Il significato per noi oggi del Primo Concilio Ecumenico di Nicea del 325

È stato pubblicato sul canale Spreaker dell’Ufficio Stampa della Real Commissione per l’Italia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio il Podcast in occasione del 1700° anniversario del Primo Concilio Ecumenico della storia a cura del Referente per la Formazione della Delegazione di Roma e Città del Vaticano, il Prof. Enzo Cantarano, Cavaliere di Merito con Placca d'Argento. Oggi, il mondo Cristiano fa memoria dell'apertura del Concilio di Nicea, che si svolse nel 325 sotto l’egida dell’Imperatore Costantino I, colui che adottò il Cristianesimo come religione ufficiale dell’Impero Romano, a seguito della Battaglia di Ponte Milvio, che vinse sotto il segno della Croce. In un momento di profonda trasformazione dell’Impero, Costantino cercava l’unità religiosa per consolidare la stabilità politica. La Chiesa delle origini, fino ad allora perseguitata, però era profondamente divisa da contrasti teologici interni, il più grave dei quali riguardava la natura di Cristo. Come già nella prima udienza con i rappresentanti della stampa mondiale, ieri Papa Leone XIV “ha assicurato il suo vivo desiderio di recarsi in Turchia, entro l'anno in corso e in una data da stabilirsi, per commemorare insieme al Patriarca Ecumenico il 1700° anniversario della convocazione del Primo Concilio Ecumenico di Nicea”.
Concilio di Nicea

Podcast 2-77 – Il significato del Primo Concilio Ecumenico di Nicea del 325 per noi oggi

Il Concilio di Nicea
in prospettiva ecumenica

Il movimento ecumenico non è un percorso rettilineo che conduce direttamente a un lieto futuro. Esso conosce vie secondarie, deviazioni e soste. Certamente, sperimenta anche tempi che potrebbero essere particolarmente favorevoli, come questo anno 2025, in cui si celebra il 1700° anniversario del Primo Concilio Ecumenico della storia della Chiesa, convocato da Costantino, Imperatore e Capo della Chiesa, nel 325 a Nicea e iniziato proprio il 20 maggio.

Quattro aspetti in particolare sono di forte rilevanza ecumenica.

1. La confessione cristologica comune

Il Concilio affrontò innanzitutto questioni dottrinali, come mostra in particolare la Dichiarazione dei 318 Padri: il credo che professa Gesù Cristo come Figlio di Dio, “consustanziale al Padre”. Questa formula può essere compresa soltanto alla luce della violenta disputa divampata nel Cristianesimo di quel tempo, principalmente nella parte orientale dell’Impero Romano, e che ruotava intorno alla questione di come conciliare la confessione di fede in Gesù Cristo quale Figlio di Dio con quella in un unico Dio. La questione cristologica era diventata un “caso problematico del monoteismo Cristiano”.

Soprattutto il teologo Alessandrino Ario propugnava un rigido monoteismo, conforme al pensiero filosofico del tempo, secondo il quale Cristo non può essere “Figlio di Dio”, ma solo un mediatore usato da Dio nel relazionarsi all’essere umano. Il Concilio di Nicea respinse e condannò questa posizione.

Il credo cristologico di Nicea rappresenta una tappa importante, sulla via verso il credo di Nicea-Costantinopoli del 381 che giunse a definire il contenuto della confessione di fede nello Spirito Santo e a formulare così il dogma della Divina Trinità come forma specificamente Cristiana del monoteismo.

Questa confessione di fede non va sottovalutata nella sua importanza ecumenica, perché è condivisa non solo dalle Chiese Orientali, dalle Chiese Ortodosse e dalla Chiesa Romana, ma è comune anche alle comunità ecclesiali nate dalla Riforma. Questa affermazione è di fondamentale rilevanza ecumenica, poiché il ripristino dell’unità della Chiesa richiede il consenso sul contenuto essenziale della fede.

Come ha sottolineato il teologo protestante Wolfhart Pannenberg, il credo niceno-costantinopolitano è legato in modo speciale “a una pretesa di validità nella Chiesa universale ed è stato accolto anche dalla Chiesa primitiva come vincolante per tutti i Cristiani”.

Occuparsi del Concilio di Nicea è importante non solo dal punto di vista storico. Già negli anni Novanta, il Cardinale Joseph Ratzinger ravvisava la vera sfida del Cristianesimo contemporaneo in un “nuovo arianesimo” o, quantomeno, in un “nuovo nestorianesimo”. Infatti, diverse persone, persino tra i Cristiani, accettano l’umanità di Gesù, ma vedono come problematico il credo secondo cui questo Gesù è l’unigenito Figlio di Dio, presente in mezzo a noi come il Risorto. Quindi, è urgente, affermava il Cardinal Ratzinger, che la cristologia abbia il coraggio di “vedere Cristo in tutta la sua grandezza, come lo mostrano insieme i quattro Vangeli nella loro dinamica unità”.

2. La data della Pasqua

Oltre alla confessione cristologica, il Concilio di Nicea si occupò di questioni disciplinari e canoniche, che offrono una buona panoramica dei problemi e delle preoccupazioni pastorali della Chiesa all’inizio del IV secolo. La questione pastorale più importante e insieme più attuale è quella della data di Pasqua, che era, quindi, già controversa nella Chiesa primitiva. Il Concilio stabilì come data per la celebrazione pasquale la domenica successiva al primo plenilunio di primavera. La decisione venne recepita anche nel Calendario, il Gregoriano, rinnovato da Papa Gregorio XIII nel secolo XVI ed accettato in tutto l’Occidente, mentre le Chiese in Oriente continuano a celebrare la Pasqua secondo il calendario giuliano, che era usato in tutta la Chiesa prima del gregoriano e sul quale si era basato anche il Concilio di Nicea del 325.

Nel frattempo sono state proposte e discusse varie date per una celebrazione comune della Pasqua. La soluzione più semplice sarebbe senza dubbio prendere come giorno della morte di Gesù il 7 aprile 30. La disponibilità a trovare una data comune della Pasqua, a condizione che tutte le Chiese Cristiane siano d’accordo, esiste anche oggi. Papa Francesco si è espresso in questo senso, in varie dichiarazioni. Il 1700° anniversario del Concilio di Nicea, offre un’occasione speciale per riprendere questa tematica. Una data comune di Pasqua, potrebbe esprimere meglio la profonda convinzione Cristiana che questa non è solo la festa più antica, ma anche quella più importante della comunità Cristiana e impartirebbe anche un nuovo slancio al cammino ecumenico verso il ripristino dell’unità della Chiesa in Oriente e in Occidente nella fede e nell’amore.

3. La teoria e la prassi della sinodalità

Il Concilio testimonia anche il modo in cui vengono discusse e decise in maniera sinodale questioni controverse di fede e di disciplina nella Chiesa. Pertanto, esso ha un’ulteriore importanza ecumenica, soprattutto quando si considera che vi si radunarono i primi servi di Dio “di tutte le Chiese di tutta Europa, Africa e Asia”, come riporta l’autore Cristiano Eusebio di Cesarea, che fu uno dei padri conciliari e che vide nel Concilio di Nicea una nuova “Pentecoste”. È quindi possibile ravvisare nel Concilio di Nicea l’inizio della modalità sinodale di prendere decisioni. Nell’accezione Cristiana, la parola “sinodo”, cammino insieme, designa la via comune di coloro che credono in Gesù Cristo, il quale ha rivelato e chiamato se stesso “via”, e più precisamente “via, verità e vita” (Gv 14,6).

All’origine, la religione Cristiana era quindi designata come “via” e i Cristiani nella sequela di Cristo erano detti “seguaci della Via” (At 9,2). In questo senso, Giovanni Crisostomo poté affermare che Chiesa è un nome “che significa un cammino comune” e che, pertanto, Chiesa e sinodo sono “sinonimi”.

Il 1700° anniversario del Concilio di Nicea deve allora essere percepito anche come un invito e un’esortazione a trarre un’importante lezione dalla storia e ad approfondire oggi il pensiero sinodale nella comunione ecumenica, ancorandolo alla vita della Chiesa.

Alcuni anni fa, la Commissione Fede e Costituzione del Consiglio Ecumenico delle Chiese ha pubblicato lo studio La Chiesa verso una visione comune in cui si legge: “Tutta la Chiesa è sinodale/conciliare a tutti i livelli della vita ecclesiale – locale, regionale e universale – sotto la guida dello Spirito Santo. Il mistero della vita trinitaria di Dio si riflette nel carattere sinodale o conciliare della Chiesa, e le strutture della Chiesa danno forma a questo carattere per realizzare la vita della comunità come comunione”.

Questo punto di vista è condiviso anche dalla Commissione Teologica Internazionale nel suo documento programmatico La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, dove si constata che la sinodalità è una “dimensione rivelatrice della natura della Chiesa”, avvicinandosi alla “concezione della Chiesa come koinonia”.

Anche Papa Francesco nel 2015, per il cinquantesimo anniversario della creazione del Sinodo dei Vescovi, istituito da San Paolo VI, ha affermato che intraprendere ed approfondire il cammino della sinodalità è ciò “che Dio aspetta dalla Chiesa del terzo millennio” e lo sforzo di edificare una Chiesa sinodale sia anche “gravido di implicazioni ecumeniche”. Per concretizzare questa priorità nella vita della Chiesa, Papa Francesco ha avviato, per la Chiesa universale, il processo sinodale chiamato Per una Chiesa sinodale. Comunione, partecipazione, missione, in cui anche la dimensione ecumenica svolge un ruolo di grande rilievo, come si legge nel Vademecum del Sinodo.

È paradossale, ma non lo si può nascondere: i Concili convocati per riaffermare la fede o per difenderla davanti alle eresie diffuse e quindi per ristabilire l’unità della Chiesa, comportano anche elementi di divisione, che si fanno sentire nei tempi post-conciliari. Già dopo il Concilio di Efeso nel 431 e dopo il Concilio di Calcedonia del 451, le Chiese che non riconobbero le sue decisioni dottrinali cristologiche, e che chiamiamo Chiese Ortodosse Orientali, si separarono dalla Chiesa Imperiale. Uno sguardo alla storia mostra anche che i Concili, e specialmente i grandi Concili del IV e del V secolo, sono diventati importanti fari nella vita della Chiesa e dell’ecumenismo perché hanno indicato la via da percorrere anche nel cuore delle Sacre Scritture. Anche questa lezione può essere appresa studiando il Concilio di Nicea.

4. Sinodalità e autorità

Una delle condizioni storiche di rilevanza è il fatto che questo Concilio fu convocato da un Imperatore, e più precisamente dall’Imperatore Costantino, autodefinitosi isapostolos, cioè “identico ad un apostolo” e, quindi, superiore a qualunque altro dignitario ecclesiastico che, ovviamente, non poteva vantare un simile titolo. L’autocrate ravvisava un grande pericolo per il suo progetto di rafforzare l’unità dell’impero, sulla base dell’unità della fede Cristiana sotto la sua autorità, nella violenta disputa accesasi in quel tempo nella Cristianità intorno alla confessione cristologica. Nel rischio imminente di uno scisma all’interno della Chiesa, l’Imperatore percepiva dunque, principalmente, un problema politico più che un dilemma teologico. Per unire le fazioni avverse, l’Imperatore convocò dunque il Concilio a Nicea in Asia Minore, nelle vicinanze della residenza imperiale di Nicomedia.

Da allora molte cose sono cambiate nel rapporto tra Chiese e potere politico. Nella Chiesa in Oriente e in Occidente si sono sviluppate diverse concezioni del rapporto tra Chiesa e Stato motivate non da problematiche di fede o disciplina, ma solo dal modo di gestire il loro potere terreno.

Abbiamo già affrontato la problematica dai molti e drammatici risvolti in altre sedi (podcast, testi dell’autore,…) alle quali rimandiamo essendo troppo lungo ed impegnativo affrontare una, sia pur sintetica, trattazione dell’argomento.

Questa questione va affrontata nei dialoghi ecumenici, non solo con le Chiese Cattoliche dette Ortodosse, ma anche con le Chiese e Comunità ecclesiali nate dalla Riforma, soprattutto quando esse vedono se stesse come Chiese di Stato, come nel caso della Chiesa d’Inghilterra e di varie Chiese luterane nel nord Europa. Eppure, la questione del rapporto tra Chiesa e Stato è uno dei temi meno affrontati nei dialoghi ecumenici; essa richiederà un’attenzione ecumenica speciale nel futuro. Va da sé che un simile dibattito deve essere condotto nel segno della libertà religiosa da qualsiasi ingerenza del potere, comunque e dovunque ingiustamente declinato ricordando, ex multis, Marco 10,35-44 e Luca 22,24-27. Le Chiese Cristiane, nella comunione ecumenica, possono infatti adoprarsi in maniera credibile in favore della libertà religiosa per tutti i Cristiani e per tutte le comunità ecclesiali, come per tutte le religioni, soltanto se il loro rapporto con lo Stato è conforme al principio della libertà religiosa fondato sulla dignità dell’uomo creato ad immagine di Dio, come mirabilmente ricordato anche dal prezioso e poco noto Documento del Concilio Ecumenico Vaticano II Dignitatis humanae.

Indice dei podcast trasmessi [QUI]

Il Primo Concilio Ecumenico di Nicea

La principale controversia che portò alla convocazione del Concilio Ecumenico di Nicea fu quella legata all’arianesimo, dottrina sviluppata dal presbitero Ario di Alessandria, secondo cui Cristo non era coeterno né consustanziale al Padre, ma una creatura, ovvero un essere umano, sebbene superiore a tutte le altre. Questa visione minava la dottrina della Santissima Trinità e suscitò accese reazioni, soprattutto da parte del Vescovo Atanasio.

L’eresia ariana, già condannata a livello locale, minacciava l’unità della fede Cristiana. L’Imperatore Costantino, preoccupato dal rischio di scismi e tumulti, convocò un concilio ecumenico, cioè universale, per risolvere la questione in modo definitivo. Al Concilio di Nicea parteciparono circa 300 vescovi, provenienti da tutto l’Impero, in particolare dalle province orientali. I lavori furono presieduti dall’Imperatore stesso, il che segnò un precedente importante nel rapporto tra potere spirituale e potere temporale.

Il risultato più rilevante del Concilio di Nicea fu la condanna dell’arianesimo e l’elaborazione del Credo niceno, un testo dottrinale che afferma la consustanzialità (ὁμοούσιος, homoousios in greco) del Figlio con il Padre, sancendo che Gesù Cristo è “Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre”. Quindi, Padre e Figlio sono della stessa sostanza divina.

Venne, inoltre, stabilita la data della Pasqua, che si doveva celebrare la domenica successiva al primo plenilunio di primavera, indipendentemente dalla Pasqua ebraica.

Il Concilio di Nicea segnò un passaggio decisivo nella definizione dell’ortodossia Cristiana. Sebbene l’arianesimo non scomparve subito, il Credo niceno divenne il fondamento della Fede Cristiana, condivisa Cattolici, Ortodossi, Luterani, Anglicani e Vetero-Cattolici.

Si è parlato di un possibile viaggio di Papa Leone XIV per celebrare i 1700 anni del Concilio di Nicea. Un evento che assumerebbe un forte valore simbolico, rilanciando il dialogo ecumenico con la Chiesa Ortodosso e riaffermando il ruolo dei primi concili nel delineare la comune identità Cristiana.

Nel discorso ai Rappresentanti di altre Chiese e Comunità ecclesiali e di altre religioni il 19 maggio 2025 [QUI], Papa Leone XIV ha detto: «La mia elezione è avvenuta mentre ricorre il 1700° anniversario del Primo Concilio Ecumenico di Nicea. Quel Concilio rappresenta una tappa fondamentale per l’elaborazione del Credo condiviso da tutte le Chiese e Comunità ecclesiali. Mentre siamo in cammino verso il ristabilimento della piena comunione tra tutti i cristiani, riconosciamo che questa unità non può che essere unità nella fede. In quanto Vescovo di Roma, considero uno dei miei doveri prioritari la ricerca del ristabilimento della piena e visibile comunione tra tutti coloro che professano la medesima fede in Dio Padre e Figlio e Spirito Santo.
In realtà, quella per l’unità è sempre stata una mia costante preoccupazione, come testimonia il motto che ho scelto per il ministero episcopale: In Illo uno unum, un’espressione di Sant’Agostino di Ippona che ricorda come anche noi, pur essendo molti, «in Quell’unico – cioè Cristo – siamo uno» (Enarr. in Ps., 127, 3). La nostra comunione si realizza, infatti, nella misura in cui convergiamo nel Signore Gesù. Più siamo fedeli e obbedienti a Lui, più siamo uniti tra di noi. Perciò, come Cristiani, siamo tutti chiamati a pregare e lavorare insieme per raggiungere passo dopo passo questa meta, che è e rimane opera dello Spirito Santo».

Foto di copertina: Icona ortodossa orientale raffigurante il Primo Concilio Ecumenico di Nicea.

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