l’importanza delle virtù della speranza che costituisce il tema del Giubileo in corso.


Al termine della Celebrazione Eucaristica, il Delegato Prof. Giuseppe Schlitzer ha consegnato la Placca d’Argento al Cappellano Don Maurizio Modugno.

A conclusione della celebrazione della Santa Messa, nell’attigua cappella degli Sposi il Confratello Antonio Palazzi ha svolto la relazione dal tema La Sibilla Cumana tra realtà e mito – Il mistero della IV Egloga di Virgilio.
Si tratta della storia di una grandissima profetessa vissuta oltre 2500 anni fa. Da allora ha fatto parlare re, santi, imperatori, papi, storici e studiosi, poeti e artisti.

Narra la leggenda, che la Sibilla, una giovane donna che fece perdere la testa al dio Apollo, chiese a quest’ultimo l’immortalità in cambio di diventare la sua sacerdotessa. Nel farlo, però, compì un grave errore: si dimenticò di chiedere la giovinezza, e così invecchiò sempre di più, mentre il suo corpo si consumava come quello di una cicala, tanto che venne messa in una gabbietta nel tempio di Apollo fino a quando il corpo non scomparve, e rimase solo la sua voce.
Nei meandri del glorioso passato della Campania Felix, ricopre molta importanza la Sibilla Cumana. Oggi la sua importanza è perlopiù relativa al valore storico che ricopre, ma un tempo la popolazione ci si affidava totalmente, confidando nei responsi che la Sibilla stessa dava per le domande che le venivano poste. Per questo motivo l’Antro della Sibilla Cumana, nella zona di Cuma, ricopre tutt’oggi un ruolo molto importante, con il suo fascino che è un misto di bellezza e sacralità. Comunque sia, è importante addentrarsi nell’Antro della Sibilla Cumana, nei pressi del lago d’Averno nel Parco Archeologico di Cuma, per respirare l’atmosfera e l’importanza del passato.
La Sibilla Cumana è una delle figure più affascinanti che emergano dalla letteratura latina e il carattere vulcanico della regione, quella dei Campi Flegrei, spiegherebbe la presenza di colei che prediceva il futuro interrogando gli dei inferi. La prima menzione è in Licofrone, un autore greco del III sec. a.C., ma essa appare già nel VI sec. a.C., quando – secondo la tradizione – Tarquinio il Superbo, Re di Roma, avrebbe acquistato una cospicua raccolta di oracoli, i Libri Sibillini, scritti su foglie di palma e redatti in esametri greci.
La Sibilla sarebbe stata una vergine con il dono della preveggenza che, di volta in volta avrebbe scelto degli antri tetri per farne il proprio luogo di vita e da cui effettuare le preveggenze. Per gli antichi, la Sibilla era di fondamentale importanza. Essi erano soliti chiedere responsi e previsioni, in vista di una scelta importante o di una prospettiva; tante volte furono anche gli stessi soldati romani, che chiedevano alla Sibilla se sarebbero tornati vivi dalle guerre. I questuanti, ossia coloro che ponevano le domande alla Sibilla, si recavano nell’Antro, che veniva opportunamente illuminato con candele per creare un’atmosfera spirituale. Lì, al cospetto della Sibilla potevano porle la domanda e la Sibilla, dopo aver ascoltato compiva un rituale preciso, che consisteva nell’immersione in una delle tre vasche allora presenti nell’Antro. Questa cerimonia di purificazione serviva alla Sibilla per prepararsi ad interrogare l’oracolo ed emettere un verdetto.
Il primo a menzionare questo luogo fu il sommo poeta Virgilio che, nel VI libo dell’Eneide, parla dell’incontro tra Enea e la Sibilla in questo antro nei pressi del lago d’Averno. Questo è uno dei primi elementi che fa pensare ad una Sibilla esistita sul serio, che avesse davvero l’antro come luogo in cui espletava i suoi verdetti. Per le popolazioni dell’epoca d’altronde, il verdetto della Sibilla Cumana era una verità assoluta, in quanto la credenza nel mito era molto forte. Al di là dell’aspetto leggendario, le donne che diventavano Sibilla, erano delle vergini che venivano destinate all’oracolo e che, prima del rituale, erano solite mangiare foglie d’alloro per entrare in uno stato di trance, oppure sedevano nei pressi di una spaccatura del terreno da dove potevano inalare i fumi vulcanici.
Al termine della Conferenza si è tenuto un vin d’honneur conviviale.
Egloga IV
Oh Muse sicule, alziamo un poco il tono del canto:
non a tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici;
se cantiamo le selve, le selve siano degne di un console.
È arrivata l’ultima età dell’oracolo cumano:
il grande ordine dei secoli nasce di nuovo.
E già ritorna la vergine, ritornano i regni di Saturno,
già la nuova progenie discende dall’alto del cielo.
Tu, o casta Lucina, proteggi il fanciullo che sta per nascere,
con cui finirà la generazione del ferro e in tutto il mondo
sorgerà quella dell’oro: già regna il tuo Apollo.
Sotto di te console inizierà la gloria di quest’era,
o Pollione, e i grandi mesi cominceranno a trascorrere.
Con te guida, se resteranno vestigia dei nostri delitti,
esse saranno vanificate e le terre sciolte da perpetua paura.
Egli riceverà la vita degli dei, egli vedrà gli eroi
misti agli dei, ed egli stesso apparirà ad essi,
e reggerà l’orbe pacato dalle virtù patrie.
Per te, o fanciullo, la terra senza essere coltivata,
spargerà i primi piccoli doni, le edere erranti
qua e là con la baccara e la colocasia con il ridente acanto.
Le capre riporteranno da sole le mammelle piene
di latte, e gli armenti non temeranno i grandi leoni.
La stessa culla spargerà per te blandi fiori.
Anche il serpente scomparirà, anche la fallace erba di veleno
scomparirà; ovunque nascerà l’assiro amomo.
E quando già leggerai le lodi degli eroi
e le imprese del padre, e potrai conoscere cosa sia la virtù,
a poco a poco la campagna imbiondirà di molle spiga,
dagli incolti pruni penderà l’uva rosseggiante,
e le dure querce stilleranno miele rugiadoso.
Tuttavia resteranno poche vestigia dell’antica frode,
che faranno affrontare Teti, che faranno cingere di mura
le città, che faranno incidere di solchi la terra.
Allora vi sarà un altro Tifi e un’altra Argo
che trasporti eroi scelti; vi saranno anche altre guerre,
e di nuovo sarà mandato a Troia il grande Achille.
Poi, quando la salda età ti avrà fatto uomo,
il mercante da solo si ritirerà dal mare, né le navi di pino
scambieranno merci; la terra produrrà tutto.
Il suolo non patirà rastrelli, né la vigna la falce;
anche il robusto aratore scioglierà i tori dal giogo;
e la lana non imparerà più a fingere i vari colori,
ma l’ariete da sé nei prati muterà il colore del vello
con la porpora soavemente rosseggiante, con giallo del croco:
spontaneamente il carminio vestirà gli agnelli pascolanti.
“Tali secoli affrettate”, dissero ai loro fusi
le Parche concordi nell’immutabile volontà del Fato.
Sarà già tempo di raggiungere gli alti onori,
o cara prole degli Dei, o grande rampollo di Giove!
Guarda il mondo che scuote la convessa mole,
e le terre e le distese del mare, e il profondo cielo!
O mi rimanga l’ultima parte di una lunga vita,
e mi basti lo spirito per celebrare le tue imprese:
Né il tracio Orfeo né Lino mi potranno vincere
nel canto, sebbene l’uno assista la madre, l’altro
il padre, Orfeo Calliope, il bel Lino Apollo.
Anche se Pan gareggiasse con me, a giudizio di Arcadia,
persino Pan si dichiarerebbe vinto, a giudizio di Arcadia.
Comincia, o piccolo fanciullo, a riconoscere col sorriso la madre:
alla madre nove mesi arrecarono lunghi travagli.
Comincia, o piccolo fanciullo: a chi non sorrisero i genitori,
né un dio concesse la mensa, né una dea un letto.
L’interpretazione Cristiana della IV Egloga
Virgilio si fece interprete di un’atmosfera di attesa: il disgusto per l’età sanguinosa delle guerre civili, per la corruzione diffusa, per l’avidità di potere e ricchezza aveva determinato tra gli individui più avvertiti un senso di sazietà e un desiderio di rinnovamento. Se ne fece interprete lo stesso Orazio in un epodo, il XVI, scritto presumibilmente nel 39, quando ormai l’accordo di Brindisi stava mostrando la sua inefficacia ed era ripreso un clima di ostilità. Orazio alla disperata situazione del presente e alla Città di Roma, ormai irrimediabilmente condannata alla rovina, contrappose, come estremo unico rimedio, la fuga alle isole fortunate e ai campi beati, descritti con i toni dell’utopia. All’alternativa temporale di Virgilio e alla sua fiduciosa speranza, l’alternativa spaziale di Orazio e il suo pessimismo. In un simile atteggiamento di delusione e di attesa confluivano elementi di origine filosofica e religiosa, che si è cercato di riconoscere. Ancora viva era la tradizione dei Libri Sibillini, una raccolta di responsi oracolari scritti in lingua greca. Attribuiti alla Sibilla Cumana, veggente e sacerdotessa di Apollo, erano conservati nel tempio di Giove Capitolino e venivano consultati nei momenti critici della vita pubblica romana. La loro perdita non ci consente di capire esattamente a quale profezia Virgilio faccia riferimento, ma presumibilmente i Libri Sibillini alludevano ad un ciclo di periodi in cui l’umanità dall’iniziale età dell’oro, in cui viveva in una felicità piena, decadendo progressivamente attraverso l’età dell’argento e quella del bronzo, sarebbe approdata all’ultima età, del ferro, per poi ritornare, dopo una catastrofe rigeneratrice, all’età dell’oro. È possibile che Virgilio abbia attinto anche da altre antiche credenze, o direttamente o perché confluite nei Libri Sibillini: i Pitagorici si rifacevano al concetto astronomico del magnus annus che si compie quando tutte le stelle portano a termine il loro movimento di rivoluzione nel cosmo e tornano ad assumere la posizione che avevano all’inizio del ciclo; secondo gli Stoici attraverso successive conflagrazioni universali, il mondo è oggetto, ad intervalli costanti, di una disintegrazione che prelude alla rinascita (palingenesi). Motivi palingenetici erano presenti nelle culture orientali e nell’ebraismo e sappiamo che la cultura ebraica era diffusa a Roma ad opera della numerosa comunità che vi risiedeva (Orazio in Satira ricorda quanto attivi fossero gli Ebrei nel far proseliti). In ambito letterario l’idea di un’età dell’oro era comparsa per la prima volta nel poema Le opere e i giorni di Esiodo (VIII secolo a.C.): si trattava di un’età mitica, il tempo di “un’aurea stirpe di uomini mortali, creati dagli dei, che passavano la vita con l’animo sgombro da angosce, lontani dalle fatiche e dal dolore”; altre quattro ere sarebbero succedute all’età dell’oro: l’età dell’argento, del bronzo, degli eroi e del ferro.
La predizione della IV egloga e alcuni passaggi in particolare hanno aperto la strada in epoca tardoantica all’interpretazione Cristiana, secondo la quale le parole di Virgilio avrebbero preannunciato la venuta del Cristo. Questa interpretazione, considerata oggi arbitraria, fu accolta dall’Imperatore Costantino e creduta vera da Dante. Il Medio Evo ebbe un autentico culto per Virgilio e alla sua fisionomia di profeta si aggiunse, soprattutto nella cultura popolare, quella di mago e negromante.
Molte sono le differenze tra il messaggio virgiliano e la dottrina Cristiana. Il Cristianesimo, implicando il concetto di un Dio creatore, postula una concezione lineare del tempo, un inizio e una fine delle cose nella loro materialità, quindi la resurrezione in un mondo diverso e spirituale. In Virgilio ritroviamo una concezione ciclica, secondo la quale il mondo, avviato al proprio decadimento, ricomincia rigenerato in un processo che, sempre uguale, si prolunga nel tempo. E ancora: il ritorno all’età dell’oro virgiliana appare gratuito, non implica merito da parte degli uomini, mentre il merito è determinante nella concezione Cristiana a definire i modi in cui ciascuno risorgerà. Il Medio Evo riuscì a far convergere elementi tra loro tanto distanti in una visione unitaria che tendeva a valorizzare le somiglianze ed assimilare, reinterpretandole alla luce delle proprie convinzioni, le differenze. L’immagine di un Virgilio profeta del Cristianesimo e quella di un Virgilio mago durarono a lungo, nella letteratura colta e in quella popolare, e nell’arte.

Foto di copertina: l’Antro della Sibilla, una galleria artificiale alta circa cinque metri e lunga oltre 130, di epoca greco-romana a Cuma, nei Campi Flegrei, vicino a Pozzuoli, scoperta nel 1932.