La celebrazione della Santa Messa è stata presieduta dal Cappellano Capo di Delegazione, Mons. Carlo Dell’Osso, Cappellano di Giustizia, concelebranti il Parroco di Santa Croce al Flaminio Don Carlo Di Stefano e il Parroco di San Valentino ai Parioli Don Maurizio Modugno, Cappellano di Merito, alla presenza del Delegato Prof. Giuseppe Schlitzer, Cavaliere Gran Croce di Merito; del Segretario di Delegazione, Dott. Michele Cantarano, Cavaliere de Jure Sanguinis, Segretario Generale della Cancelleria della Real Commissione per l’Italia; e dei Consiglieri della Real Deputazione e della Real Commissione per l’Italia, Cavalieri Gran Croce di Giustizia, S.A.S. Don Maurizio Ferrante Gonzaga di Vescovato, Principe del Sacro Romano Impero, Marchese del Vodice, e S.E. Lorenzo de Notaristefani, Patrizio di Ravello, Curatore della Basilica Magistrale di Santa Croce al Flaminio.
Nella sua omelia, Mons. Carlo Dell’Osso ha proposto una riflessione sulla famiglia, prendendo spunto sia dalla ricorrenza liturgica, che dal brano del Vangelo proclamato (Mt 1,16.18-21.24 – Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore), evidenziando come l’Incarnazione di Nostro Signore Gesù è avvenuta proprio con l’entrata del Verbo in una famiglia. Quest’ultima, dunque, è diventata il nucleo fondamentale non solo della società quanto anche della storia sacra.
La secolarizzazione della società si muove invece all’opposto, puntando ad una minimizzazione della famiglia, scardinandone il ruolo. Questo del resto è coerente con la modernità, che ci vuole non membri organici di una famiglia, ma delle monadi singole e meri consumatori di beni che si dettano autonomamente le proprie priorità.
Come antidoto a tutta questa impostazione, per recuperare quindi il valore dei legami familiari, ha concluso Mons. Dell’Osso, occorre invece meditare sulla Sacra Famiglia, e su San Giuseppe, cercando di far sì che la fede abbia delle ricadute positive sulla società, impegnandosi per cambiarla in meglio, un compito tanto più centrale per i Cavalieri e le Dame dell’Ordine Costantiniano di San Giorgio, specie in vista della Santa Pasqua.




Conclusa la celebrazione della Santa Messa, nell’attigua cappella degli Sposi si è svolta la Conferenza del Dott. Vittorio Tusini Cottafavi. Avvalendosi di pregevoli fotografie e filmati d’epoca, egli ha presentato suo volume Ignazio Giunti. Un pilota, un’epoca (Rubbettino 2018, 206 pagine [QUI], con la Prefazione di Cristiano Rattazzi), che narra la storia di Ignazio Giunti, un ragazzo nobile e coraggioso, un pilota di straordinario talento, dalle prime scorribande con macchine e in corse di ogni genere, fino a quando divenne l’asso dell’Alfa Romeo e poi la grande speranza della Ferrari.

Il libro offre nel contempo un incisivo spaccato di un’epoca delle corse meravigliosa e terribile, con macchine stupende e super-potenti, circuiti affascinanti, rischi elevatissimi, molto più alti di quelli odierni, accettati ed affrontati con spirito si potrebbe dire quasi “cavalleresco” – e della carriera del giovane sportivo, suo zio. Fu una generazione di piloti tra le più forti di sempre ma falcidiata da tanti tragici eventi. Anche per questo la storia del campione italiano e della sua epoca si fondono in un’unica vicenda di grande intensità.
Nato a Roma il 30 agosto 1941, figlio del Barone Pietro Giunti e della Contessa Maria Gabriella San Martino di Strambino, Ignazio Giunti iniziò la carriera agonistica di nascosto dalla famiglia, che non approvava tale scelta. Dopo alcuni anni di esperienza sull’autodromo di Vallelunga, nei pressi di Roma, passò alla Formula 3 e poi, alla fine degli anni Sessanta, al Campionato Europeo Turismo che vinse nel 1967 su Alfa Romeo Giulia GTA, diventando una vera e propria bandiera di quella scuderia. Nel 1970 alcuni importanti successi in gare di lunga durata su Ferrari gli valsero l’accesso alla Formula 1, sempre in forza al “cavallino rampante”, iniziando dal circuito di Spa-Francochamps e correndo in tre gare alternandosi con Clay Regazzoni. Notevole, in questo periodo, il quarto posto al Gran Premio del Belgio su Ferrari 312 PB.
Il Dott. Tusini Cottafavi ha concluso la sua presentazione, offrendo filmati e interviste ad altri esponenti dell’automobilismo contemporanei di Giunti, e presentando il tragico epilogo della promettente carriera di suo zio, avvenuta il 10 gennaio 1971 sul circuito di Buenos Aires durante la 1000 km, con un drammatico incidente che non lasciò scampo al pilota per le gravi ustioni riportate nell’incendio della sua monoposto e che ha privato l’Italia di un potenziale campione del mondo, titolo che dopo Ascari nessun pilota italiano è più riuscito a conseguire. Tuttavia, il Relatore ha anche sottolineato che la memoria di questo giovane e sfortunato corridore non è andata perduta: ad Ignazio Giunti è difatti, oggigiorno, intitolato all’importante ente di specializzazione post-diploma ISSAM-Istituto Superiore di Scienza dell’Automobile in Modena.