Riflessioni sulle letture festive – Festa dei Santi Filippo e Giacomo apostoli

È stato pubblicato sul canale Spreaker dell’Ufficio Stampa della Real Commissione per l’Italia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio il podcast con la meditazione per la festa dei Santi Filippo e Giacomo apostoli, a cura del Referente per la Formazione della Delegazione di Roma e Città del Vaticano, il Prof. Enzo Cantarano, Cavaliere di Merito con Placca d'Argento, di cui riportiamo di seguito l’audio e il testo. Nel Vangelo assistiamo ad un dialogo piuttosto complesso e impegnativo che prende l’abbrivio dall’autopresentazione di Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me». Oltre la fonte della paràdosis (trasmissione) cristologica, di cui parla Paolo nella Prima Lettura, Gesù indica ai suoi discepoli che la via al Padre la via è Lui stesso, perché chi ha visto Lui, ha visto il Padre. Chi conosce Lui e il suo amore, conosce anche il Padre. Ecco allora la richiesta di Filippo a Gesù: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Via forse facile da capire, ma certo non facile da praticare.
Santi Filippo e Giacomo apostoli

Podcast 2-71 – 3 maggio 2025 – Festa dei Santi Filippo e Giacomo apostoli

Prima Lettura: 1Cor 15,1-8 – Il Signore apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Salmo responsoriale: Sal 18 – Per tutta la terra si diffonde il loro annuncio. Vangelo: Gv 14,6-14 – Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo?

Questi sono uomini santi:
il Signore li ha eletti
nel suo amore generoso,
ha dato loro una gloria eterna.

Celebriamo oggi, in uno stesso giorno, la festa dei due apostoli Filippo e Giacomo. Essi non sono ricordati dalla Tradizione come protagonisti di fatti straordinari, ma come uomini generosi che risposero immediatamente alla chiamata di Gesù e, insieme agli altri Apostoli, vissero alla sua sequela. Il loro nome comunque è inserito nel numero dei Dodici.

Galileo di Betsaida, Filippo era pescatore; conosciamo la sua immediata risposta alla chiamata di Gesù dall’entusiasmo con il quale comunica subito l’incontro a Natanaele: “Vieni e vedi”. Lo invita, rispondendo alla sua incredula reazione (Gv 1, 43 ss.). Nel Vangelo di Giovanni troviamo ancora il suo nome in diversi episodi: prima della moltiplicazione dei pani, quando Gesù “per metterlo alla prova” chiede a Filippo dove poter provvedere il pane per sfamare tanta gente (Gv 6, 5 – 6); dopo l’ingresso messianico a Gerusalemme è a Filippo che si rivolgono alcuni Greci che vogliono vedere Gesù (Gv 12, 20 – 22); ed è ancora Filippo che durante l’Ultima Cena chiede al Maestro di mostrare loro il Padre (Gv 14, 8) a testimonianza che solo per il dono dello Spirito, dopo la Risurrezione, gli Apostoli comprenderanno la verità di Gesù, il Cristo, Figlio di Dio e la missione loro affidata.

Le altre notizie che si hanno di Filippo sono leggendarie. È comunque probabile che, dopo la Pentecoste, egli abbia attraversato l’Asia Minore spingendosi fino alla Scizia, l’attuale Ucraina e poi nella Frigia, nella cui capitale, Gerapoli, sarebbe stato martirizzato su una croce decussata, cioè a forma di X e con la testa all’ingiù. Dopo diverse vicende le sue reliquie sarebbero state trasportate a Roma e sepolte nella basilica dei Dodici Apostoli.

Giacomo è detto “il Minore”, in una relazione rispetto a non ben precisati parametri, forse cronologici, all’altro Apostolo che ha lo stesso nome, Giacomo di Zebedeo, fratello di Giovanni. L’unica notizia certa che abbiamo di lui è che fu Apostolo del Signore; per il resto dobbiamo attingere a tradizioni, difficilmente comprovabili. Secondo alcuni, egli sarebbe quel cugino di Gesù di cui parla Matteo (13, 55); come tale sarebbe stato molto onorato e stimato dai primi Cristiani e dagli stessi Apostoli, e avrebbe avuto un ruolo distinto nella primitiva comunità di Gerusalemme che avrebbe retto dopo la partenza di Pietro.

Nell’anno 62, secondo la tradizione, la fama che Giacomo godeva a Gerusalemme e la crescita della comunità Cristiana provocarono una sollevazione popolare e l’Apostolo fu preso e gettato dal pinnacolo del tempio. Porta il suo nome una lettera apostolica di stile sapienziale, diretta a tutta la Cristianità il cui contenuto dovrebbe essere meglio conosciuto e meditato per le sue alte implicazioni pratiche nella vita delle comunità Cristiane di ogni tempo e, in special modo, nelle opere di carità.

Certamente le Letture della Celebrazione Eucaristica per questi due Apostoli ci inducono a meditare sul loro impegno nel portare avanti, per tutti gli uomini e le donne, il lieto annuncio ricevuto da Gesù ed il mandato missionario che lo stesso Signore rivolge sempre anche a noi “suo popolo e gregge che egli conduce” (Sal 95, 7).

L’Antifona, infatti, ci dice: “Questi sono uomini santi: il Signore li ha eletti nel suo amore generoso, ha dato loro una gloria eterna”.

Mentre l’Orazione Colletta le fa eco: “O Dio, nostro Padre, che rallegri la Chiesa con la festa degli apostoli Filippo e Giacomo, per le loro preghiere concedi al tuo popolo di comunicare al mistero della morte e risurrezione del tuo unico Figlio, per contemplare in eterno la gloria del tuo volto”.

Un’omelia dell’amico Don Guido Marini, Vescovo di Tortona, ha aperto il mio cuore alla seguente meditazione.

Nella Prima Lettura, Paolo scrive alla comunità Cristiana di Corinto e sottolinea: “Il Vangelo che io vi ho annunciato…”. Solo sette parole in cui, però, c’è davvero il cuore, il centro della vita Cristiana. Paolo ha annunciato il Vangelo, una “buona notizia”, capace di colmare di gioia il cuore di coloro che l’ascoltano e l’accolgono nella loro vita. Siamo talmente abituati a usare la parola “Vangelo” che, a volte, rischiamo di dimenticarci il significato che essa ha. È una notizia bella, che porta gioia, che cambia la vita e le dà davvero pienezza e fecondità. Ma tutti noi viviamo una tentazione che è di oggi, come lo è stata di ieri e come lo sarà di domani: quella del moralismo, che non esprime la verità liberante della morale, ma come tutti gli -ismi la ideologizza e la vanifica. Non è una buona notizia, non riempie di gioia e non trasforma la vita, rendendola davvero bella. Anzi, diventa un peso che, come scrive Matteo 23,1-12, mettiamo sulle spalle degli altri. Invece, non dimentichiamolo mai, Gesù non è venuto a dirci: “Tu devi!” come avevano già fatto altri e molti hanno continuato, continuano e continueranno a dire. Lui è venuto a dirci: “Tu puoi”, perché in virtù del mio amore, del mio dare la vita per te, del mio sacrificio, il tuo cuore, la tua vita sono cambiati e tu puoi vivere in un modo nuovo e diverso secondo una misura alta della carità. Tu puoi!”. Per questo l’annuncio di Paolo è Vangelo, per questo il Vangelo è “buona notizia” e per questo quello che noi diciamo agli altri non può che essere una buona notizia, incontrando la quale il cuore si riempie, perché incontrando quel Vangelo il cuore incontra ciò che attendeva. Anzi, molto di più di ogni sua attesa. In questo senso, questo primo punto fermo che la Parola di Dio ci ricorda ci interpella; non è forse vero, infatti, che a volte rischiamo di presentare la fede come una sorta di dovere, come un moralismo, semplicemente come un insieme di precetti e ritualismi da osservare? Qual è la novità, allora, se questo è ciò che diciamo e trasmettiamo? No! Noi possiamo vivere in un modo nuovo perché abbiamo incontrato il Vivente, Cristo Risorto, che ci ama e ci trasforma la vita.

Chiediamo la grazia di saper comunicare, con le nostre parole, con la nostra vita, la gioia autentica del Vangelo, una novità straordinaria che non può non affascinare e che salva la nostra umanità. Se coloro che ci ascoltano, a volte, rimangono appesantiti, annoiati, delusi non sarà perché trasmettiamo non una bella notizia, che è Cristo Salvatore, ma un moralismo pesante e sterile?

È ancora Paolo che ricorda un secondo punto fermo ai Cristiani di Corinto esortandoli, preoccupato che si attengano alle sue parole, a restare saldi e a non cambiare quanto è stato ricevuto. Ciò che Paolo ha ricevuto non è suo, non gli appartiene, è la fede che noi stessi abbiamo ricevuto e che viene trasmessa, di generazione in generazione, con fedeltà. Paolo è preoccupato di questa fedeltà nella trasmissione della fede, perché sa che c’è una tentazione: quella di modificare il contenuto della fede, di abbassare, di tradirne il contenuto, forse anche a seconda dei tempi nei quali viviamo; e allora raccomanda: “Io vi ho trasmesso quello che ho ricevuto, voi anche trasmettete quello che avete da me ricevuto, senza cambiarlo”.

È un tesoro prezioso che ci è stato consegnato e che noi siamo chiamati, a nostra volta, a consegnare integro, in tutta la sua bellezza, alle generazioni che vengono dopo di noi. Se è vero che viviamo la tentazione del moralismo, considerando questo secondo punto fermo è anche vero che noi viviamo una specie di ossessione: quella del modo di trasmettere la fede.  Il metodo è importante, va scoperto, va approfondito, va usato con saggezza; ma non è questo il centro di ciò che noi trasmettiamo. Il centro a cui dobbiamo appassionarci davvero, che dobbiamo rendere sempre più nostro, conoscere, approfondire, farlo diventare vita della nostra vita è il contenuto, ovvero il mistero di Cristo che “morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici”.

Questo è il centro! Non il metodo! Rischiamo, invece di rimanere ossessionati dal metodo perdendo di vista il contenuto e il suo centro. Paolo con queste parole ci riporta al centro e al cuore anche della nostra testimonianza. Non dimentichiamolo.

C’è poi un terzo punto fermo che ci è ricordato nel Vangelo di oggi. È Gesù stesso che parla di sé: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”. Queste parole nessuno può cambiarle, nessuno. E significano che al Padre si va soltanto attraverso di Lui, Gesù; e che, dunque, Egli è l’unico autentico Salvatore del mondo e dell’uomo. È Lui la Via senza la quale ci perdiamo, la Verità senza la quale siamo nell’errore, la Vita senza la quale siamo nella morte. Non trasmettiamo nulla se pensiamo di farlo parlando d’altro senza parlare di Cristo, senza partire da lui ed arrivare a lui. Per questo nel trasmettere la fede, non possiamo non ripetere – e con partecipazione crescente – nel nostro cammino personale: “Cristo è tutto per noi!”. E nella misura in cui diventa nostra questa parola, perché diventa carne della nostra carne e vita della nostra vita, allora diventiamo davvero capaci di trasmettere il Vangelo in tutta la sua debordante ricchezza a partire da Gesù Cristo, risorto da morte, vivo, nostro salvatore, nostra speranza e nostro tutto.

Questi sono i tre punti fermi che, oggi, la Parola del Signore ci ricorda, nella festa dei Santi Apostoli Filippo e Giacomo. Non dimentichiamoli mai.

Ma come possiamo realizzare questi punti fermi? Lo possiamo nella misura in cui la nostra è una vita di sequela autentica di Gesù, nella misura in cui la nostra comunione con Lui cresce quotidianamente, nella misura in cui avvertiamo che la santità è la chiamata che ci segue e che ci insegue ogni giorno, nella misura in cui lasciamo che il Signore entri nella nostra vita e la occupi tutta.

Se c’è, dunque, un primato che il Cavaliere e la Dama di un Ordine Sacro come il nostro è chiamato a vivere, questo è il primato della vita spirituale, della vita di grazia, del rapporto con il Signore, della preghiera, dell’ascolto della Parola, della partecipazione ai sacramenti. Questo ci rende possibile essere davvero colui o colei che trasmette la fede con la certezza della fecondità dell’annuncio.

Un’ultima parola. Tante volte ci è stato ripetuto che per essere credibili annunciatori dobbiamo essere autentici testimoni. Già San Paolo VI diceva che la Chiesa ha bisogno più di testimoni che di maestri, e che i maestri sono tali solo se sono testimoni. Un’attenzione, tuttavia, è d’obbligo per evitare fraintendimenti. Le due dimensioni – maestro e testimone – non si escludono; siamo, infatti, chiamati a trasmettere la fede con la vita e con la parola. Entrambe sono decisive ed entrambe devono essere testimonianza di un incontro che ha cambiato la vita a noi e a motivo del quale diciamo a tutti che la fede è il tesoro più prezioso e che il Signore è davvero Colui che ci salva.

Noi, cari Confratelli ed amate Consorelle siamo chiamati a essere una testimonianza vivente di Gesù Cristo. Nella vostra parola si possa sentire la parola di Gesù, nella vostra vita si possa vedere la presenza di Gesù. Perché Cristo è in voi ed è l’Amore del vostro cuore. Chiediamo al Signore che non soltanto quei punti fermi, quei capisaldi rimangano impressi nel nostro cuore, ma anche che possiamo sempre più essere simili ai due Apostoli che oggi festeggiamo nell’incarnare una credibile testimonianza della buona notizia del Vangelo agli uomini ed alle donne di oggi con il coraggio della fede, con la forza della speranza, con l’ardore della carità.

Indice dei podcast trasmessi [QUI]

Foto di copertina: San Giacomo apostolo e San Filippo apostolo, 1590-1627, olio su tela, 135×116 cm.

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