Podcast 2-51 – Dottrina Sociale della Chiesa – Terza parte: Dalla “Caritas in veritate” alla “Fratelli tutti”
Dopo la pubblicazione dell’Enciclica Rerum novarum, data la rilevanza dell’argomento e le problematiche che si sono via via presentate durante il trascorrere del tempo, il Magistero ha continuato anche successivamente a pronunciarsi in maniera autorevole mantenendo, certo, quello che di immodificabile permane nel suo insegnamento secondo la Scrittura e la Tradizione, ma aggiornando la sua ortoprassi in relazione ai cambiamenti epocali, sociali, antropologici ed economici succedutisi nel tempo.
Qui cercherò di sintetizzare il cammino dottrinale svolto dai due ultimi Sommi Pontefici relativo alla Dottrina Sociale. Mi riferisco in particolare alla Enciclica Caritas in veritate di Papa Benedetto XVI, di venerata memoria ed alle Encicliche Laudato sì e Fratelli tutti di Papa Francesco, che Dio ci conservi per lunghi anni.
La Caritas in veritate di Benedetto XVI è l’ultimo riquadro di un ideale “trittico”, iniziato con la Deus caritas est e continuato con la Spe salvi. È il seguito ideale di un discorso organico incentrato sulla categoria fondante della nostra fede: l’amore reciproco tra Dio e l’uomo. Il medesimo amore per l’uomo che caratterizza la prima Enciclica e attraversa per intero la Seconda, ritorna nella Terza attraverso una specifica attenzione alle problematiche sociali. “Solo nella verità la carità risplende e può essere autenticamente vissuta. La verità è luce che dà senso e valore alla carità” (N. 3). E ancora: “La Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire e non pretende minimamente di intromettersi nella politica degli Stati. Ha però una missione di verità da compiere, in ogni tempo ed evenienza, per una società a misura dell’uomo, della sua dignità, della sua vocazione” (N. 9).
Con tale premessa, si intrecciano nell’ambito del testo riflessioni propriamente teologiche, analisi economiche, implicazioni di ordine politico, nazionale ed internazionale, né mancano cenni a una serie di questioni scottanti, dalla salvaguardia e promozione della pace alla presa di coscienza della questione ambientale. Va notato che, nonostante la premessa, l’Enciclica indica anche una serie di possibili interventi in ambito politico ed economico, grazie ai quali potrà essere possibile invertire il corso delle cose che oggi appare, sotto molti aspetti, inquietante.
Nell’Introduzione il Papa ricorda che “la carità è la via maestra della Dottrina Sociale della Chiesa”. Ma avverte che “un Cristianesimo di carità senza verità può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza sociale, ma marginali”.
Nel Capitolo primo, Papa Benedetto XV, citando l’Enciclica di Paolo VI Populorum progressio, ribadisce “l’imprescindibile importanza del Vangelo per la costruzione della società secondo libertà e giustizia”. Le cause del sottosviluppo stanno soprattutto nella non osservanza del Vangelo e quindi nella mancanza di fraternità fra gli uomini e i popoli.
Nel Capitolo secondo il Papa tratta dello sviluppo umano nel nostro tempo. Cresce la ricchezza mondiale in termini assoluti, ma aumentano anche le disparità e nascono nuove povertà. Ciò è dovuto all’esclusivo obiettivo del profitto senza ricerca del bene comune, del rispetto della vita umana e della sua dignità come fine ultimo.
Nel Capitolo terzo, il Papa affronta il tema della fraternità nello sviluppo economico e nella società civile che hanno bisogno, se vogliono essere autenticamente umani, di fare spazio al principio di gratuità come espressione di fraternità” (N. 34). Il Papa sottolinea che questo vale in particolare per il “mercato”: “La logica mercantile va finalizzata al perseguimento del bene comune di cui deve farsi carico anche e soprattutto la comunità politica”. La grande sfida che abbiamo davanti a noi è di mostrare, a livello sia di pensiero e sia di comportamenti, che non solo i tradizionali principi dell’etica sociale non possono venire trascurati o attenuati, ma anche che nei rapporti mercantili la logica del dono come espressione della fraternità possono e devono trovare posto entro la normale attività economica (N. 36) affinché essa sia alla base di una “nuova” economia a servizio dell’uomo, un’economia formalmente e sostanzialmente “civile”.
Nel Capitolo quarto, il Pontefice dimostra come l’economia ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento. E non di un’etica qualsiasi, bensì di un’etica “amica della persona” (N. 45). La centralità della persona dev’essere anche il principio-guida degli interventi nella cooperazione internazionale (N. 47). Il Papa ricorda a questo punto che il tema dello sviluppo è fortemente collegato alla qualità dei rapporti dell’uomo con l’ambiente naturale (N. 48). L’Enciclica ritorna ad affermare con forza il valore della vita e il suo armonioso inserimento nell’ambiente, prefigurando l’approfondimento e completamento che sarà poi operato dall’Enciclica Laudato sì di Papa Francesco. Afferma infatti: ”È una contraddizione chiedere alle nuove generazioni il rispetto dell’ambiente naturale quando l’educazione e le leggi non le aiutano a rispettare se stesse”. “Il libro della natura è uno ed indivisibile, sul versante dell’ambiente come sul versante della vita, del matrimonio, della famiglia, delle relazioni sociali, in una parola dello sviluppo umano integrale” (N. 51).
Il “cuore” del Capitolo quinto è ricapitolato nel titolo che evidenzia come “lo sviluppo dei popoli dipende soprattutto dal riconoscimento di essere una sola famiglia, che collabora in vera comunione ed è costituita da soggetti che non vivono puramente e semplicemente l’uno accanto all’altro” (N. 53). E poi aggiunge che “l’esclusione della religione dall’ambito pubblico come, per altro verso, il fondamentalismo religioso impediscono l’incontro tra le persone e la loro collaborazione per il progresso dell’umanità perché con entrambi si perde la possibilità di un dialogo fecondo e di una proficua collaborazione tra la ragione umana e la fede religiosa” (N. 56). Nell’ambito della necessaria ed auspicata “collaborazione” della famiglia umana, Papa Benedetto esorta quindi gli Stati ricchi a “destinare maggiori quote” del Prodotto Interno Lordo per un vero sviluppo, anche nel rispetto degli impegni sottoscritti (N. 60). Il Papa affronta successivamente il “fenomeno epocale” delle migrazioni. “Ogni migrante è una persona umana che possiede diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione” (N. 62). Il Pontefice mette infine in evidenza il nesso tra disoccupazione e povertà e rilancia l’appello del predecessore in favore della qualità del lavoro.
Il Capitolo sesto è dedicato alla tecnica. Nello sviluppo dei popoli, osserva il Pontefice, “la tecnica ha un volto ambiguo”. Nata dalla creatività umana, attrae fortemente l’uomo, perché lo sottrae alle limitazioni fisiche e ne allarga l’orizzonte. Ma la libertà umana deve sempre rispondere all’attrattiva della tecnica con decisioni che siano frutto di responsabilità morale (N. 70). In particolare il Papa ricorda che “campo primario e cruciale della lotta culturale tra l’assolutismo della tecnica e la responsabilità morale dell’uomo è oggi quello della bioetica” e afferma che anche in questo campo ragione e fede debbono aiutarsi a vicenda. “Solo assieme salveranno l’uomo” (N. 74).
La conclusione è una efficace sintesi dell’ Enciclica: “Solo se pensiamo di essere chiamati in quanto singoli e in quanto comunità a far parte della famiglia di Dio come suoi figli, saremo capaci di produrre un nuovo pensiero e di esprimere nuove energie a servizio di un vero umanesimo integrale… La maggiore forza a servizio dello sviluppo è quindi un umanesimo cristiano, che ravvivi la carità e si faccia guidare dalla verità, accogliendo l’una e l’altra come dono permanente di Dio. La disponibilità verso Dio apre alla disponibilità verso i fratelli e verso una vita intesa come compito solidale e gioioso” (N. 78).
Sei anni dopo la promulgazione della Caritas in veritate, il 24 maggio 2015, solennità di Pentecoste, veniva promulgata l’Enciclica Laudato sì” Papa Francesco in cui parla di ecologia come espressione della economia del “oikos”, in greco “casa di tutti” o “casa comune”. Il Documento prende il nome dal versetto di San Francesco d’Assisi nel Cantico delle creature ed è molto più di una Lettera pastorale sull’ambiente, è un grandioso affresco sul mondo nel quale la scienza, l’economia, i problemi sociali, l’agire umano e la politica non sono integrati in un “sistema” congruente e “convivono” in quella “casa” che è appunto oggetto dell’“ecologia”.
Capitolo primo. Il punto di inizio dell’Enciclica è un “ascolto” della situazione, a partire dalle migliori acquisizioni scientifiche in materia ambientale oggi disponibili. Si parte da alcuni aspetti della crisi ecologica maggiormente urgenti e preoccupanti: i mutamenti climatici, il cui impatto ricade soprattutto sui più poveri, la questione dell’acqua, la tutela della biodiversità. Per questi problemi mancano purtroppo nel mondo una cultura adeguata e la disponibilità a cambiare stili di vita, di produzione e di consumo (N. 59).
Capitolo secondo. Il Papa affronta i temi ambientali ed ecologici a partire dai testi scritturistici della tradizione ebraico-cristiana. L’Enciclica si rivolge a tutti, anche a coloro che ritengono la fede irrilevante o irrazionale, oppure una “sottocultura”, che dev’essere semplicemente tollerata. In estrema sintesi, anche solo i “titoli” delle sezioni di cui il capitolo si compone possono dare un’idea degli argomenti affrontati, oltre che favorire l’eventuale diretta consultazione:
1. La luce che la fede offre.
2. La sapienza dei racconti biblici.
3. Il mistero dell’universo.
4. Il messaggio di ogni creatura nell’armonia di tutto il creato.
5. Una comunione universale.
6. La destinazione comune dei beni.
7. Lo sguardo di Gesù.
Capitolo terzo. Le cause profonde della crisi ecologica e ambientale del nostro tempo sono affrontate dal Papa alla luce del “paradigma tecnocratico dominante”, che porta “a credere che ogni acquisto di potenza sia semplicemente progresso, accrescimento di sicurezza, di utilità, di benessere, di forza vitale, di pienezza di valori”, come se la realtà, il bene e la verità sbocciassero spontaneamente dal potere stesso della tecnologia e dell’economia.
Capitolo quarto. In esso, Papa Francesco affronta la parte propositiva dell’Enciclica alla luce di una ecologia integrale, cioè che parta dal convincimento che l’uomo è parte integrante della natura e dell’ambiente in cui vive. Quando parliamo di ambiente facciamo riferimento anche a una particolare relazione: quella tra la natura e la società che la abita che ci impedisce di considerare la natura come qualcosa di separato da noi o come una pura cornice della nostra vita. Siamo inclusi in essa, siamo parte di essa e ne siamo compenetrati. Per questo motivo, un’ecologia che sia veramente “integrale” deve comprendere chiaramente le dimensioni umane e sociali considerate non separatamente, ma nelle loro interazioni.
Nel Capitolo quinto il Papa non si limita a enucleare dei principi, ma, in linea con quanto fatto da Papa Benedetto XVI, suggerisce anche alcune linee di orientamento e di azione, intese come “grandi percorsi di dialogo che ci aiutino ad uscire dalla spirale di autodistruzione in cui stiamo affondando”. Sono cinque i percorsi indicati dal Pontefice:
1. Il dialogo sull’ambiente nella politica internazionale.
2. Il dialogo verso nuove politiche nazionali e locali.
3. Dialogo e trasparenza nei processi decisionali.
4. Politica ed economia in dialogo per la pienezza umana.
5. Le religioni nel dialogo con le scienze.
Nel Capitolo sesto, l’ultimo del Documento, il Pontefice suggerisce alcune riflessioni per cambiare quell’umanità a cui manca la coscienza di un’origine comune, di una mutua appartenenza e di un futuro condiviso da tutti. Per questo motivo è necessaria un’educazione ed una “spiritualità ecologica”, per lo sviluppo di nuove convinzioni, nuovi atteggiamenti e stili di vita. Il capitolo si compone di nove sezioni:
1. Puntare su un altro stile di vita.
2. Educare all’alleanza tra l’umanità e l’ambiente.
3. La conversione ecologica.
4. Gioia e pace.
5. Amore civile e politico.
6. I segni sacramentali e il riposo celebrativo.
7. La Trinità e la relazione tra le creature.
8. La Regina di tutto il creato.
9. Al di là del sole.
Papa Francesco conclude la sua enciclica con due preghiere, “una che possiamo condividere tutti quanti crediamo in un Dio creatore onnipotente”, e un’altra “affinché noi Cristiani sappiamo assumere gli impegni verso il creato che il Vangelo di Gesù ci propone”.
Dopo la Laudato sì, l’altra grande Enciclica di carattere sociale di Papa Francesco è la Fratelli tutti, “data ad Assisi presso la tomba di San Francesco, il 3 ottobre, vigilia della Festa del Poverello, dell’anno 2020”.
Negli otto capitoli di cui il testo si compone c’è un affresco degli abissi in cui è attualmente immersa l’umanità: divisioni, fame, soprusi, tratta, umiliazioni, razzismo, migrazioni, ingiustizie, emarginazioni, terrorismo… Ma, chiarisce il Pontefice, “pur avendola scritta a partire dalle mie convinzioni cristiane, che mi animano e mi nutrono, ho cercato di farlo in modo che la riflessione si apra al dialogo con tutte le persone di buona volontà” (N. 6). La finalità del Documento è quella di “spingere” tutti gli uomini a una vera fraternità universale, che superi anche il “vuoto” di tanti slogan umanitari. Un “perno” attorno al quale ruota il forte richiamo alla fraternità (e alla responsabilità) è la parabola evangelica del Buon Samaritano, svolta nel secondo capitolo. Per il Papa questo è il modello a cui ispirarsi a qualunque religione o posizione politica si appartenga. Quello che il Pontefice chiede non è uno slancio sentimentale e generoso, ma una vera conversione alla verità, una parola che va di pari passo con la carità (N.184). E questa richiesta è fatta non tanto – o non solo – ai membri delle religioni che, avendo un’origine divina comune, accolgono più facilmente la fraternità, ma al mondo dell’economia, che vive della dittatura del mercato senza etica (N. 109), della politica, che annega nel “nominalismo declamatorio” (N. 188) e ai “Paesi forti”, che dissanguano le culture dei Paesi poveri (N. 51). Nel testo c’è la condanna del “populismo”, di moda oggi, ma anche del “relativismo”, tanto amato dal politicamente corretto (N. 206).
Papa Francesco esprime con urgenza questa richiesta perché “la terza guerra mondiale a pezzi”, di cui Lui ha spesso parlato, si sta diffondendo sempre di più, coinvolgendo nuovi Paesi perché le sorti delle Nazioni sono tra loro fortemente connesse nello scenario mondiale (N. 259).
Un altro elemento che spinge all’urgenza è che le ideologie hanno abbandonato “ogni pudore”, scatenando oppressioni, invasioni, sequestri, violazioni dei diritti umani in modo sfacciato. Il Papa ha un “sogno” che lo porta a suggerire che i diritti umani siano davvero universali e che ogni uomo possa vivere in un mondo senza frontiere. Vi è anche la richiesta per una riforma dell’ONU, in cui anche le Nazioni più povere contino effettivamente alla pari delle altre (N. 173), mediante: un condono del debito estero dei Paesi più miseri (N. 126), un potenziamento della destinazione universale della proprietà privata (N. 123), la fine del commercio delle armi, soprattutto nucleari (N. 262).
Tutto questo si basa certo su un impegno della Comunità internazionale, ma è “preparato” da una cultura dell’incontro. “Armiamo i nostri figli con le armi del dialogo! Insegniamo loro la buona battaglia dell’incontro!” (N. 217). Anche questa Enciclica, come la Laudato sì, si chiude con due invocazioni a Dio, cioè con una “Preghiera al Creatore” e una “Preghiera cristiana ecumenica”, precedute da un Appello alla fratellanza universale, secondo il Beato Charles de Foucauld… che solo identificandosi con gli ultimi arrivò a essere fratello di tutti.
“Che Dio ispiri questo ideale in ognuno di noi. Amen”.
Indice dei podcast trasmessi [QUI]

Foto di copertina: Ambrogio Lorenzetti, Effetti del Buon Governo in Città (dettaglio) (fa parte di Allegoria ed Effetti del Buono e del Cattivo Governo, una serie di affreschi realizzati da Lorenzetti, contemporaneo al periodo del Governo dei Nove, volendo dare una rappresentazione del governo e delle conseguenze positive dello stesso nella società, e nella vita nella Città di Siena), 1338-40, affresco su parete, 200×720 cm, Sala della Pace, Palazzo Pubblico, Siena, Italia.
«Amate la giustizia voi che governate questa terra»
Gli affreschi del Buon e del Cattivo Governo di Siena
In Toscana, i frutti più nobili del lavoro e della creatività umana risalgono all’epoca in cui le città raggiunsero in Italia un livello di vita avanzatissimo e costituirono degli Stati il cui obiettivo non era la potenza ma il benessere dei cittadini. La riproduzione più significativa di questa epoca è quella degli affreschi del Buon e del Cattivo Governo, dipinti fra il 1337 ed il 1339 da Ambrogio Lorenzetti nella Sala dei Nove del Palazzo Pubblico di Siena e che rimangono di una grande importanza per il mondo contemporaneo. Furono commissionati ad Ambrogio Lorenzetti dal Governo dei Nove, che governò Siena dal 1287 al 1355, nel momento in cui la città è all’apogeo della sua potenza e della sua ricchezza ed è una delle quindici città più importanti d’Europa. Una potenza ed una ricchezza che Siena deve alla Via Francigena, una rete di strade e stradine che seguono i pellegrini provenienti dalla Francia per andare a Roma, che è anche un’arteria fondamentale per gli scambi ed il commercio fra l’Oriente e l’Occidente. Grazie a questa strada i mercanti senesi possono esportare i loro beni verso il nord dell’Europa ed importare d’Oriente spezie, tessuti e pietre preziose, come gli stili artistici ed i colori che ne fanno ancora il suo splendore. Con questi affreschi, Lorenzetti è chiamato a fare l’elogio del modello politico sofisticato della Repubblica di Siena.
Nell’allegoria del Buon Governo, la dama vestita di rosso porpora ed oro è la Giustizia, con la frase Amate la giustizia voi che governate questa terra, che apre il Libro della Saggezza. La stessa frase si legge nella pergamena che Gesù tiene in mano nella Maestà di Simone Martini, che si trova nella Sala del Mappamondo, dove si riuniva il Gran Consiglio di Siena, il Parlamento della Città. È la frase che Dante vede apparire nel cielo del Paradiso.
Le altre due figure che sono al centro del dipinto, sono la Saggezza e la Concordia, che sono legate da una corda ai cittadini che a loro volta la passano al Comune di Siena, rappresentato da una persona vestita in bianco e nero, i colori della Città. Tutti i dettagli dell’allegoria fanno riferimento alla concezione filosofica e del mondo di Aristotele e di San Tommaso d’Aquino, che sono l’essenza della Divina Commedia.

Nelle immagini che riproducono gli effetti del Buon Governo, Lorenzetti ha dipinto le sue caratteristiche e le sue conseguenze. Tutti si danno da fare e lavorano ad ogni angolo di strada; i contadini scambiano i loro prodotti e parlano con gli abitanti della città. I bambini giocano. Le fanciulle danzano, una donna in rosso convola a nozze e fonda una nuova famiglia, in un quadro di pace e serenità. Un’atmosfera che si oppone a quella di guerra e di distruzione provocata dal cattivo governo, rappresentato nell’allegoria del cattivo governo, i suoi effetti in città ed i suoi effetti in campagna.

L’allegoria del Cattivo Governo è dominata da una figura con le corna, il tiranno, che è strabico. Il tiranno non è per Lorenzetti, e la sua epoca, il dittatore. Il tiranno è colui che non pensa che ai suoi interessi e non vede il bene comune.
Nel 1310, il governo di Siena ha fatto tradurre gli Statuti della Città in toscano, affinché tutti i Senesi possano capire le leggi e le regole della vita comune. Nel 1337, commissionando gli affreschi a Lorenzetti, il Governo dei Nove vuole dire a tutti i cittadini, anche coloro che non sanno leggere, che la miglior forma di governo possibile è la repubblica.
I 9 che componevano il governo della Repubblica di Siena assumono il loro compito a rotazione, per un periodo di 3 a 6 mesi, restano rinchiusi nel Palazzo durante tutto il periodo del loro mandato per essere totalmente a servizio dei loro ideali e dedicarsi interamente alla missione del Bene Comune, che si oppone all’interesse particolare. Il nome originario degli affreschi è “il Bene Comune e la Pace” ed è solamente nel XVII secolo che vengono chiamati “Il Buon e il Cattivo Governo”.
Gli affreschi del Buon e del Cattivo Governo fanno comprendere che è sul rispetto dei valori etici come la giustizia, la saggezza, la concordia, che riposa il buon governo, quello che assicura il “Bene Comune”, il bene di tutti. Essi fanno vedere che è nelle città che è nato quel sistema di governo straordinario che è stato quello delle repubbliche italiane del Medio Evo, le Città-Stato, in cui un terzo dei cittadini partecipavano concretamente alla vita pubblica e politica. Essi ricordano che queste Città-Stato avevano fondato la loro potenza e la loro ricchezza sul commercio e lo scambio con il resto del mondo e che quelle società fiorenti furono il punto di partenza del Rinascimento, che avrebbe contribuito allo sviluppo dell’Europa e dell’umanità.