Riflessioni sulle letture festive – Festa dell’Esaltazione della Santa Croce: “Vexilla regis prodeunt, fulget crucis mysterium”

Nell’obiettivo di fornire una formazione continua ai Cavalieri, Dame e Postulanti del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, l’Ufficio Stampa della Real Commissione per l’Italia pubblica sul proprio canale Speaker dei podcast su vari temi con cadenza bisettimanale e riflessioni sulle letture festive, a cura dal Referente per la Formazione della Delegazione di Roma e Città del Vaticano, Prof. Enzo Cantarano, Cavaliere di Merito con Placca d'Argento. Di seguito riportiamo l’audio e il testo della riflessione sulle letture per la festa dell’Esaltazione della Santa Croce: “Vexilla regis prodeunt, fulget crucis mysterium”.
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Podcast 2/1 – 14 settembre 2024 – Festa dell’Esaltazione della Santa Croce: “Vexilla regis prodeunt, fulget crucis mysterium”

La Croce non fu da subito il simbolo ed il segno dei Cristiani anche perché il suo uso giudiziario non cessò con la Pasqua di Gesù e risuonava ancora la frase di Galati 3,13: “Maledetto chi pende dal legno”.

L’immagine più simile fu, inizialmente, il Xi-Ro o Cristogramma, che anche Costantino, secondo la tradizione, scelse come suo emblema personale prima della Battaglia di Ponte Milvio, che gli assicurò il Principato. Per rappresentare Cristo si preferivano altre immagini: il pesce, ICTUS, acronimo, in greco di Gesù Cristo di Dio Figlio Salvatore; oppure il buon pastore, figura con cui si era presentato Gesù stesso. Quando la Croce, per opera di Costantino e di sua madre, Elena, perse le sue connotazioni negative e venne rappresentata anche nell’arte Cristiana, essa fu valorizzata da un Crocifisso vivo, assiso su di essa come su un trono regale, riccamente vestito come Re-Sacerdote trionfante e Salvatore e non, come fu realmente, nudo, a significare la sua totale kenosis, svuotamento, discesa, abbassamento, senza umiliazione, di Dio nell’uomo senza veli a coprire improbabili impudicizie.

La festa dell’Esaltazione della Santa Croce ha un’origine molto antica e gli Orientali tutt’ora la celebrano con una solennità paragonabile a quella della Pasqua. Costantino aveva fatto costruire a Gerusalemme una basilica sul Golgota e un’altra sul Sepolcro di Cristo Risorto dopo la “invenzione” della Santa Croce ad opera di Elena, sua madre. La dedicazione di queste basiliche avvenne il 13 settembre del 335, mentre il giorno seguente, appunto il 14, al popolo veniva esposta per la venerazione l’insigne reliquia. Da quest’uso ebbe origine la celebrazione del 14 settembre.

A questo anniversario si aggiunse, poi, il ricordo della vittoria di Eraclio sui Persiani (628), ai quali l’Imperatore strappò le reliquie della Croce, che furono solennemente riportate a Gerusalemme. Da allora celebriamo il trionfo della Croce che è segno e strumento della nostra salvezza: “Nell’albero della Croce tu [o Dio] hai stabilito la salvezza dell’uomo, perché donde sorgeva la morte, di là risorgesse la vita, e chi dall’albero traeva vittoria, dall’albero venisse sconfitto, per Cristo nostro Signore” (Prefazio).

Dunque, la celebrazione di oggi assume anche un significato ben più grande di quello prettamente storico: è la celebrazione del mistero della Croce che Cristo, da strumento di ignominia e di supplizio, ha trasformato in strumento di salvezza.

La formulazione più profonda di questo mistero si ha nella Seconda Lettura di questa festa, tratta dalla lettera di Paolo ai Filippesi (Fil 2,6-11): Cristo “umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome” (Fil 2,8-9). Così pure Giovanni, nel brano evangelico (Gv 3,13-17), ci dà una lettura preziosa del mistero della croce, quella dell’amore di Dio: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16).

Comunque, la glorificazione di Cristo passa attraverso il supplizio della Croce e l’antitesi sofferenza-glorificazione diventa fondamentale nella storia della Redenzione. Cristo si sottomette volontariamente alla condizione umiliante di schiavo e questo supplizio infamante viene tramutato in gloria eterna. Così la Croce diventa il simbolo e il compendio della religione Cristiana. La stessa evangelizzazione, operata dagli apostoli, è presentazione di Cristo crocifisso. San Paolo afferma: “Predico Cristo e Cristo crocifisso” (Cfr. 1Cor 2,2) e anche noi possiamo pregare con l’Antifona d’ingresso: “Di null’altro ci glorieremo se non della croce di Cristo Gesù, nostro Signore: Egli è la nostra salvezza, vita e resurrezione. Per mezzo di Lui siamo stati salvati e liberati”. Ecco la nostra fede, ecco la nostra salvezza! E con la Colletta preghiamo: “O Padre, che hai voluto salvare gli uomini con la croce del tuo Figlio unigenito, concedi a noi, che abbiamo conosciuto in terra il suo mistero, di ottenere i frutti della sua redenzione”.

Per questo ogni nostra preghiera, ogni nostra azione, inizia con il segno della Croce. Esso ci aiuta a ricordare, a celebrare, ad accogliere, a vivere l’amore infinito di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, come ci è dimostrato da Gesù sulla Croce. Diventa allora il segno e la forza della testimonianza Cristiana che i giovani, come gli adulti, nella Comunione dei Santi, sono chiamati a offrire al mondo in ogni epoca della storia. Ogni croce o sofferenza che noi stessi viviamo e che l’umanità intera vive, sono la partecipazione alla Croce di Cristo per la salvezza del mondo. Dice San Paolo: “Completo nella mia carne ciò che manca ai patimenti di Cristo, a vantaggio del suo Corpo, che è la Chiesa” (Col 1,24), cioè la Comunità di tutti quelli che credono in lui.

Ciò che è stoltezza, diventa sapienza; ciò che è considerato disgrazia diventa grazia e benedizione. Al canto pasquale che accompagna i fedeli mentre fanno l’adorazione della croce: “Ti saluto o croce santa, che portasti il redentore”, fa eco quello composto da Venanzio Fortunato nel VII secolo, il Vexilla Regis: “I vessilli del Re avanzano; risplende il mistero della Croce, al cui patibolo il Creatore della carne con la propria carne fu appeso… qui è stata immolata la vittima… si compì quel che cantò Davide con veridica profezia quando disse: “Dio regnò dal legno” (della Croce)…Salute a te, o altare! Salute a te, o vittima, a seguito della gloria della Passione, per la quale la Vita sopportò la morte e attraverso la morte restituì la vita …Salve, o Croce, unica speranza!”

Questo saluto oggi diventa una festa e una esaltazione che riguarda in primo luogo Colui che “umiliandosi per noi si è fatto obbediente fino alla morte e alla morte di croce”. E Dio stesso lo ha poi “esaltato perché ogni ginocchio si pieghi in cielo e in terra e ogni lingua proclami che Gesù è il Signore”. Celebriamo, quindi, con la Croce, la gloria della Trinità intera ed il suo disegno eterno di liberazione, redenzione e salvezza di tutto il Creato.

Tutto questo ci infonde speranza, luce e forza: anche noi, indissolubilmente legati alla croce, veniamo esaltati perché redenti, perché anche noi siamo candidati alla risurrezione con Cristo. Certo è quantomeno strano parlare della croce in termini di “esaltazione”: come si può esaltare lo strumento di tortura più spietato che la mente umana abbia saputo concepire?

Eppure noi, ogni anno celebriamo la Croce, non per quanto umanamente parlando essa rappresenta, ma per quanto divinamente parlando essa è. L’uomo l’ha concepita come la sintesi del dolore del mondo mentre Dio l’ha trasformata in ricapitolazione del suo amore per il mondo. L’uso liturgico, che vuole la Croce presso l’altare quando si celebra la Messa, rappresenta un richiamo alla figura biblica del serpente di rame che Mosè innalzò nel deserto: guardandolo gli Ebrei, morsi ed avvelenati dai serpenti erano guariti. Giovanni nel racconto della Passione dovette aver presente il profondo simbolismo di questo avvenimento dell’Esodo (cfr. Prima Lettura), e la profezia di Zaccaria, quando scrive: “Volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto” (Zc 12,10; Gv 19,37).

Il simbolo della Croce ha sacralizzato per secoli ogni angolo della terra e ogni manifestazione sociale e privata. Oggi rischia di essere spazzato via o peggio strumentalizzato da una moda consumistica. Tuttavia, rimane sempre un simbolo che fa volgere almeno il pensiero ed il ricordo a tutti i “crocifissi” di sempre: i poveri, gli ammalati, i vecchi, gli sfruttati, gli emarginati, i bambini abusati, ecc. Essi sono i Cristi di oggi, ancora e sempre inchiodati e presenti col loro corpo crocifisso nel “vivo” delle nostre Eucaristie. A noi, figli del “benessere”, verrà la salvezza tramite loro, per i quali è sempre valida la parola del Vangelo: “Avevo fame… avevo sete… ero forestiero… ero nudo… ero malato…” (Cfr. Mt 25). Chi ama ha sempre nel cuore i luoghi, gli oggetti, i momenti che gli rinnovano il ricordo dell’amato.

La Croce è il luogo dove Gesù ci ha amato fino alla fine ed è venuto a cercare con grande misericordia l’umanità smarrita. Proprio lì il figlio di Dio divenne solidale con tutti gli uomini, specialmente con quelli che soffrono e con quelli che apparentemente hanno perduto ogni speranza. La Croce ci parla di questa relazione particolare che Cristo ha con ogni persona che si apre alla sua consolazione e al suo perdono. Nel dirigere il nostro sguardo alla Croce, possiamo ricordare tutto quello che Cristo ha fatto per noi, cominciando dal sacrificio che ci ha permesso di recuperare la vita. Ma anche la Croce senza Crocifisso non perde le sue valenze simboliche, anzi, è un simbolo forse ancora più potente e, soprattutto, impegnativo: “La Croce solitaria sta chiedendo spalle che se la carichino”. Secondo alcuni, la Croce sembra annunciare solo dolore. Eppure per i cristiani è un invito a essere generosi, a unirci a Gesù che ci aspetta per concederci la stessa capacità di vivere sempre con amore, senza dare spazio alle conseguenze del peccato. Sulla Croce il Signore restaura la natura ferita dell’uomo: davanti alla più grande ingiustizia, Gesù non permette che nel suo cuore umano nascano il risentimento, la disobbedienza, l’odio, ecc.

Perciò caricarsi della Croce non consiste solamente nel “sopportare con pazienza le tribolazioni quotidiane, ma nel portare con fede e responsabilità quella parte di fatica, quella parte di sofferenza che la lotta contro il male comporta. […] Così l’impegno di “prendere la croce” diventa partecipazione con Cristo alla salvezza del mondo”, dice Papa Francesco nell’Angelus del 30 agosto 2020. “Per un Cristiano esaltare la Croce vuol dire entrare in comunione con la totalità dell’amore incondizionato di Dio per l’uomo” afferma Papa Benedetto XVI nel Discorso del 14 novembre 2012.

Il Signore continua ad attrarre dalla Croce una folla di uomini e donne: «E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32). Per lui la Croce è il momento della vittoria definitiva, la via per conquistare i cuori che tanto ama. È il trono dal quale egli regna e che è il simbolo della “vittoria dell’amore sull’odio, del perdono sulla vendetta, del servizio sul dominio, dell’umiltà sull’orgoglio, dell’unità sulla divisione”, dice Papa Benedetto XVI nel suo Discorso del 14 novembre 2012. Ricordiamo che Maria è stata capace di rimanere ai piedi della Croce facendo compagnia a suo figlio ed è lui che ci ha offerto sua Madre affinché non siamo mai soli ed abbandonati quando, dopo avere preso la nostra croce, come da Gesù stesso richiesto, ci troveremo in essa confitti e nudi.

L’Esaltazione della Santa Croce non è l’esaltazione del dolore, ma l’esaltazione del nostro nascondimento nelle sante piaghe del Redentore mediante le quali giungiamo alla Redenzione ed alla vita eterna. Mi piace pensare alla festa di oggi come al giorno in cui il Cristiano, ai piedi della Croce, chiede a Dio il dono della speranza di vivere la propria vita, magari accompagnata da tante prove, non come un Venerdì Santo perenne, ma come un cammino che passa anche per il Venerdì Santo, ma che non si ferma lì.

Il Cristiano ai piedi della Croce deve chiedere a Dio il dono della speranza che ebbe Maria ai piedi della Croce, ossia che il dolore e la morte non avranno mai l’ultima parola. Chiediamo davanti al Crocifisso il dono della speranza! Guardiamo la Croce di Gesù e chiediamo di donare totalmente la nostra vita in difesa del bene che viene da Dio e il dono della speranza che di fronte al dilagare di tanto male ci rassicura che sarà il bene di Cristo a vincere.

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Foto di copertina: miniatura dal Rosario di Giovanna la Pazza (Regina di Castiglia, che commissionò il manoscritto al più prestigioso pittore e miniatore fiammingo dell’epoca, Simon Bening, che vantava, tra i suoi clienti più famosi, l’Imperatore Carlo V e Fernando, infante di Portogallo), secolo XVI, The Boston Public Library.
Maria sconvolta, Giovanni e le tre Marie a sinistra della Croce, due romani a cavallo a destra, teschio e ossa ai piedi della Croce; lo sfondo è composto da una montagna scoscesa a sinistra, una dolce collina a destra, una città in mezzo, presumibilmente Gerusalemme, con altre colline che si innalzano in lontananza sullo sfondo.

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