La chiesa della Santissima Trinità in Viterbo rappresenta, inoltre, fin dalla sua istituzione, il centro spirituale di Delegazione della Tuscia e Sabina del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, sempre profondamente grata ai Padri Agostiniani per la loro paterna guida e squisita accoglienza.
In occasione della ricorrenza, pertanto, mercoledì 28 agosto 2024 una rappresentanza della Delegazione della Tuscia e Sabina, guidata dal Delegato Nob. Avv. Roberto Saccarello, Gran Croce de Jure Sanguinis con Placca d’Oro, ha partecipato alla solenne Santa Messa presieduta alle ore 18,30 dal Padre Vito Logoteto, OSA, Priore della Comunità agostiniana.
Al termine del rito, i Cavalieri Costantiniani hanno accompagnato processionalmente i concelebranti dinanzi l’argenteo busto seicentesco di Sant’Agostino, esposto alla venerazione dei fedeli, per la recita della preghiera ed il canto del tradizionale inno. Sant’Agostino insegnava che «il cantare è proprio di chi ama» (Sermo 336, 1) e che chi canta prega due volte.
Servizio fotografico a cura del Cav. Antonello Del Sorbo.
Dal dubbio alla Verità
Il passaggio attraverso la fase del dubbio non fu per Agostino un semplice incidente di percorso, ma fu determinante per fargli trovare la via della fede. Secondo Agostino infatti, solo chi dubita è animato da un desiderio sincero di trovare la verità, a differenza di colui che non si pone nessuna domanda. È la consapevolezza della propria ignoranza che spinge a indagare il mistero; eppure non si cercherebbe la verità se non si fosse certi almeno inconsciamente della sua esistenza. Un tema, questo, di lontana ascendenza socratica e platonica, ma Agostino lo inserisce nell’ottica cristiana del Dio-Persona: è Dio stesso che fa nascere nell’uomo il desiderio della verità. Un Dio inconscio e nascosto che vuole farsi conoscere dall’uomo. Solo l’intervento della Sua grazia permette alla ragione umana di trascendere i suoi limiti, illuminandola. Ed è così che avviene l’intuizione: essa è un comprendere, e al tempo stesso un credere, che non avrebbe senso dubitare se non ci fosse una Verità che appunto al dubbio si sottrae; e che non si cercherebbe Dio se non Lo si fosse già trovato. Esprimendo un concetto che sarà ripreso da Pascal, Agostino scriveva che «l’intelletto cerca Colui che ha già trovato» (De Trinitate, 15, 2, 2).
Sant’Agostino nacque con il nome di Aurelio Agostino dal padre pagano Patricius, un modesto Consigliere municipale e piccolo proprietario terriero di Tagaste, e da madre cristiana, Monica. Quest’ultima eserciterà un grande ruolo nell’educazione e nella vita del figlio. Africano di nascita, e quindi probabilmente di madrelingua berbera, apprese e utilizzò il punico e il latino, mentre non imparò mai il greco, l’altra grande lingua di cultura dell’epoca con il latino.
Compì gli studi presso Madaura, Tagaste e Cartagine, dove fu mandato a diciassette anni a studiare retorica. Come autodidatta si interessò alla lettura di Cicerone e dei classici (la lettura dell’Ortensio di Cicerone produsse in lui l’amore per la filosofia). Dopo la morte del padre, aprì una scuola di retorica a Tagaste (373) poi insegnò a Cartagine (374-383). Qui Agostino visse per quindici anni in concubinaggio con una donna, dalla quale ebbe un figlio, Adeodato (il quale morì tra il 389 e il 391). Da questa donna si separò nel 836.
Da giovane aderì al Manicheismo, visione che abbandonerà in seguito all’incontro con il Vescovo manicheo Fausto, il quale sorprese negativamente Agostino per la sua ignoranza. Scoperta la vocazione per la filosofia e, in particolare, per il pensiero dei neoplatonici di Plotino, nel 383 si trasferì a Roma, dove insegnò retorica e, appunto, filosofia. L’anno successivo si trasferì a Milano, dove il praefectus urbis gli procurò un posto di insegnante, con l’intento di contrastare la fama del Vescovo di Milano, Ambrogio. Invece, Agostino resta affascinato dalla personalità di Ambrogio, dal quale viene convertito al cristianesimo nel 385.
Decisivo per la sua conversione – così narra egli stesso nelle sue Confessioni, testo che diverrà un classico della teologia e della letteratura – sarebbe stata l’esperienza vissuta in un giardino, quando sentì la voce di una bimba che canticchiava tolle lege, ossia prendi e leggi, invito che egli riferì alla Bibbia, che, a quel punto, aprì a caso, cadendo su un passaggio di San Paolo. Diventò così catecumeno e la notte fra il 24 e il 25 aprile 386, vigilia di Pasqua, ricevette il battesimo dalle mani del Vescovo Ambrogio.
Bellissima scena della scuola dell’Angelico che descrive il momento cruciale in cui Agostino ode la voce nel giardino che lo richiama ad una vera e autentica conversione. Il racconto pittorico tuttavia unisce più episodi che in realtà si svolsero in tempi diversi. Sulla destra in alto si intravede un eremita che si affaccia da una spelonca: è Simpliciano, che parlando con Agostino, lo ha educato alla lettura dei neoplatonici. Sulla sinistra c’è invece Alipio che osserva pensoso la scena che vede coinvolto il giovane Agostino che se ne sta seduto con la faccia fra le mani ai piedi di un fico. La struttura della scena è potente e crea un pathos palpabile che coinvolge assieme ai protagonisti dell’episodio narrato. Nelle opere scritte subito dopo la conversione, Agostino non fa il minimo accenno al famoso episodio del tolle lege nel giardino di Milano, che ricorda nelle Confessioni. La descrizione che fa Agostino del suo stato d’animo è, da una parte, tutta dominata dalla preoccupazione, polemica contro i manichei, di dimostrare l’esistenza e il valore del libero arbitrio, la possibilità di una scelta fra bene e male e che, d’altra parte, essa è redatta sotto l’influsso di quei passi paolini che parlano del contrasto fra lo spirito e la carne. E si potrebbe ancora suggerire, insistendo sull’importanza di questo fatto, che l’episodio dimostra come Agostino abbia conosciuto l’epistolario di san Paolo proprio all’inizio della sua conversione. «Così parlavo e piangevo nell’amarezza sconfinata del mio cuore affranto. A un tratto dalla casa vicina mi giunge una voce, come di fanciullo o fanciulla, non so, che diceva cantando e ripetendo più volte: “Prendi e leggi, prendi e leggi”. Mutai d’aspetto all’istante e cominciai a riflettere con la massima cura se fosse una cantilena usata in qualche gioco di ragazzi, ma non ricordavo affatto di averla udita da nessuna parte… Tornai al luogo dove stava seduto Alipio e dove avevo lasciato il libro dell’Apostolo all’atto di alzarmi. Lo afferrai, lo aprii e lessi tacito il primo versetto su cui mi caddero gli occhi. Diceva: “Non nelle crapule e nelle ebbrezze, non negli amplessi e nelle impudicizie, non nelle contese e nelle invidie, ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non assecondate la carne nelle sue concupiscenze…”. Non volli leggere oltre né mi occorreva. Appena terminata infatti la lettura di questa frase, una luce, quasi, di certezza penetrò nel mio cuore e tutte le tenebre del dubbio si dissiparono» (Sant’Agostino, Confessioni 8, 12, 29).
Nel 391 venne ordinato sacerdote e nel 396 divenne Vescovo di Ippona (l’attuale Annaba in Algeria) dove fondò un monastero. Da questo momento in poi si dedicherà agli scritti di natura religiosa e da teorico della pace come aspirazione universale degli uomini, combatté a lungo le dottrine eretiche dei donatisti e dei pelagiani, diventando uno dei Padri fondatori del Cristianesimo. Agostino elaborò le sue dottrine sul peccato originale (istituendo fra il IV secolo e il V secolo il battesimo infantile nella Chiesa cattolica), la grazia divina e la predestinazione.
L’iscrizione in margine al dipinto riporta: «Edocet et dictis pueri subimmagine Christus frustra illum trini atque uniperquirere causas». Una scena cara alla iconografia agostiniana, la cui origine risale al XII-XIII secolo. Agostino incontra sulla spiaggia in riva al mare un bambino che sta giocherellando con un cucchiaio e che cerca di riempire una buca nella sabbia con tutta l’acqua del mare. Alla domanda di Agostino il bambino risponde che quanto è impossibile per lui travasare tutto il mare nella buca altrettanto impossibile è per Agostino travasare nella sua mente il mistero della Trinità. Questa leggenda – che riprende un testo della Lettera apocrifa a Cirillo che avrebbe scritto lo stesso Agostino, dove ricorda una rivelazione divina con queste parole: «Augustine, Augustine, quid quaeris ? Putasne brevi immittere vasculo mare totum?» – si trova già nel XIII secolo, sotto forma di exemplum, in uno scritto di Cesare d’Heisterbach. Ma come poi tutto ciò fu collegato ad Agostino? Una spiegazione sta nella diffusione dell’apocrifo in cui san Gerolamo discute con Agostino sulle capacità umane di comprendere il mistero divino.
Si può notare, infine, come la vita di Sant’Agostino sia stata caratterizzata da un percorso religioso irto di difficoltà e ripensamenti, di indecisioni e di periodi nei quali Agostino stesso, nelle Confessioni, si definisce “caduto nel peccato”. Tale percorso portò Agostino ad incarnare la figura, per molti tratti emblematica, dell’uomo che approda con sofferenza e a tappe forzate di maturazione alla religione cristiana, vista come suprema conquista della verità e del bene.
Sant’Agostino morì nel 430, mentre Ippona era assediata dai Vandali.
Agostino è rappresentato come cardioforo, cioè porta in mano il cuore fiammante, che ricorda il suo smisurato amore per Dio. Il riferimento è al nono libro delle Confessioni dove Agostino scrive: Sagittaveras tu cor meum charitate tua. Agostino allo scrittoio è quasi folgorato dalla luce che proviene a sinistra in alto e che riempie tutta la scena fino al cuore fiammante. «Tu stesso ci avevi folgorati con le frecce del tuo amore, e portavamo conficcati nel ventre gli arpioni delle tue parole e gli esempi dei tuoi servi, che da oscuri avevi reso splendidi e da morti, viventi. Bruciavano ammassati nel fondo della mente divorando la sua pesantezza e il torpore, per impedirci di scendere in basso, ed era un tale incendio che tutto il fiato soffiatoci contro dalle subdole lingue l’avrebbe ravvivato, non estinto. Tuttavia nel tuo nome, che hai reso sacro per tutta la terra, il nostro proponimento avrebbe certamente incontrato il plauso di alcuni, e quindi poteva sembrare ostentazione non aspettare quel poco che mancava alle vacanze, e congedarsi prima da un pubblico ufficio che era sotto gli occhi di tutti in modo da attirare sulle mie azioni l’attenzione universale. Così, se avessi dato l’impressione di non voler neppure attendere il termine tanto prossimo dei corsi, avrebbero molto chiacchierato, e sarebbe parso che volessi farmi notare. E a che pro favorire congetture e discussioni sui miei intenti e oltraggi al nostro bene?» (Sant’Agostino, Confessioni 9, 2, 3).
Agostino scrisse una mole impressionante di opere autobiografiche, filosofiche, apologetiche, dogmatiche, polemiche, morali, esegetiche, raccolte di lettere, raccolte di sermoni, opere poetiche (con metrica non classica, bensì accentuativa, per facilitare la memorizzazione da parte di persone incolte).
Alle opere filosofiche appartengono tre dialoghi (Contra academicos, De beata vita, De ordine) risalenti al periodo che precedette la conversione. Le opere polemiche sono state scritte per combattere sette ed eresie. Le opere morali comprendono scritti contro la menzogna e sul matrimonio, la verginità il comportamento Cristiano. Il De doctrina christiana si occupa della predicazione, dell’interpretazione della Bibbia e dei rapporti fra retorica classica e retorica cristiana. I sermoni sono caratterizzati dalla chiarezza dell’esposizione e dall’efficacia della nuova retorica, teorizzata nel De doctrina christiana.
Le opere maggiori di Sant’Agostino sono le Confessioni (del 397), La città di Dio (scritta in ventidue volumi tra il 412 e il 426, che costituisce una vera e propria apologia del Cristianesimo messo a confronto con la civiltà pagana), La Trinità (del 419, pietra miliare della teologia), La grazia di Cristo e il peccato originale (del 418), oltre a riflessioni sulla grandezza e l’immortalità dell’anima.