La celebrazione della Santa Messa è stata presieduta alle ore 18.30 dal Priore della Comunità agostiniana di Viterbo, Padre Vito Logoteto, O.S.A. La rappresentanza di Cavalieri della Delegazione della Tuscia e Sabina era guidata dal Delegato, Nob. Avv. Roberto Saccarello, Cavaliere Gran Croce de Jure Sanguinis con Placca d’Oro, che ha esercitato la funzione di Ministro straordinario dell’Eucaristia. La Prima Lettura è stata letta dal Dott. Alessio Marzo, Cavaliere di Merito.
Prima lettura: 2Sam 7,4-5.12-14.16 – Il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre. Salmo responsoriale: Sal 88 – In eterno durerà la sua discendenza. Seconda lettura: Rm 4,13.16-18.22 – Egli credette, saldo nella speranza contro ogni speranza. Vangelo: Mt 1,16.18-21.24 – Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore.

Sposo di colei che sarebbe stata Madre del Verbo fatto carne, Giuseppe è stato prescelto come “guardiano della parola”. Eppure non ci è giunta nessuna sua parola: ha servito in silenzio, obbedendo al Verbo, a lui rivelato dagli angeli in sogno, e, in seguito, nella realtà, dalle parole e dalla vita stessa di Gesù. Anche il suo consenso, come quello di Maria, esigeva una totale sottomissione dello spirito e della volontà. Giuseppe ha creduto a quello che Dio ha detto; ha fatto quello che Dio ha detto. La sua vocazione è stata di dare a Gesù tutto ciò che può dare un padre umano: l’amore, la protezione, il nome, una casa. La gioia di ritrovare Gesù nel Tempio in Giuseppe fu diminuita dal suo rendersi conto che il Bambino doveva compiere una missione per il suo vero Padre: egli era soltanto il padre adottivo. Ma, accettando la volontà del Padre, Giuseppe diventò più simile al Padre, e Dio, il Figlio, gli fu sottomesso. Il Verbo, con lui al momento della sua morte, donò la vita per Giuseppe e per tutta l’umanità. La vita di Giuseppe fu offerta al Verbo, mentre la sola parola che egli affida a noi è la sua vita.

Nella sua omelia, Padre Vito Logoteto, commentando il versetto “Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo” (Mt 1,16), ha spiegato:
«È un versetto “singolare”, poiché tutta la genealogia è costruita come una catena, e per tre volte l’evangelista intreccia una catena di quattordici anelli, ma l’ultimo anello non viene chiuso, bensì rimane aperto, perché in esso è messo in maggior evidenza il legame di derivazione di Gesù da Maria. Dunque, Giuseppe è l’ultimo anello aperto della catena genealogica, nella quale però Gesù viene introdotto da Maria. In verità nella genealogia ci sono altre tre donne (Racab, Rut, la moglie di Uria), oltre a Maria, anche se gli Ebrei non costruivano le genealogie citando le donne e anche questo appare singolare. Maria entra nella genealogia in quanto è da Lei che nasce Gesù. Pertanto l’ultimo anello rimasto aperto avrebbe la funzione di indicare che la nascita di Gesù, oltre ad essere il fine verso cui tende la genealogia, è aperta anche ad un’altra nascita che viene dall’Alto. È ciò che racconta il brano che segue.
In questa prima apparizione, Giuseppe viene presentato come il padre che trasmette la tradizione e la benedizione. Nelle genealogie bibliche, non sempre ai padri succedono esattamente i loro figli carnali. Talvolta sono stilizzate, sono presentate come anelli della tradizione, attraverso i quali si trasmetteva la benedizione. Era il primogenito cha portava la benedizione di Dio, il legame dell’Alleanza divina col suo popolo. La prima funzione del padre è che egli trasmette la benedizione di Dio sui suoi figli, trasmette il fatto che quando qualcuno viene in questo mondo, non è uno che parte da zero, ma si colloca dentro una catena che è appunto la tradizione di famiglia e, più in generale, di un popolo, di una nazione.
Il brano seguente, che pure abbiamo ascoltato stasera, inizia così: “Così fu generato Gesù Cristo”, il testo originale dice: “Ecco quale fu la genesi di Gesù Cristo” (Mt 1,18). Il primo versetto del vangelo di Matteo dice: libro della genesi di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo Quindi il racconto parla di due generazioni: quella orizzontale che avviene attraverso Giuseppe e quella verticale che accade attraverso Maria.
Continua, infatti, il Vangelo: “Essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo” (Mt 1,18b). Il racconto lascia supporre che Giuseppe conosca la situazione di Maria, ma l’evangelista dichiara a noi anticipatamente da dove viene Gesù (da Spirito Santo), creando un effetto di attesa per come si comporterà Giuseppe.
“Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno” (Mt 1,20a).
È interessante notare che i tre racconti su Giuseppe sono ambientati durante tre sogni, illuminando la figura di Giuseppe di Nazareth alla luce e in parallelo con la figura di Giuseppe dell’Antico Testamento, figlio di Israele/Giacobbe, il fratello tra i dodici che fu un grande sognatore: “Giuseppe, figlio di Davide – ecco sentiamo che l’ultimo anello si chiude -, non temere di prendere con te Maria, tua sposa» (Mt 1,20b).
Prendere con sé significa passare dalla prima alla seconda tappa del matrimonio, secondo il rito giudaico. Nel matrimonio ebraico in un primo momento c’è il vero e proprio patto, rompere il quale significava, se volessimo dirlo col linguaggio attuale, divorziare, mentre nel secondo momento si passava alla coabitazione: “Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù» (ivi).
Il compito di Giuseppe è duplice: prendere con sé Maria e dare il nome a Gesù. Dunque, secondo l’apparizione in sogno a Giuseppe, il padre è colui che dà il nome! Anche per noi il modo con cui si riconosce il proprio figlio è dargli il nome. In tal senso è sbagliato chiamare Giuseppe “padre putativo” (presunto, supposto), perché Giuseppe è il padre legale e in quanto tale dà il nome, così com’era previsto dal diritto ebraico.
Quindi il secondo compito del padre è di introdurre il figlio nello spazio della madre, nella casa e di conferire il nome. Ci sono due cose che non ci siamo inventati, ma che sono iscritte dentro di noi: il corpo e il nome! Queste due realtà sono ricevute in dono, nessuno può manometterle, sono il segno che la nostra vita, per l’aspetto più importante, non l’abbiamo creata noi, poiché la vita è un dono ricevuto prima che una conquista fatta.
Ecco allora la seconda funzione del padre: riuscire a dare un volto e un nome, creare una storia umana che proceda oltre. Per questo la mancanza o l’evanescenza o l’evaporazione del padre è drammatica, perché non c’è chi dà il nome al figlio per farlo emergere dal grembo della madre. La funzione del padre e della madre sono profondamente intrecciate tra loro. Dare un nome significa staccare il figlio dal grembo della madre. La prima voce che il bambino sente, diversa da quella della mamma, è esattamente la voce del padre.
«Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa; senza che egli la conoscesse, ella diede alla luce un figlio ed egli lo chiamò Gesù» (Mt 1,24-25).
La terza menzione di Giuseppe si riferisce alla fuga in Egitto: “Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: ‘Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo’. Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto” (Mt 2,13-14).
Qui Erode rivela il suo intento omicida, al contrario di quanto aveva simulato nel suo interessamento con i Magi (Mt 2,7-8). In questa occasione emerge la terza funzione del padre che è quella di essere custode, custode del destino futuro di Gesù. Erode il persecutore non può aver potere su Gesù. Giuseppe preserva i suoi portandoli in una zona franca, come il Giuseppe della Genesi, in Egitto, ha custodito il futuro di Israele.
L’ultimo episodio in cui Giuseppe compare nei Vangeli dell’infanzia è il ritorno dall’Egitto, dove Giuseppe si mostra capace di leggere i “segni dei tempi”. Nel racconto c’è un triplice dirottamento della sua famiglia da parte di Giuseppe: “Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: ‘Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino’. Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea andò ad abitare in una città chiamata Nazareth” (Mt 2,19-21).
Ecco questa è la figura di Giuseppe di Nazareth come ci viene presentata dal Vangelo. E molti sono gli elementi ancora attuali oggi, per cui ringraziamo il Signore di aver avuto i nostri padri che sono stati in parte e in tutto come Giuseppe. Li ricordiamo con affetto. Per questo la figura di San Giuseppe è e rimane una figura importante nella nostra vita e nella Chiesa».

Al termine del Sacro Rito, i Cavalieri Costantiniani hanno accompagnato processionalmente il Celebrante fino alla statua di San Giuseppe esposta solennemente alla devozione dei fedeli nella navata centrale, per recitare la Preghiera a San Giuseppe composta da Papa Leone XIII, stampata a cura della Delegazione della Tuscia e Sabina.
«A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio, insieme con quello della tua santissima Sposa. Deh!
Per quel sacro vincolo di carità, che ti strinse all’Immacolata Vergine Madre di Dio, e per l’amore paterno che portasti al fanciullo Gesù, riguarda, te ne preghiamo, con occhio benigno, la cara eredità che Gesù Cristo acquistò col suo sangue, e col tuo potere ed aiuto soccorri ai nostri bisogni.
Proteggi, o provvido custode della Divina Famiglia, l’eletta prole di Gesù Cristo; allontana da noi, o Padre amantissimo, la peste di errori e di vizi che ammorba il mondo; assistici propizio dal cielo in questa lotta contro il potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore; e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del Bambino Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità; e stendi ognora sopra ciascuno di noi il tuo patrocinio, affinché col tuo esempio e mediante il tuo soccorso, possiamo virtuosamente vivere, piamente morire, e conseguire l’eterna beatitudine in cielo.
Amen!»

Questa Preghiera a San Giuseppe fu posta da Papa Leone XIII a conclusione della Lettera enciclica Quamquam pluries del 15 agosto 1889. La devozione a San Giuseppe, già dichiarato patrono della Chiesa Universale da Papa Pio IX l’8 dicembre 1870, fu particolarmente sostenuta da Papa Leone XIII, che pose fin dall’inizio il suo pontificato «sotto la potentissima protezione di San Giuseppe, celeste patrono della Chiesa» (Allocuzione ai cardinali, 28 marzo 1878).
In occasione della solennità, il Primo Cappellano della Delegazione, Prof. Padre Rocco Ronzani, O.S.A., Cappellano di Merito con Placca d’Argento, decorato della Croce Pro Piis Meritis del Sovrano Militare Ordine di Malta, Prefetto dell’Archivio Apostolico Vaticano, ha inviato un suo messaggio: «Un ricordo orante e tanti auguri di santità ai confratelli che oggi celebrano il loro onomastico. Affidiamo al santo Patrono della Chiesa Universale il Santo Padre Francesco e tutti noi. Buona solenne festività».

Alcune riflessioni dei Pontefici
su San Giuseppe
Nel giorno in cui si ricorda l’artigiano di Nazareth, riproponiamo alcune riflessioni dei Pontefici su questa figura al quale Dio ha affidato la protezione dei suoi tesori più preziosi: Gesù e Maria.
“Questo Bambino è Colui che dirà: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Così ogni bisognoso, ogni povero, ogni sofferente, ogni moribondo, ogni forestiero, ogni carcerato, ogni malato sono “il Bambino” che Giuseppe continua a custodire. Ecco perché San Giuseppe è invocato come protettore dei miseri, dei bisognosi, degli esuli, degli afflitti, dei poveri, dei moribondi. Ed ecco perché la Chiesa non può non amare innanzitutto gli ultimi”. Sono queste alcune riflessioni contenute nella Lettera apostolica Patris corde con la quale Papa Francesco ha indetto uno speciale Anno di San Giuseppe, dall’8 dicembre 2020 all’8 dicembre 2021, in occasione dei 150 anni del Decreto Quemadmodum Deus con cui Papa Pio IX ha dichiarato lo sposo di Maria patrono della Chiesa Universale.
A San Giuseppe, scrive Papa Leone XIII nella Lettera enciclica Quamquam pluries, è affidata la “culla della nascente Chiesa”. “Ne consegue che il beatissimo Patriarca si consideri protettore, in modo speciale, della moltitudine dei Cristiani di cui è formata la Chiesa, cioè di questa innumerevole famiglia sparsa in tutto il mondo sulla quale egli, come sposo di Maria e padre di Gesù Cristo, ha un’autorità pressoché paterna”. “È dunque cosa giusta – sottolinea ancora Papa Leone XIII – che, come egli un tempo soleva tutelare santamente in ogni evento la famiglia di Nazaret, così ora col suo celeste patrocinio protegga e difenda la Chiesa di Cristo”.
La vita di San Giuseppe, protettore della Chiesa, è dunque interamente dedicata a Maria e Gesù: si prende cura di loro, li custodisce. Papa Francesco lo ricorda durante la Santa Messa di inizio Pontificato il 19 marzo 2013, nel giorno della solennità dello sposo della beata Vergine Maria: “Giuseppe è custode, perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà”.
Al padre putativo di Gesù, Papa Francesco dedica inoltre un ciclo di 12 catechesi. Nella prima, il 17 novembre 2021, invia in particolare un messaggio a tutti gli uomini e le donne che vivono nelle “periferie geografiche più dimenticate del mondo” o che vivono situazioni di marginalità: “Possiate trovare in San Giuseppe il testimone e il protettore a cui guardare”.
All’udienza generale del 16 febbraio 2022 Papa Francesco incoraggia “a chiedere l’intercessione di San Giuseppe nei momenti più difficili della vita”. “Quanti santi si sono rivolti a lui! Quante persone – nella storia della Chiesa – hanno trovato in lui un patrono, un custode, un padre”, sottolinea Papa Francesco. “San Giuseppe non può non essere il Custode della Chiesa, perché la Chiesa è il prolungamento del Corpo di Cristo nella storia, e nello stesso tempo nella maternità della Chiesa è adombrata la maternità di Maria. Giuseppe, continuando a proteggere la Chiesa, continua a proteggere il Bambino e sua madre, e anche noi amando la Chiesa continuiamo ad amare il Bambino e sua madre”.
La figura di San Giuseppe “pur rimanendo piuttosto nascosta, riveste nella storia della salvezza un’importanza fondamentale”. È quanto sottolinea Papa Benedetto XVI che all’Angelus del 19 marzo 2006 rivolge il proprio pensiero innanzitutto “ai padri e alle madri di famiglia”: “Penso anzitutto ai padri e alle madri di famiglia, e prego perché sappiano sempre apprezzare la bellezza di una vita semplice e laboriosa, coltivando con premura la relazione coniugale e compiendo con entusiasmo la grande e non facile missione educativa. Ai Sacerdoti, che esercitano la paternità nei confronti delle comunità ecclesiali San Giuseppe ottenga di amare la Chiesa con affetto e piena dedizione, e sostenga le persone consacrate nella loro gioiosa e fedele osservanza dei consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza. Protegga i lavoratori di tutto il mondo, perché contribuiscano con le loro varie professioni al progresso dell’intera umanità, e aiuti ogni cristiano a realizzare con fiducia e con amore la volontà di Dio, cooperando così al compimento dell’opera della salvezza”.
Nell’Esortazione apostolica Redemptoris Custos Papa Giovanni Paolo II raccomanda tutti “alla protezione di colui al quale Dio stesso affidò la custodia dei suoi tesori più preziosi e più grandi”. Ed auspica che San Giuseppe, definito “prototipo delle famiglie cristiane” diventi per tutti “un singolare maestro nel servire la missione salvifica di Cristo”. Nella Celebrazione Eucaristica nella parrocchia romana di San Giuseppe il 15 dicembre 1985, affida le famiglie al padre putativo di Gesù: “Sappiate, come lui, custodire e raccogliere con amore, con fede cristiana, con premurosa attenzione la presenza santificante di Cristo. Desidero che San Giuseppe sia ricordato non solo come patrono della Chiesa, ma come protettore di ogni famiglia in questa parrocchia, e che sul suo esempio si apprezzi il valore del servizio alla volontà di Dio, il senso della fede, la premura per il rispetto e la protezione della vita”
Nel 1969, nel giorno della solennità di San Giuseppe Papa Paolo VI ricorda che lo sposo di Maria è stato dichiarato protettore della Chiesa “per la funzione ch’egli esercitò verso Cristo, durante l’infanzia e la giovinezza”. “Nessuna parola di lui è registrata nel Vangelo; il suo linguaggio è il silenzio”, sottolinea Papa Paolo VI.
Eppure questa umile figura, tanto vicina a Gesù ed a Maria, la Vergine Madre di Cristo, figura così inserita nella loro vita, così collegata con Ia genealogia messianica da rappresentare la discendenza fatidica e terminale della progenie di David (Mt 1, 20), se osservata con attenzione, si rileva così ricca di aspetti e di significati, quali la Chiesa nel culto tributato a San Giuseppe, e quali la devozione dei fedeli a lui riconoscono, che una serie di invocazioni varie saranno a lui rivolte in forma di litania.
Papa Paolo VI ricorda poi i molti titoli che rendono San Giuseppe “protettore dell’infanzia, protettore degli sposi, protettore della famiglia, protettore dei lavoratori, protettore delle vergini, protettore dei profughi, protettore dei morenti”. Invocare la protezione di San Giuseppe, come afferma Santa Teresa d’Ávila, significa anche riconoscere la sua funzione protettore per tutte le circostanze della vita: “Ad altri Santi sembra che Dio abbia concesso di soccorrerci in questa o quell’altra necessità, mentre ho sperimentato che il glorioso san Giuseppe estende il suo patrocinio su tutte”.
Fonte: Amedeo Lomonaco/Vatican News.
- Podcast 2-58 – 19 marzo 2025 – Meditazione per la solennità di San Giuseppe, sposo della beata Vergine Maria [QUI]