Dottrina Sociale della Chiesa – Settima parte: Sintesi – Terza parte

È stato pubblicato sul canale Speaker dell’Ufficio Stampa della Real Commissione per l’Italia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio il settimo Podcast di una serie sulla Dottrina Sociale della Chiesa a cura del Referente per la Formazione della Delegazione di Roma e Città del Vaticano, il Prof. Enzo Cantarano, Cavaliere di Merito con Placca d'Argento. Nel suo impegno per la salvezza di ogni persona, la Chiesa si preoccupa di tutta la famiglia umana e delle sue necessità, compresi gli ambiti materiali e sociali. A tal fine sviluppa, come una bussola, una dottrina sociale per formare le coscienze e aiutare a vivere secondo il Vangelo e la stessa natura umana. «Con tale dottrina, la Chiesa non persegue fini di strutturazione e organizzazione della società, ma di sollecitazione, indirizzo e formazione delle coscienze» (Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 81). «La Chiesa (…) ha però una missione di verità da compiere, in ogni tempo ed evenienza, per una società a misura dell'uomo, della sua dignità, della sua vocazione» (Caritas in veritate, 9).
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Podcast 2-66 – Dottrina Sociale della Chiesa – Settima parte: Sintesi – Terza parte

Nella Premessa alla Parte Seconda del Documento si legge: “La dottrina sociale ha di per sé il valore di uno strumento di evangelizzazione: in quanto tale, annuncia Dio e il mistero di salvezza in Cristo ad ogni uomo e per la medesima ragione rivela l’uomo a sé stesso” (Centesimus annus, N. 54 ).

CAPITOLO QUINTO – La famiglia cellula vitale della società

1. La famiglia prima società naturale – L’importanza e la centralità della famiglia, in ordine alla persona e alla società, è ripetutamente sottolineata nella Sacra Scrittura e Gesù stesso conferì eccelsa dignità all’istituto matrimoniale, costituendolo come sacramento della Nuova Alleanza (Mt 19, 3 – 9). La famiglia, comunità naturale in cui si sperimenta la socialità umana, contribuisce poi in modo unico e insostituibile anche al bene della società. Una società a misura di famiglia è la migliore garanzia contro ogni deriva di tipo individualista o collettivista, perché in essa la persona è sempre al centro dell’attenzione in quanto fine e mai come mezzo. Ne deriva che società e Stato sono per la famiglia e non viceversa.

2. Il matrimonio fondamento della famiglia – La famiglia ha la sua origine e il suo fondamento nella libera volontà dei coniugi di unirsi in matrimonio. Nessun potere può abolire il diritto naturale al matrimonio e neppure modificarne i caratteri e le finalità, profondamente radicati nella natura umana e quindi voluti da Dio. La realtà umana del matrimonio è vissuta dai battezzati nella forma soprannaturale del sacramento, segno e strumento di Grazia.

3. La soggettività sociale della famiglia – È necessario che le Pubbliche Autorità si adoperino per riconoscere i diritti della famiglia fondata sul matrimonio. A loro volta le famiglie possono operare per la tutela dei loro diritti. Per consentire al matrimonio di concorrere più efficacemente alla coesione sociale le legislazioni stabiliscono che esso sia fondato su un atto pubblico. In proposito la Dottrina sociale cristiana riafferma che l’armonia della coppia e della società dipendono dal modo in cui si vivono tra i sessi la complementarità, il bisogno vicendevole e il reciproco aiuto. Consegue che le norme di diritto devono uniformarsi a tali criteri, conformi alla legge naturale, se perseguono il vero bene della persona e della società. Una caratteristica della famiglia è la fecondità. L’amore coniugale è infatti, per sua natura, aperto all’accoglienza della vita. La legge deve riconoscere i diritti dei minori.

4. La famiglia protagonista della vita sociale – Le famiglie non debbono essere solo oggetto dell’azione politica, devono diventare soggetto di tale attività, adoperandosi affinché lo Stato non trascuri, ma sostenga e difenda i loro diritti. Il rapporto che intercorre tra la famiglia e la vita economica è di primaria importanza e, in tale ambito, una relazione del tutto particolare lega la famiglia e il lavoro. Come concorso all’equità di detto rapporto, un elemento da riconsiderare è il salario familiare, ossia un salario sufficiente a mantenere e a far vivere dignitosamente la famiglia. Il lavoro della donna e la sua pari dignità con l’uomo, dovrebbe analogamente rientrare nel quadro di adeguati interventi a sostegno della famiglia.

5. La società a servizio della famiglia – Se la famiglia ha una soggettività che la rende protagonista della vita sociale e, nell’ordine naturale, “viene prima” di ogni altra comunità e dello Stato medesimo, allora società e Stato sono al servizio della famiglia. Tutto ciò comporta la realizzazione di autentiche ed efficaci politiche familiari, nel rispetto appunto dei diritti della famiglia. Si ricordano a titolo d’esempio, fra tali diritti e oltre a quelli sopra menzionati, quello connesso alla tutela dell’intimità e della convivenza familiare (casa), all’equità fiscale, all’effettiva libertà di scelta nell’educazione dei figli e infine il diritto all’aiuto in presenza di situazioni di grave disagio.

CAPITOLO SESTO – Il lavoro umano

1. Aspetti biblici – L’Antico Testamento presenta Dio come Creatore onnipotente, che plasma l’uomo a Sua immagine, gli chiede di lavorare la terra e lo invita a custodire il giardino dell’Eden in cui lo ha posto. Il lavoro appartiene alla condizione originaria dell’uomo e precede la sua caduta. Non è perciò né punizione né maledizione. Gesù lavora e quindi insegna ad apprezzare il lavoro, un diritto-dovere, ma pure a non lasciarsi asservire da esso, perché è Dio e non il lavoro il fine dell’uomo. I Padri della Chiesa, dal I al VI secolo d.C., non considerano mai il lavoro come opera servile – com’era invece ritenuto dalla cultura del loro tempo – ma sempre come opera umana nel senso più alto, da onorare in tutte le sue espressioni.

2. Il valore profetico della Rerum novarumIl commino della storia è contrassegnato dalle profonde trasformazioni e dalle esaltanti conquiste del lavoro, ma anche dallo sfruttamento di tanti lavoratori e dalle offese alla loro dignità. La seconda rivoluzione industriale, alla fine dell’800, lanciò alla Chiesa una grande sfida, alla quale il Magistero rispose con la forza della profezia, affermando principi di validità universale e di perenne attualità, a sostegno dell’uomo che lavora e dei suoi diritti. La questione riguardava soprattutto i Paesi più industrializzati dell’Europa occidentale e anche l’Italia. A fronte di tale situazione Leone XIII, il quale già da Vescovo aveva dimostrato una grande sensibilità per le questioni sociali, promulgava, il 15 maggio 1891, l’Enciclica Rerum novarum. Il documento intendeva anzitutto contrastare sul piano dottrinale il liberismo economico, da cui nasce il capitalismo, e il socialismo collettivista. La Rerum novarum respinge entrambi, anche con espressioni durissime, sostiene pure il diritto di associazione e invita fortemente alla cooperazione, definita vera e propria “amicizia”, fra la classe lavoratrice e quella padronale. Afferma infine la liceità dell’intervento dello Stato nell’economia di un Paese per garantire, nel rispetto della libertà personale e delle diverse categorie, la giustizia e l’armonia della vita sociale. La Rerum novarum ha avuto un’enorme influenza nel mondo Cattolico italiano ed europeo, suscitando anche l’impegno di molti per la costituzione di associazioni e cooperative. Va infine ribadito che con questa Enciclica ha avuto inizio, in modo organico e continuativo, il magistero sociale della Chiesa.

3. La dignità del lavoro – Il lavoro umano ha una duplice dimensione: oggettiva e soggettiva. In senso oggettivo è l’insieme di attività, risorse, strumenti e tecniche di cui l’uomo si serve per produrre beni e servizi. In senso soggettivo è l’agire dell’uomo in quanto persona, capace di operare in modo responsabile, razionale e programmato. La componente oggettiva va subordinata alla realizzazione dell’uomo e quindi alla dimensione soggettiva, grazie alla quale è possibile affermare che il lavoro è per l’uomo e non l’uomo per il lavoro. Il lavoro possiede infine un’intrinseca dimensione sociale, in quanto si intreccia naturalmente con quello di altri uomini. E veniamo al rapporto tra lavoro e capitale. Il lavoro, per il suo carattere soggettivo o personale, è superiore ad ogni altro fattore che concorre alla produzione: questo principio vale, in particolare, rispetto al capitale. Ma è evidente che, nel processo produttivo, il lavoro e il capitale sono complementari, “Né il capitale può stare senza il lavoro, né il lavoro senza il capitale”, dice la Rerum novarum. Ne può conseguire la partecipazione dei lavoratori alla proprietà, alla gestione o agli utili di un’azienda. Per la Dottrina sociale è un argomento che, data la sua importanza per i lavoratori e per la coesione sociale, va attentamente riconsiderato e approfondito. Anche le nuove tecnologie e conoscenze, comprese quelle utilizzate nei processi produttivi, costituiscono un capitale e hanno quindi una destinazione universale come quella di tutti i beni e come tali dovrebbero essere assoggettate a particolari norme giuridiche e a regole sociali. Potrebbero dare un contributo decisivo alla promozione del progresso nel mondo, ma rischiano di diventare fonte di disoccupazione e di ampliamento del distacco tra zone sviluppate e zone di sottosviluppo se rimangono accentrate nei Paesi più ricchi o nelle mani di ristretti gruppi economici autorteferenti.

4. Il diritto al lavoro – Il lavoro è un diritto fondamentale ed è un bene per l’uomo, utile e degno di lui perché adatto ad esprimere e ad accrescere la dignità umana. Il lavoro è poi necessario per formare e mantenere una famiglia, per avere diritto alla proprietà, per contribuire al bene comune della società. È un bene di tutti, che deve essere disponibile per tutti. La “piena occupazione” è un obiettivo doveroso per ogni ordinamento economico orientato alla giustizia e al bene comune e chiama in causa le responsabilità dello Stato, al quale compete di promuovere politiche tali da favorire la creazione di opportunità lavorative incentivando a questo scopo il mondo produttivo. Di fronte, poi, alle dimensioni planetarie rapidamente assunte dalle relazioni economico-finanziarie e dal mercato del lavoro, si deve promuovere un’efficace collaborazione internazionale fra gli Stati. Attualmente una particolare attenzione va riservata: al lavoro femminile e minorile; al lavoro degli immigrati, che va considerato anche quale risorsa specie nei territori di immigrazione nei quali la manodopera locale è insufficiente o non disposta a fornire il proprio contributo lavorativo in determinati settori; alla prevenzione delle varie forme di sfruttamento; al lavoro agricolo, che mantiene un ruolo sociale, culturale ed economico importante nell’economia di molti Paesi ed è importante per la salvaguardia dell’ambiente naturale, ma deve affrontare numerosi problemi mano a mano che l’economia diventa sempre più globalizzata.

5. Diritti dei lavoratori – I diritti dei lavoratori, come tutti gli altri diritti umani, si basano sulla natura della persona e sulla sua trascendente dignità. Il magistero sociale della Chiesa ne ha elencato i principali, auspicandone il riconoscimento da parte delle leggi. Si ricordano in proposito:

  • il diritto all’equa remunerazione, ivi compresi i “carichi di famiglia”;
  • il diritto al riposo giornaliero e festivo;
  • il diritto alla salvaguardia della dignità e personalità sul luogo di lavoro;
  • il diritto a convenienti sovvenzioni in caso di disoccupazione;
  • il diritto all’assicurazione per malattia e infortuni;
  • il diritto alla pensione;
  • i diritti collegati alla maternità;
  • il diritto di riunione e associazione;
  • il diritto di sciopero.

Chi può, credente o no, ha il dovere di impegnarsi perché vengano gradualmente riconosciuti.

6. Solidarietà tra i lavoratori – Il magistero sociale riconosce il ruolo fondamentale svolto dai sindacati dei lavoratori, espressione del diritto di associarsi, per difendere i diritti dell’uomo impegnato nel lavoro. Nella visione del magistero sociale i sindacati sono dunque, in primo luogo, promotori di giustizia sociale. Ma la funzione del sindacato è essenziale anche quale possibile strumento di solidarietà. Oggi i sindacati, in un contesto socio-economico radicalmente diverso rispetto ai decenni trascorsi, sono chiamati ad agire in forme nuove, ampliando anche il raggio della propria azione in modo che siano tutelati i gruppi più deboli, quali quelli dei lavoratori con contratti atipici o a tempo determinato, i disoccupati, gli immigrati, i lavoratori in mobilità, i cassintegrati e via dicendo.

7. Le “res novae” (cose nuove) del mondo del lavoro – Nel mondo occidentale il lavoro si colloca oggi nella fase di passaggio da un’economia di tipo industriale ad un’economia essenzialmente centrata sui servizi e sull’innovazione tecnologica. Ne derivano conseguenze diverse, la più nota e appariscente è il passaggio dal lavoro a tempo indeterminato a un percorso lavorativo segnato da una pluralità di attività lavorative, ricco di promesse, ma anche carico di interrogativi preoccupanti. Per i grandi Paesi emergenti e per il resto del mondo il discorso è diverso, complesso e articolato, ma anche per essi valgono i principi di carattere generale indicati in precedenza: riconoscimento della dignità dell’uomo che lavora e che lo colloca di gran lunga al di sopra di ogni altro “fattore della produzione”, equità e adeguatezza del salario, diritti vari. Su un piano più generale, di fronte alle “res novae” del mondo del lavoro la Dottrina sociale della Chiesa invita in primo luogo a non ritenere, come invece fanno taluni sociologi ed economisti, che i mutamenti in corso risultino necessari e inevitabili. La realtà è infatti che il fattore decisivo di questa fase di cambiamento è ancora una volta l’uomo, con la sua libertà. Egli può e deve farsi carico dei mutamenti anzidetti, correggendone le distorsioni e indirizzando le cose in modo che esse giovino alla crescita della persona, della famiglia, della società e dell’intera famiglia umana.

Indice dei podcast trasmessi [QUI]

Foto di copertina: Ambrogio Lorenzetti, Effetti del Buon Governo in Città (dettaglio) (fa parte di Allegoria ed Effetti del Buono e del Cattivo Governo, una serie di affreschi realizzati da Lorenzetti, contemporaneo al periodo del Governo dei Nove, volendo dare una rappresentazione del governo e delle conseguenze positive dello stesso nella società, e nella vita nella Città di Siena), 1338-40, affresco su parete, 200×720 cm, Sala della Pace, Palazzo Pubblico, Siena, Italia.
«Amate la giustizia voi che governate questa terra»
Gli affreschi del Buon e del Cattivo Governo di Siena
In Toscana, i frutti più nobili del lavoro e della creatività umana risalgono all’epoca in cui le città raggiunsero in Italia un livello di vita avanzatissimo e costituirono degli Stati il cui obiettivo non era la potenza ma il benessere dei cittadini. La riproduzione più significativa di questa epoca è quella degli affreschi del Buon e del Cattivo Governo, dipinti fra il 1337 ed il 1339 da Ambrogio Lorenzetti nella Sala dei Nove del Palazzo Pubblico di Siena e che rimangono di una grande importanza per il mondo contemporaneo. Furono commissionati ad Ambrogio Lorenzetti dal Governo dei Nove, che governò Siena dal 1287 al 1355, nel momento in cui la città è all’apogeo della sua potenza e della sua ricchezza ed è una delle quindici città più importanti d’Europa. Una potenza ed una ricchezza che Siena deve alla Via Francigena, una rete di strade e stradine che seguono i pellegrini provenienti dalla Francia per andare a Roma, che è anche un’arteria fondamentale per gli scambi ed il commercio fra l’Oriente e l’Occidente. Grazie a questa strada i mercanti senesi possono esportare i loro beni verso il nord dell’Europa ed importare d’Oriente spezie, tessuti e pietre preziose, come gli stili artistici ed i colori che ne fanno ancora il suo splendore. Con questi affreschi, Lorenzetti è chiamato a fare l’elogio del modello politico sofisticato della Repubblica di Siena.
Nell’allegoria del Buon Governo, la dama vestita di rosso porpora ed oro è la Giustizia, con la frase Amate la giustizia voi che governate questa terra, che apre il Libro della Saggezza. La stessa frase si legge nella pergamena che Gesù tiene in mano nella Maestà di Simone Martini, che si trova nella Sala del Mappamondo, dove si riuniva il Gran Consiglio di Siena, il Parlamento della Città. È la frase che Dante vede apparire nel cielo del Paradiso.
Le altre due figure che sono al centro del dipinto, sono la Saggezza e la Concordia, che sono legate da una corda ai cittadini che a loro volta la passano al Comune di Siena, rappresentato da una persona vestita in bianco e nero, i colori della Città. Tutti i dettagli dell’allegoria fanno riferimento alla concezione filosofica e del mondo di Aristotele e di San Tommaso d’Aquino, che sono l’essenza della Divina Commedia.

Nelle immagini che riproducono gli effetti del Buon Governo, Lorenzetti ha dipinto le sue caratteristiche e le sue conseguenze. Tutti si danno da fare e lavorano ad ogni angolo di strada; i contadini scambiano i loro prodotti e parlano con gli abitanti della città. I bambini giocano. Le fanciulle danzano, una donna in rosso convola a nozze e fonda una nuova famiglia, in un quadro di pace e serenità. Un’atmosfera che si oppone a quella di guerra e di distruzione provocata dal cattivo governo, rappresentato nell’allegoria del cattivo governo, i suoi effetti in città ed i suoi effetti in campagna.

L’allegoria del Cattivo Governo è dominata da una figura con le corna, il tiranno, che è strabico. Il tiranno non è per Lorenzetti, e la sua epoca, il dittatore. Il tiranno è colui che non pensa che ai suoi interessi e non vede il bene comune.
Nel 1310, il governo di Siena ha fatto tradurre gli Statuti della Città in toscano, affinché tutti i Senesi possano capire le leggi e le regole della vita comune. Nel 1337, commissionando gli affreschi a Lorenzetti, il Governo dei Nove vuole dire a tutti i cittadini, anche coloro che non sanno leggere, che la miglior forma di governo possibile è la repubblica.
I 9 che componevano il governo della Repubblica di Siena assumono il loro compito a rotazione, per un periodo di 3 a 6 mesi, restano rinchiusi nel Palazzo durante tutto il periodo del loro mandato per essere totalmente a servizio dei loro ideali e dedicarsi interamente alla missione del Bene Comune, che si oppone all’interesse particolare. Il nome originario degli affreschi è “il Bene Comune e la Pace” ed è solamente nel XVII secolo che vengono chiamati “Il Buon e il Cattivo Governo”.
Gli affreschi del Buon e del Cattivo Governo fanno comprendere che è sul rispetto dei valori etici come la giustizia, la saggezza, la concordia, che riposa il buon governo, quello che assicura il “Bene Comune”, il bene di tutti. Essi fanno vedere che è nelle città che è nato quel sistema di governo straordinario che è stato quello delle repubbliche italiane del Medio Evo, le Città-Stato, in cui un terzo dei cittadini partecipavano concretamente alla vita pubblica e politica. Essi ricordano che queste Città-Stato avevano fondato la loro potenza e la loro ricchezza sul commercio e lo scambio con il resto del mondo e che quelle società fiorenti furono il punto di partenza del Rinascimento, che avrebbe contribuito allo sviluppo dell’Europa e dell’umanità.

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