Podcast 2-49 – 14 febbraio 2025 – Meditazione per la festa dei Santi Cirillo e Metodio Patroni d’Europa
«Memoria dei Santi Cirillo, monaco, e Metodio, vescovo. Questi due fratelli di Salonicco, mandati in Moravia dal Vescovo di Costantinopoli Fozio, vi predicarono la fede Cristiana e crearono un alfabeto per tradurre i libri sacri dal greco in lingua slava. Venuti a Roma, Cirillo, il cui nome prima era Costantino, colpito da malattia, si fece monaco e in questo giorno si addormentò nel Signore. Metodio, invece, ordinato da Papa Adriano II Vescovo di Srijem, nell’odierna Croazia, evangelizzò la Pannonia senza lesinare fatiche, dovendo sopportare molti dissidi rivolti contro di lui, ma venendo sempre sostenuto dai Romani Pontefici; a Staré Mešto in Moravia, il 6 aprile, ricevette il compenso delle sue fatiche» (Dal Martirologio).
Prima lettura (At 13,46-49 – Noi ci rivolgiamo ai pagani). Salmo responsoriale (Sal 116 – Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo). Vangelo (Lc 10,1-9 – La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai)
Il nostro Ordine cavalleresco nasce, secondo la tradizione agiografica, a cavallo, mi si passi il gioco di parole, tra Oriente ed Occidente ed una parte notevole della sua vita prima del Magistero farnesiano del XVII/XVIII secolo, sempre se vogliamo dare credito alla tradizione, si sarebbe svolta nei Balcani, dunque in un territorio di confine tra due grandi civiltà, quella latino-romana e quella greco-bizantina e tra due grandi culture ecclesiali, quella Cattolico-romana e quella Cattolico-ortodossa.
L’emblema stesso del nostro Ordine riporta due lettere dell’alfabeto greco, il Xhi ed il Ro, uniti in un unico simbolo, il Cristogramma, che rappresentava, in Oriente, il Sacro Nome di Cristo Gesù quasi incarnandone, materializzandola, l’essenza del Salvatore richiamando, pure, lo Staurogramma simbolo della sua morte redentrice per tutto il genere umano, non limitata, cioè ad alcuna appartenenza etnica o religiosa.
Tutte queste e molte altre considerazioni di natura antropologica, sociologica ed ecclesiale mi hanno indotto a sviluppare questa meditazione sulle Letture per la festa di due figure illustrissime nel panorama, assai variegato, dei Santi canonizzati sia nella Chiesa Romana sia in quella Ortodossa: i fratelli Cirillo e Metodio.
Nella celebrazione odierna la Orazione Colletta sintetizza, come d’ordinario nella Messa, il contenuto ed il senso dell’atto liturgico posto in essere e recita: “O Dio, ricco di misericordia, che nella missione apostolica dei santi fratelli Cirillo e Metodio hai donato ai popoli slavi la luce del vangelo, per la loro comune intercessione fa’ che tutti gli uomini accolgano la tua parola e formino il tuo popolo santo concorde nel testimoniare la vera fede”.
La Prima Lettura, tratta da At 16,46-49, fa profetico riferimento non solo alla instancabile attività missionaria dei due santi fratelli, ma, anche, alle difficoltà, rifiuti, ostilità, addirittura persecuzioni da parte non di estranei o di infedeli, ma di altri Cristiani, i latini nella fattispecie, che affrontarono e subirono per dare testimonianza del Vangelo ai pagani e per far accettare questa testimonianza ai fratelli nella fede, certo, ma non nell’amore. Cirillo e Metodio fecero proprio quanto scritto da Paolo: “Così infatti ci ha ordinato il Signore ‘Io ti ho posto per essere luce delle genti, perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra’. Nell’udire ciò, i pagani si rallegravano e glorificavano la parola del Signore, e tutti quelli che erano destinati alla vita eterna credettero. La parola del Signore si diffondeva per tutta la regione”.
Di uguale impronta missionaria risuona la pericope evangelica di Luca 10,1, là dove l’Evangelista ci narra: “In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi”. Come già in altri podcast e meditazioni spiegato, il settantadue non è citato in modo casuale, ma, secondo la numerologia ebraica, rappresenta il numero complessivo delle popolazioni di tutto il mondo. “Li inviò due a due”, perché la loro testimonianza risultasse credibile; dicono infatti le Scritture che sulle parola di due o tre testimoni riposa tutta la verità. In due del resto ci si sostiene vicendevolmente e si diventa specchio l’uno dell’altro, nel bene e nel male.
Là dove la traduzione riporta: “Davanti a sé”, il testo greco, in realtà, dice: “Dinanzi alla sua faccia”. Luca ama molto contemplare il Santo Volto di Gesù. E, prosegue poi la citazione: “In ogni città e luogo dove stava per recarsi”. Insegnamento fondamentale per ogni missionario, mandato non a “convertire” qualcuno, ma semplicemente a preparare l’arrivo del Signore, che farà luce nel cuore di chi lo accoglierà. Più avanti Gesù preciserà l’incarico degli inviati: annunciare la pace, guarire i malati, proclamare la vicinanza del Regno, non ribellarsi quando si è rifiutati, ma semplicemente andarsene, scuotendo anche la polvere che si è attaccata ai piedi per significare la fine di un rapporto; sappiano però che il regno di Dio è passato vicino a loro.
Nessuno dei 72 inviati era sacerdote. La comunità Cristiana, a cui Luca direttamente si rivolgeva, sapeva benissimo che fratelli e sorelle Cristiani erano chiamati a essere ciascuno un missionario o una missionaria. L’annuncio del Regno fatto nella debolezza, senza equipaggiamento, senza pretese di dominio, è la premessa di un futuro mondo pacificato, dove i contrasti saranno appianati, gli opposti riconciliati, a prezzo del sangue del Signore Gesù.
L’evangelista non racconta gli episodi vissuti dai singoli missionari, né di quanto è durata la missione; ma va subito al loro ritorno, gioioso e un po’ trionfalistico, colpiti dal successo ottenuto dagli esorcismi: “Anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome”. Anche Gesù ne esulta: la sua venuta nel mondo ha fiaccato la potenza di Satana, che è già precipitato dal cielo. La potenza del Nome è stata consegnata ai credenti in lui; nulla potrà nuocere o strappare loro la gioia. A questo allude la metafora del “potere di camminare sopra i serpenti e gli scorpioni”. La vera esultanza dei missionari non stia però in questi successi, ma nel fatto di essere amati da Dio e di avere un posto assegnato nei cieli.
Come tutti i missionari anche i 72, forse, hanno trovato sul loro cammino difficoltà, fatiche, avversità, incomprensioni e ostilità, ma, alla fine la loro testimonianza ha sparso il seme della buona Novella preparando profeticamente l’avvento del Regno.
Lo stesso cammino intrapresero i due fratelli Cirillo e Metodio, nati a Tessalonica all’inizio del secolo IX, che svolsero presso le popolazioni slave insediatesi nelle regioni del bacino danubiano un’azione missionaria, caratterizzata da una speciale attenzione ai costumi e alla lingua di quelle genti, ch’essi inserirono a pieno titolo nell’ecumene Cristiana dando un esempio “ante litteram” dell’unico tipo di evangelizzazione efficace, quella interculturale su cui si incentra anche l’Enciclica Evangelii gaudium di Papa Francesco e sulla quale verteranno due prossimi miei podcast.
Cirillo, nato a Tessalonica nell’827, aveva ricevuto al fonte battesimale il nome di Costantino, con cui fu conosciuto dai suoi contemporanei; studiò a Tessalonica e, successivamente, a Costantinopoli alla scuola di insigni maestri, tra i quali il futuro Patriarca Fozio (810-891). Divenuto professore nell’Università della Nuova Roma, si meritò il titolo di “filosofo” per l’acutezza della sua mente e, pur rifiutando alte cariche istituzionali, fu chiamato dall’autorità imperiale a svolgere delicate ambascerie presso il Califfo musulmano e presso il Khan dei Khazari. Preparandosi a questo secondo delicato incarico, Costantino a Cherson, sul Mar Nero, recuperò le reliquie del Papa romano Clemente, morto in esilio durante le persecuzioni di Traiano, ivi sepolte.
Per parte sua, il fratello Metodio, nato a Tessalonica nell’825, avendo ricevuto un’accurata formazione giuridica, assurse ad alte cariche amministrative.
Costantino, a causa dell’uccisione a Costantinopoli del suo mentore ed alto protettore, il Logoteta o Ministro delle Finanze dell’Impero, Teottisto, per salvarsi la vita e sentendosi chiamato a una più intensa vita spirituale, decise di abbandonare il fasto dei pubblici onori e si ritirò presso una comunità monastica assumendovi il nome di Metodio.
Nell’anno 863 giunse all’imperatore Michele III, da parte del Principe moravo Rastislav, la richiesta di un maestro per gli Slavi. La scelta dell’Imperatore e del Patriarca Fozio cadde su Costantino, il quale volle associare a sé nella missione il fratello Metodio, che già lo aveva accompagnato nell’ambasceria presso i Khazari. Con alcuni discepoli, Costantino e Metodio per quasi quattro anni realizzarono un lavoro missionario che diede ottimi risultati. Curarono la formazione del clero per assicurare alla Chiesa slava la propria struttura gerarchica. Provvidero i popoli slavi di un proprio alfabeto, adatto a dare forma scritta alla loro lingua, che i due fratelli introdussero anche nel culto. In tal modo Costantino e Metodio realizzarono compiutamente la loro missione tra le genti slave, alle quali erano stati inviati e che essi avviarono alla conoscenza della parola di Dio e alla comprensione dei divini Misteri.
La gelosa opposizione di molti ecclesiastici occidentali operanti nelle regioni danubiane ostacolò fortemente i generosi sforzi dei due Apostoli degli Slavi. A causa delle calunnie e dell’ostilità del clero latino, i due fratelli furono convocati a Roma da Papa Niccolò. Vi si recarono, portando con loro le reliquie di Papa Clemente, che deposero nella basilica a lui intitolata, quella di San Clemente al Monte Celio dove ancora oggi sono venerate. Papa Adriano II li accolse con grande onore e diede piena approvazione al loro operato.
A Roma Costantino si ammalò. Sentendo prossima la fine, vestì l’abito monastico, assumendo il nome di Cirillo, e chiuse la sua esistenza terrena il 14 febbraio 869, all’età di 42 anni. Metodio, ordinato vescovo, tornò tra le popolazioni slave con la qualifica di Legato apostolico per la Pannonia e la Moravia. Lavorò con zelo indefesso, ma ebbe a soffrire grandemente a opera degli ecclesiastici latini, presenti nei territori a lui affidati e implacabili oppositori, per evidenti motivi di potere, della Chiesa slava. Calunniato e accusato di eresia, fu deportato in Germania, dove sopportò la prigione per ben tre anni e superò le condizioni di vita disumane a lui imposte. Per intervento del Papa Giovanni VIII, poté riprendere la missione in Moravia, consolidando l’organizzazione ecclesiastica da lui fondata. Metodio chiuse la sua esistenza terrena il 6 agosto 885.
I due fratelli tessalonicesi condussero la loro missione dando vita, nonostante opposizioni, gelosie e persecuzioni del clero latino, a una tradizione ecclesiale e a una cultura pienamente slave, che hanno profondamente segnato e tuttora caratterizzano vaste aree del continente europeo. Il culto di Cirillo e Metodio iniziò subito dopo la loro morte e presto furono annoverati tra i santi. La prima venerazione di Cirillo e Metodio in Rus’ di Kyiv è testimoniata dall’inclusione dei loro nomi nel calendario del Vangelo di Ostromyr (1056-57). Nel 1880 Leone XIII (1878-1903) con l’Enciclica Grande munus ricordò a tutta la Chiesa gli straordinari meriti dei Santi Cirillo e Metodio per l’opera dell’evangelizzazione degli Slavi ed estese il loro culto alla Chiesa universale. Papa Pio XI con la Lettera apostolica Quod Sanctum Cyrillum, qualificò i due fratelli, come “figli dell’Oriente, di patria bizantini, d’origine greci, per missione romani, per i frutti apostolici slavi” (AAS. 19 [1927] 93-96). Papa Giovanni XXIII scrisse la Lettera apostolica Magnifici eventus (11 maggio 1963) dedicata a loro. Il 31 dicembre 1980 con la Lettera apostolica Egregiae virtutis i Santi Cirillo e Metodio furono proclamati da Papa Giovanni Paolo II compatroni d’Europa e associati al patriarca dei monaci d’Occidente, San Benedetto: “I santi fratelli da Tessalonica mettono in risalto prima il contributo dell’antica cultura greca e, in seguito, la portata dell’irradiazione della Chiesa di Costantinopoli e della tradizione orientale, la quale si è così profondamente iscritta nella spiritualità e nella cultura di tanti popoli e nazioni nella parte orientale del continente europeo”. Nell’Enciclica Slavorum Apostoli si contempla l’universalità della Chiesa con il rispetto verso la propria identità di ciascuno: “Cirillo e Metodio sono come un ponte spirituale tra la tradizione occidentale e quella orientale, che confluiscono entrambe nell’unica grande Tradizione della Chiesa Universale. Essi sono per noi i campioni ed insieme i patroni dello sforzo ecumenico delle Chiese sorelle d’Oriente e d’Occidente, per ritrovare mediante il dialogo e la preghiera l’unità visibile nella comunione perfetta e totale”. I Santi Cirillo e Metodio sono patroni di tutti i popoli slavi.
Indice dei podcast trasmessi [QUI]
Inaugurazione
del «Giubileo» degli Apostoli degli Slavi
Santi Cirillo e Metodio
Omelia di Papa Giovanni Paolo II
Basilica di San Clemente
Venerdì, 15 febbraio 1985
Carissimi fratelli e sorelle!
1. Oggi, festa liturgica dei Santi Cirillo e Metodio, siamo qui riuniti, in questa antica basilica dedicata a San Clemente, Papa e martire, per pregare e meditare presso la tomba nella quale sono custodite le venerate reliquie di San Cirillo, che, insieme con il fratello San Metodio e accanto a San Benedetto, ho proclamato patrono di tutta l’Europa. La Chiesa tutta, nel glorificare i due santi fratelli, esprime loro la propria grata ammirazione per la grandiosa opera evangelizzatrice da essi compiuta per la divulgazione del regno di Dio tra le genti slave.
Come ho ricordato il 1° gennaio scorso, sono trascorsi undici secoli dal momento in cui la grande missione di entrambi i fratelli terminò con la morte di Metodio, nell’anno 885; il fratello Costantino-Cirillo era già morto sedici anni prima qui a Roma. A questi due grandi apostoli l’eterno Pastore ha affidato l’opera del Vangelo tra gli Slavi. Essi sono diventati i primi evangelizzatori dei popoli che abitano la parte orientale e quella meridionale dell’Europa. Sono diventati i padri della loro fede e della loro cultura.
L’odierna celebrazione si inserisce pertanto come una delle manifestazioni che, in memoria e in onore dei due santi fratelli, durante il corso di quest’anno ad essi particolarmente dedicato, si svolgeranno in tutta la Chiesa, soprattutto in Europa e in special modo tra le nazioni che furono oggetto delle loro fatiche apostoliche.
Il loro arrivo a Roma era stato un grande avvenimento, che aveva mosso non solo il Papa Adriano, ma anche i cittadini, i quali con ceri accesi erano andati incontro a Cirillo e Metodio, che portavano dall’Oriente le preziose reliquie di San Clemente. Furono accolti i libri sacri in lingua slava e nella basilica di Santa Maria Maggiore si cantò in quella stessa lingua la Santa Messa.
Debilitato dalle fatiche, Costantino-Cirillo abbandonava questa terra a quarantadue anni, il 14 febbraio dell’anno 869, elevando a Dio una fervida e commossa preghiera e lasciando al fratello Metodio un impegnativo monito: “Ecco, fratello, condividevamo la stessa sorte, premendo (l’aratro) sullo stesso solco; io ora cado sul campo al concludersi della mia giornata. Tu ami molto, lo so, la tua montagna (cioè la zona sacra montagnosa dell’Olimpo dove i due fratelli avevano sperimentato la loro vita monastica in solitudine); tuttavia, per la montagna non abbandonare la tua azione di insegnamento. Dove in verità puoi meglio salvarti?” (Vita di Metodio, VII, 2-33).
I sedici anni, nei quali Metodio sopravvisse al fratello, furono pieni di attività apostolica, ma anche di sofferenze. Egli morrà il 6 aprile dell’anno 885. “I suoi discepoli lo prepararono (per le esequie) e gli resero degni onori: celebrarono un servizio ecclesiastico in latino, greco e slavo e lo deposero nella cattedrale. E si aggiunse ai suoi padri, sia patriarchi che profeti, apostoli, dottori, martiri” (Ivi, XVII, 11-12).
2. L’XI centenario del transito di San Metodio ci vede riuniti oggi a Roma presso la tomba del fratello Costantino-Cirillo e ci sprona a meditare sull’attualità ecclesiale della geniale e grandiosa opera di evangelizzazione da essi compiuta.
Verso la metà del IX secolo e nel periodo immediatamente successivo si avvicinava il momento della maturazione politica e culturale della grande compagine dei popoli slavi, il loro ingresso da protagonisti nella convivenza internazionale, nel sistema subentrato all’antico Impero Romano. Era, purtroppo, anche il momento in cui l’antica civiltà si spezzava e si frantumava, e le tensioni tra Oriente e Occidente si trasformavano in divisioni e, presto, in separazioni. Gli Slavi entrarono nella scena del mondo, collocandosi fra queste due parti e, nel tempo successivo, sperimentarono su loro stessi i tragici effetti dello scisma; furono anch’essi divisi, come diviso era allora il mondo europeo.
Tanto più, pertanto, dobbiamo ammirare la chiaroveggenza spirituale dei due santi fratelli, i quali decisero coraggiosamente di costruire un ponte ideale là dove il mondo ad essi contemporaneo scavava invece fossati di separazione e di lacerazione. “Cirillo e Metodio – ho scritto nella Lettera apostolica del 31 dicembre 1980, con la quale li proclamavo celesti patroni di tutta l’Europa – svolsero il loro servizio missionario in unione sia con la Chiesa di Costantinopoli, dalla quale erano stati mandati, sia con la Sede romana di Pietro, dalla quale furono confermati, manifestando in questo modo l’unità della Chiesa che, durante il periodo della loro vita e della loro attività, non era colpita dalla sventura della divisione fra l’Oriente e l’Occidente, nonostante le gravi tensioni, che, in quel tempo, segnarono le relazioni fra Roma e Costantinopoli” (Giovanni Paolo II, Egregiae virtutis, 1).
3. Questo intenso desiderio dell’unione spirituale fra tutti i credenti in Cristo ispirò i due santi fratelli nella loro missione, finalizzata allo scopo di fare dei popoli da loro evangelizzati, nella nascente Europa, un vincolo di unione fra l’Oriente e l’Occidente. A tal fine, Cirillo e Metodio decisero di tradurre i libri sacri nella lingua slava, “gettando con questo le basi di tutta la letteratura nelle lingue degli stessi popoli” (Giovanni Paolo II, Egregiae virtutis, 1) e tra l’altro, resisi conto che nella Grande Moravia si celebrava già la santa messa secondo il rito romano introdotto da missionari latini che non avevano molto successo presso la popolazione, essi tradussero in lingua slava non soltanto la liturgia di San Giovanni Crisostomo (bizantina), bensì anche quella di San Pietro (romana).
Lodare Dio nella propria lingua, consapevoli della propria identità nazionale e culturale e, nello stesso tempo, procurare la più profonda unione tra tutti i Cristiani, sia dell’Oriente sia dell’Occidente, non è forse questo il programma missionario confermato e raccomandato anche di recente dal Concilio Vaticano II?
Il fatto che tale programma già undici secoli fa fosse approvato e incoraggiato dalla Sede romana fu certamente uno dei grandi “segni dei tempi”, che preannunciavano un nuovo volto per l’Europa nascente.
4. Nonostante le alterne vicende e le grandi difficoltà, succedutesi nella storia, possiamo riconoscere che la liturgia slava e la cultura edificata sulle basi gettate dai due santi fratelli sono ancor oggi una testimonianza innegabile della viva continuità dell’eredità cirillo-metodiana. Anche il desiderio della piena unione dei Cristiani si è fatto spesso sentire fra i popoli slavi, specie in tempi di calamità. Vogliamo ricordare i Congressi unionistici tra Cattolici e Ortodossi, che si svolgevano dagli inizi di questo secolo proprio a Velehrad, presso la tomba di San Metodio, sotto la protezione della Vergine santissima, venerata e invocata col titolo di Madre dell’unità.
Seguendo l’esempio dei miei predecessori Giovanni XXIII, che dopo la sua elevazione al supremo pontificato venne in questa basilica per venerare i due santi fratelli, e Paolo VI, che volle collocare nell’altare della cappella di San Cirillo le ritrovate reliquie del santo, anch’io oggi mi trovo in questo luogo, sacro e caro a tutti i credenti in Cristo, ma specialmente ai popoli slavi, e rinnovo l’auspicio che “per opera della misericordia della Trinità santissima, per l’intercessione della Madre di Dio e di tutti i santi, sparisca ciò che divide le Chiese, come pure i popoli e le nazioni; e le diversità di tradizioni e di cultura dimostrino invece la reciproca integrazione di una ricchezza comune. La consapevolezza di questa spirituale ricchezza, diventata su strade diverse patrimonio delle singole società del continente europeo, aiuti le generazioni contemporanee a perseverare nel reciproco rispetto dei giusti diritti di ogni nazione e nella pace, non cessando di rendere i servizi necessari al bene comune di tutta l’umanità e al futuro dell’uomo su tutta la terra” (Giovanni Paolo II, Egregiae virtutis, 4).
5. Nell’odierna liturgia della parola abbiamo ascoltato alcuni brani, che possiamo applicare all’apostolato svolto dai santi Cirillo e Metodio: per loro mezzo la parola di Dio si è diffusa per le regioni del mondo (cf. At 13,49); essi, come buoni soldati di Gesù Cristo, hanno avuto la loro parte di sofferenza; come l’agricoltore, si sono affaticati per cogliere i frutti del loro lavoro; a causa del Vangelo, sono stati anche incompresi e maltrattati, ma hanno sopportato ogni cosa (cf. 2Tm 2,3-10); in modo esemplare, sono stati nella Chiesa di Dio dei pastori buoni, capaci e disposti a offrire la loro vita per le pecore loro affidate (cf. Gv 10,11-16).
A questi esempi di dedizione dobbiamo ispirarci tutti; tali modelli io propongo oggi, in modo particolare, agli studenti dei collegi ecclesiastici di Roma, qui presenti insieme con i loro superiori e docenti.
Voi siete qui, carissimi fratelli, non solo per venerare e commemorare i santi Cirillo e Metodio, ma soprattutto per apprendere da loro che cosa significhi e comporti seguire la propria vocazione sacerdotale e missionaria. La vocazione viene da Dio, la cui voce si fa sentire in ogni tempo. Gli uomini debbono essere disponibili ad accogliere questa chiamata e devono prepararsi con grande impegno ai compiti che essa esige.
Cirillo e Metodio si prepararono alla loro missione con uno studio serio e profondo della parola di Dio e della sacra dottrina, e anche della cultura filosofica e letteraria dell’epoca; ma si prepararono soprattutto con la preghiera e la penitenza.
Guardate a questi esempi, carissimi studenti, confermatevi a tali gloriosi modelli per il vostro futuro ministero sacerdotale o missionario!
Desidero concludere questa mia omelia con le parole della splendida preghiera che San Cirillo, approssimatasi l’ora di ricevere il riposo definitivo e di migrare nelle eterne dimore, innalzò a Dio: “Signore, mio Dio . . . che esaudisci sempre quelli che fanno la tua volontà e ti temono e custodiscono i tuoi precetti, esaudisci la mia preghiera, e custodisci a te fedele il gregge, a cui avevi preposto me . . . Liberali dalla perfidia empia e pagana . . . ed incrementa con la moltitudine la tua Chiesa, e tutti raccogli nell’unità, e fa’ il popolo santo concorde nella tua vera fede e retta confessione, ed ispira nei loro cuori la parola del tuo insegnamento . . . Quelli che mi avevi dati, li rendo a te come tuoi; reggili con la tua destra possente e coprili con la protezione delle tue ali, perché tutti lodino e glorifichino il tuo nome, di Padre, Figlio e Spirito Santo” (Vita di Cirillo, XVIII, 8-11).
Troviamo in sintesi, in questa preghiera trinitaria, i grandi ideali, che animarono l’instancabile opera dei due santi fratelli: la proclamazione della parola; la diffusione e la conservazione della fede; l’unità di tutti i credenti in Cristo; la fiducia nell’opera della grazia divina; l’impegno Pastorale, fino al dono di sé. La Chiesa di oggi, nel celebrare i santi Cirillo e Metodio, prega e medita nel suo cuore il loro messaggio sempre attuale.
Amen!

Foto di copertina: Maestro A. Lionise, Santi Cirillo e Metodio uguali agli Apostoli, mosaico, 2006, basilica di San Clemente, Roma.