Dottrina Sociale della Chiesa – Decima parte: Sintesi – Sesta parte

È stato pubblicato sul canale Spreaker dell’Ufficio Stampa della Real Commissione per l’Italia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio il decimo Podcast di una serie sulla Dottrina Sociale della Chiesa a cura del Referente per la Formazione della Delegazione di Roma e Città del Vaticano, il Prof. Enzo Cantarano, Cavaliere di Merito con Placca d'Argento. Nel suo impegno per la salvezza di ogni persona, la Chiesa si preoccupa di tutta la famiglia umana e delle sue necessità, compresi gli ambiti materiali e sociali. A tal fine sviluppa, come una bussola, una dottrina sociale per formare le coscienze e aiutare a vivere secondo il Vangelo e la stessa natura umana. «Con tale dottrina, la Chiesa non persegue fini di strutturazione e organizzazione della società, ma di sollecitazione, indirizzo e formazione delle coscienze» (Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 81). «La Chiesa (…) ha però una missione di verità da compiere, in ogni tempo ed evenienza, per una società a misura dell'uomo, della sua dignità, della sua vocazione» (Caritas in veritate, 9).
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Podcast 2-79 – Dottrina Sociale della Chiesa – Decima parte: Sintesi – Sesta parte

CAPITOLO DODICESIMO – DOTTRINA SOCIALE E AZIONE ECCLESIALE

1. L’azione pastorale in ambito sociale – Consapevole della forza rinnovatrice del Cristianesimo nei confronti della cultura e della realtà sociale, la Chiesa offre il contributo del suo insegnamento alla costruzione della comunità degli uomini, mostrando anche il significato sociale del Vangelo. Come già ricordato, tale contributo è stato offerto in modo continuativo ed organico a partire dall’enciclica Rerum novarum di Papa Leone XIII. Purtroppo, il mondo contemporaneo è segnato da una profonda frattura tra Vangelo e cultura. La Chiesa è ben consapevole che occorre una forte opera pastorale di “inculturazione della fede”. In tale ambito si situa l’insegnamento sociale. La “nuova evangelizzazione” deve pertanto annoverare tra le sue componenti essenziali l’annuncio della Dottrina Sociale della Chiesa. Consegue che la “pastorale sociale” è l’espressione concreta di una Chiesa consapevole della propria missione evangelizzatrice delle realtà sociali, economiche, culturali e politiche del mondo, pur consapevole altresì che una conformazione perfetta e definitiva delle realtà sociali al Vangelo non potrà attuarsi nella storia. Quasi superfluo ricordare che premessa di ogni pastorale sociale è l’annuncio della verità sull’uomo e sulla sua duplice dimensione (personale e sociale), annuncio col quale la Chiesa fornisce anche la sua risposta all’attuale e dibattuto problema relativo alla natura e al senso della vita umana (problema antropologico). Come implicitamente emerge da quanto prima accennato, l’insegnamento della Dottrina sociale si inserisce nell’attività catechistica, che è l’insegnamento concreto del Cristianesimo finalizzato a mettere l’uomo in comunione con Gesù Cristo. Quale strumento dell’azione pastorale la dottrina sociale è infine fecondo terreno di dialogo e di confronto in campo ecumenico e con tutti gli uomini di convinzioni diverse o non credenti, che alla prova dei fatti ne condividono e apprezzano in prima istanza l’efficace valenza umana.

2. Dottrina sociale ed impegno dei laici – Come afferma il Concilio, “è dei laici cercare il regno di Dio trattando e ordinando secondo Dio le cose temporali”. Ma dobbiamo ricordare che l’ identità del fedele laico nasce e trae alimento dai sacramenti istituiti da Gesù e cioè dal Battesimo, dalla Cresima e dall’Eucarestia. È da tali doni divini di grazia che il laico (divenuto così profeta, sacerdote e re secondo la sua indole secolare) può operare correttamente nelle realtà umane, nella prospettiva dei beni definitivi. E sono gli stessi doni di grazia, adeguatamente accolti e alimentati, che lo rendono capace di guardare oltre la storia, senza allontanarsene; di coltivare un amore appassionato per Dio, senza distogliere lo sguardo dai fratelli, che si riescono anzi a vedere come li vede il Signore e ad amare come Lui li ama. In tal modo la spiritualità del fedele laico lo porta a rifuggire sia dallo spiritualismo intimista sia dall’attivismo sociale. Ma – è il caso di ripeterlo – per ordinare secondo Dio le cose temporali egli dev’essere profondamente innestato in Dio e quindi dev’essere davvero un uomo nuovo. In particolare, questa “novità di vita” lo porterà ad agire secondo le esigenze della prudenza. È infatti questa la virtù che dispone a discernere in ogni circostanza il vero bene e a scegliere i mezzi giusti per compierlo. Per le ragioni sopra indicate la Dottrina sociale della Chiesa deve entrare, come parte integrante, nel cammino formativo del laico cristiano. La presenza dei laici nel campo sociale è caratterizzata dal servizio, segno ed espressione della carità, che si manifesta nella vita familiare, culturale, lavorativa, economica, politica, secondo profili specifici. Non va mai dimenticato che dalla testimonianza delle opere deriva la stessa credibilità della Dottrina Sociale. Tra gli ambiti dell’impegno sociale dei laici emerge il servizio alla persona e la promozione della sua dignità. Conseguono l’affermazione e la tutela dell’inviolabile diritto alla vita, dal concepimento sino alla morte naturale (come a dire del primo diritto della persona), la tutela dei diritti alla libertà di coscienza e alla libertà religiosa e, in particolare nell’attuale contesto socio-culturale, la difesa del matrimonio e della famiglia. La cultura deve costituire un campo privilegiato di presenza e di impegno per la Chiesa e per i singoli cristiani. L’accennato distacco tra la fede cristiana e la vita quotidiana è giudicato dal Concilio (“Gaudium et Spes”) come uno degli errori più gravi del nostro tempo. Ma la cultura da garantire è ovviamente, anche in questo campo, quella conforme alla dignità della persona. E ciò comporta la libertà di educazione, di divulgazione del pensiero e la libertà di ricerca, di dibattito e di confronto. Il mancato riconoscimento dei diritti culturali è alla base della povertà di tanti popoli. Soprattutto, il rispetto della dignità umana esige che il contenuto della cultura coincida con la verità. Conseguentemente l’impegno del cristiano in ambito culturale sarà anche finalizzato a contrastare tutte le visioni riduttive e ideologiche dell’uomo e della vita. Se consideriamo che l’impegno culturale dei cristiani nasce dalla fede in Colui che ha definito se stesso “la via, la verità e la vita” (Gv 14,6), comprendiamo perché il messaggio cristiano è valido per ogni cultura. L’Enciclica Centesimus annus, al n. 24, dice: “La culture delle diverse Nazioni sono, in fondo, altrettanti modi di affrontare la domanda circa il senso dell’esistenza personale”. È questo un punto di fondamentale importanza. La domanda che proviene dal mistero della vita e rimanda al mistero più grande, quello di Dio, sta in effetti al centro di ogni cultura. Quando la si elimina si corrompono la cultura e la vita morale delle Nazioni. La storia e l’esperienza lo insegnano in modo inconfutabile. Per quanto riguarda la promozione della cultura, è evidente che i laici dovranno dare grande importanza ai mezzi di comunicazione di massa. E non solo per quanto attiene il contenuto della comunicazione, ma anche al fine di supportare nazioni e popoli privi delle necessarie tecnologie, in un momento storico – tra l’altro – in cui la stessa sopravvivenza può dipendere dall’informazione. Due settori in cui i fedeli laici sono oggi chiamati ad operare per il bene comune riguardano infine l’economia e la politica. La premessa è che, in entrambi i campi, i principi del magistero sociale devono essere tenuti ben presenti, a partire dal primo di essi e cioè dalla centralità della persona umana. Nel campo economico, occorre anzitutto un’attenta analisi degli attuali modelli di sviluppo economico-sociale, alla luce della dignità dell’uomo e dei popoli (vedi Enciclica Sollicitudo rei socialis, n. 41). E occorre di conseguenza un ripensamento dell’economia che consideri, da una parte, la drammatica povertà materiale di miliardi di persone e, dall’altra, il fatto che le attuali strutture economiche faticano a farsi carico delle esigenze di un autentico sviluppo. Una cosa già possibile è quella di intessere di solidarietà le reti delle interdipendenze economiche, che i processi di globalizzazione in atto tendono ad accrescere.

Ricordo anzitutto che il tema dell’economia alla luce del magistero sociale è trattato nella Quarta parte di questa Sintesi [QUI] (Capitolo settimo). E veniamo all’impegno nel campo politico, che per i fedeli laici è un’espressione qualificata ed esigente dell’agire Cristiano al servizio degli altri. Il perseguimento del bene comune in uno spirito di servizio; lo sviluppo della giustizia con un’attenzione particolare verso le situazioni di povertà e sofferenza; il rispetto dell’autonomia delle realtà terrene secondo i disegni del Creatore; il principio di sussidiarietà; la promozione del dialogo e della pace nell’orizzonte della solidarietà: sono questi gli orientamenti a cui i cristiani laici devono ispirare la loro azione politica. Fra i sistemi di governo, i Cristiani apprezzano maggiormente quello della democrazia, in quanto (come afferma l’Enciclica Centesimus annus, al n. 46) esso assicura la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche e garantisce ai governati la possibilità sia di eleggere e controllare i propri governanti, sia di sostituirli in modo pacifico ove risulti opportuno. Ma, come già evidenziato, non sempre il Cristiano può concordare sul fatto che – come avviene nel sistema democratico – la decisione sia assunta con l’esclusivo criterio della maggioranza. Occorre infatti il contestuale rispetto della verità oggettiva, per quanto sia dato conoscerla. In pratica, è evidente che il politico cristiano non può accettare le decisioni della maggioranza quando contrastino con esigenze morali fondamentali. Più in generale, il Magistero ricorda che la coscienza cristiana ben formata non permette a nessuno di favorire con il proprio voto l’attuazione di un programma politico o di una singola legge in cui i contenuti fondamentali della fede e della morale siano sovvertiti da proposte alternative o contrarie a tali contenuti. È invece moralmente lecito ed anzi doveroso offrire il proprio sostegno a proposte dirette a limitare i danni di programmi o leggi del genere. Per situazioni di questo tipo e qualora siano in gioco esigenze morali irrinunciabili, la testimonianza Cristiana deve essere ritenuta un dovere inderogabile, che può giungere fino al sacrificio della vita e al martirio in nome della carità e della dignità umana (Esortazione apostolica Christifideles laici, n. 39).

Come si ricorderà, la Sintesi ha già trattato di “democrazia” nella Quarta parte di questa Sintesi [QUI] (Capitolo ottavo, n. 4). L’impegno politico dei Cattolici è spesso messo in relazione alla laicità, ossia alla distinzione tra la sfera politica e quella religiosa. La Dottrina Sociale esclude la prospettiva di una laicità intesa come autonomia dalla legge morale. Essa indica l’atteggiamento di chi rispetta le verità naturali sull’uomo che vive in società e che, come tale, è moralmente tenuto al rispetto della giustizia, della libertà, della vita e degli altri diritti della persona compreso il rispetto di ogni confessione religiosa da parte dello Stato. In pratica non è sempre così. Sappiamo tutti che in molte parti del mondo e anche nelle società democratiche permangono espressioni di intollerante laicismo, che osteggiano ogni forma di rilevanza politica e culturale della fede e cercano di squalificare l’impegno sociale e politico dei credenti. Un ambito particolare di discernimento per i fedeli laici riguarda la scelta degli strumenti politici, ovvero l’adesione a un partito o alle altre espressioni della partecipazione politica. Premesso che le istanze della Fede Cristiana difficilmente sono rintracciabili in un’unica formazione politica (ed è auspicabile che sia sempre così, onde evitare pericolosi equivoci), il Cristiano coerente aderirà sempre criticamente a uno schieramento, stimolando il partito e il suo progetto politico a realizzare iniziative volte a ottenere il vero bene comune, ivi compreso il rispetto del fine spirituale dell’uomo (Octogesima adveniens, n. 46). Da ultimo è da osservare che, pur aderendo a partiti diversi, i credenti devono cercare di comprendersi a vicenda con un dialogo sincero, conservando sempre la mutua carità e la sollecitudine per il bene comune.

CONCLUSIONE – PER UNA CIVILTÀ DELL’AMORE

1. L’aiuto della Chiesa all’uomo contemporaneo – Un nuovo bisogno di senso è diffusamente avvertito e vissuto nella società contemporanea. E ciò soprattutto nelle comunità nazionali ad alto livello di vita, a conferma del fatto che i beni materiali e il progresso scientifico e tecnologico non sono in grado di soddisfare tale bisogno. Soltanto Dio, che ha creato l’uomo a Sua immagine e lo ha redento dal peccato, può offrire agli interrogativi umani più radicali una risposta pienamente adeguata per mezzo della Rivelazione compiuta nel Figlio Suo fatto uomo. La missione della Chiesa nel mondo contemporaneo consiste nell’aiutare ogni essere umano a scoprire in Dio il significato ultimo della sua esistenza.

2. Ripartire dalla fede in Cristo – La fede in Dio e in Gesù Cristo illumina i principi morali che sono l’unico insostituibile fondamento di quella stabilità e tranquillità, di quell’ordine interno ed esterno, privato e pubblico, che solo può generare e salvaguardare la prosperità degli Stati. Di fronte alle gravi ingiustizie e a tutti i problemi del mondo non una formula ci salverà, ma una Persona, e la certezza che essa ci infonde: “Io sono con voi!”. Non si tratta, allora, di inventare “nuovi programmi”. Il programma c’è già: è quello di sempre, raccolto nel Vangelo e nella viva Tradizione. Esso si incentra in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare, per vivere in Lui   vita trinitaria e trasformare con Lui la storia fino al suo compimento nella Gerusalemme celeste.

3. Una salda speranza – Va anzitutto da ricordare che, nella persona umana, c’è una fondamentale bontà, perché essa è immagine del Creatore, posta sotto l’influsso redentore di Cristo, che si è unito in certo modo ad ogni uomo, e perché l’azione efficace dello Spirito Santo riempie la terra. La speranza Cristiana imprime un grande slancio all’impegno in campo sociale, infondendo fiducia nella possibilità di costruire un mondo migliore, nella consapevolezza – peraltro – che non può esistere un “paradiso in terra”. Le motivazioni religiose di tale impegno possono naturalmente essere non condivise, ma le convinzioni morali e gli esiti concreti che ne derivano costituiscono un punto di incontro tra i cristiani e tutti gli uomini di buona volontà.

4. Costruire la civiltà dell’amore – Finalità immediata della Dottrina Sociale è quella di proporre i principi e i valori che possono sorreggere una società degna dell’uomo. Tra questi principi, quello della solidarietà in qualche misura comprende tutti gli altri: esso costituisce uno dei principi basilari della concezione Cristiana dell’organizzazione sociale e politica. Tale principio viene illuminato dal primato della carità, che è il segno distintivo dei discepoli di Cristo. L’amore deve essere presente e penetrare tutti i rapporti sociali. Per questo tale amore può essere chiamato carità sociale o carità politica. L’amore sociale si trova agli antipodi dell’egoismo e dell’individualismo. In altri termini, non si possono regolare i rapporti umani unicamente con la misura della giustizia. Il cristiano sa che l’amore è il motivo per cui Dio entra in rapporto con l’uomo. Ed è ancora l’amore che Egli si attende come risposta dell’uomo. L’amore è anche la forma più alta e più nobile di rapporto degli esseri umani tra loro. L’amore dovrà dunque animare ogni settore della vita umana, estendendosi anche all’ordine internazionale.

Per concludere, è appena il caso di rilevare che l’amore esige la pratica della giustizia e soltanto esso ce ne rende capaci e che l’amore, calato nelle relazioni umane e nei rapporti sociali, deriva tutta la sua efficacia dal rapporto dell’uomo con Dio e dall’intensità di questo rapporto: lo si è già detto sopra, ma è il caso di ribadirlo per averlo sempre presente. Un’umanità nella quale infine regni la “civiltà dell’amore” potrà godere di una pace autentica e duratura e, su questa base, raggiungere i traguardi che il Creatore ha stabilito dall’eternità.

Indice dei podcast trasmessi [QUI]

Oggi termina la serie di podcast sulla Dottrina Sociale della Chiesa.

Incontrando il 17 maggio 2025 i membri della Fondazione Centesimus Annus Pro Pontifice [QUI], Papa Leone XIV ha ribadito il ruolo fondamentale della Dottrina Sociale della Chiesa, spesso non troppo presa in considerazione nella stessa Chiesa, ricordando il momento particolare di “policirisi” in cui si vive. “Già il Papa Leone XIII (vissuto in un periodo storico di epocali e dirompenti trasformazioni) aveva mirato a contribuire alla pace stimolando il dialogo sociale, tra il capitale e il lavoro, tra le tecnologie e l’intelligenza umana, tra le diverse culture politiche, tra le Nazioni”. Per questo è necessaria la Dottrina Sociale della Chiesa, che “ci educa a riconoscere che più importante dei problemi, o delle risposte a essi, è il modo in cui li affrontiamo, con criteri di valutazione e principi etici e con l’apertura alla grazia di Dio”.

Foto di copertina: Ambrogio Lorenzetti, Effetti del Buon Governo in Città (dettaglio) (fa parte di Allegoria ed Effetti del Buono e del Cattivo Governo, una serie di affreschi realizzati da Lorenzetti, contemporaneo al periodo del Governo dei Nove, volendo dare una rappresentazione del governo e delle conseguenze positive dello stesso nella società, e nella vita nella Città di Siena), 1338-40, affresco su parete, 200×720 cm, Sala della Pace, Palazzo Pubblico, Siena, Italia.
«Amate la giustizia voi che governate questa terra»
Gli affreschi del Buon e del Cattivo Governo di Siena
In Toscana, i frutti più nobili del lavoro e della creatività umana risalgono all’epoca in cui le città raggiunsero in Italia un livello di vita avanzatissimo e costituirono degli Stati il cui obiettivo non era la potenza ma il benessere dei cittadini. La riproduzione più significativa di questa epoca è quella degli affreschi del Buon e del Cattivo Governo, dipinti fra il 1337 ed il 1339 da Ambrogio Lorenzetti nella Sala dei Nove del Palazzo Pubblico di Siena e che rimangono di una grande importanza per il mondo contemporaneo. Furono commissionati ad Ambrogio Lorenzetti dal Governo dei Nove, che governò Siena dal 1287 al 1355, nel momento in cui la città è all’apogeo della sua potenza e della sua ricchezza ed è una delle quindici città più importanti d’Europa. Una potenza ed una ricchezza che Siena deve alla Via Francigena, una rete di strade e stradine che seguono i pellegrini provenienti dalla Francia per andare a Roma, che è anche un’arteria fondamentale per gli scambi ed il commercio fra l’Oriente e l’Occidente. Grazie a questa strada i mercanti senesi possono esportare i loro beni verso il nord dell’Europa ed importare d’Oriente spezie, tessuti e pietre preziose, come gli stili artistici ed i colori che ne fanno ancora il suo splendore. Con questi affreschi, Lorenzetti è chiamato a fare l’elogio del modello politico sofisticato della Repubblica di Siena.
Nell’allegoria del Buon Governo, la dama vestita di rosso porpora ed oro è la Giustizia, con la frase Amate la giustizia voi che governate questa terra, che apre il Libro della Saggezza. La stessa frase si legge nella pergamena che Gesù tiene in mano nella Maestà di Simone Martini, che si trova nella Sala del Mappamondo, dove si riuniva il Gran Consiglio di Siena, il Parlamento della Città. È la frase che Dante vede apparire nel cielo del Paradiso.
Le altre due figure che sono al centro del dipinto, sono la Saggezza e la Concordia, che sono legate da una corda ai cittadini che a loro volta la passano al Comune di Siena, rappresentato da una persona vestita in bianco e nero, i colori della Città. Tutti i dettagli dell’allegoria fanno riferimento alla concezione filosofica e del mondo di Aristotele e di San Tommaso d’Aquino, che sono l’essenza della Divina Commedia.

Nelle immagini che riproducono gli effetti del Buon Governo, Lorenzetti ha dipinto le sue caratteristiche e le sue conseguenze. Tutti si danno da fare e lavorano ad ogni angolo di strada; i contadini scambiano i loro prodotti e parlano con gli abitanti della città. I bambini giocano. Le fanciulle danzano, una donna in rosso convola a nozze e fonda una nuova famiglia, in un quadro di pace e serenità. Un’atmosfera che si oppone a quella di guerra e di distruzione provocata dal cattivo governo, rappresentato nell’allegoria del cattivo governo, i suoi effetti in città ed i suoi effetti in campagna.

L’allegoria del Cattivo Governo è dominata da una figura con le corna, il tiranno, che è strabico. Il tiranno non è per Lorenzetti, e la sua epoca, il dittatore. Il tiranno è colui che non pensa che ai suoi interessi e non vede il bene comune.
Nel 1310, il governo di Siena ha fatto tradurre gli Statuti della Città in toscano, affinché tutti i Senesi possano capire le leggi e le regole della vita comune. Nel 1337, commissionando gli affreschi a Lorenzetti, il Governo dei Nove vuole dire a tutti i cittadini, anche coloro che non sanno leggere, che la miglior forma di governo possibile è la repubblica.
I 9 che componevano il governo della Repubblica di Siena assumono il loro compito a rotazione, per un periodo di 3 a 6 mesi, restano rinchiusi nel Palazzo durante tutto il periodo del loro mandato per essere totalmente a servizio dei loro ideali e dedicarsi interamente alla missione del Bene Comune, che si oppone all’interesse particolare. Il nome originario degli affreschi è “il Bene Comune e la Pace” ed è solamente nel XVII secolo che vengono chiamati “Il Buon e il Cattivo Governo”.
Gli affreschi del Buon e del Cattivo Governo fanno comprendere che è sul rispetto dei valori etici come la giustizia, la saggezza, la concordia, che riposa il buon governo, quello che assicura il “Bene Comune”, il bene di tutti. Essi fanno vedere che è nelle città che è nato quel sistema di governo straordinario che è stato quello delle repubbliche italiane del Medio Evo, le Città-Stato, in cui un terzo dei cittadini partecipavano concretamente alla vita pubblica e politica. Essi ricordano che queste Città-Stato avevano fondato la loro potenza e la loro ricchezza sul commercio e lo scambio con il resto del mondo e che quelle società fiorenti furono il punto di partenza del Rinascimento, che avrebbe contribuito allo sviluppo dell’Europa e dell’umanità.

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