Podcast 2-88 – 3 luglio 2025 – Festa di San Tommaso apostolo
Prima Lettura: Ef 2,19-22 – Edificati sopra il fondamento degli apostoli. Salmo responsoriale: Sal 116 – Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo. Vangelo: Gv 20,24-29 – Mio Signore e mio Dio!
Esulti la tua Chiesa, Dio onnipotente, nella festa del santo apostolo Tommaso; ci sostenga la sua protezione perché, credendo, abbiamo vita nel nome di Gesù Cristo, tuo Figlio, che egli riconobbe come suo Signore e suo Dio. Egli vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
Il nome “Tommaso”, in aramaico, significa “gemello”, e, infatti, Giovanni, nel suo Vangelo, lo chiama col nome greco “Didimo” (Gv 11,16; 20, 24).
Non sappiamo né dove è nato né quale professione svolgesse. I sinottici si accontentano di nominarlo nell’elenco degli Apostoli (Mt 10,3; Atti 1,13). Invece Giovanni, il cui Vangelo si diffonde sui diversi modi di “conoscenza” o di “non accettazione” del messaggio di Cristo, sembra dare una grande importanza alle sue reazioni nella vita quotidiana degli Apostoli. Per questo egli lo considera quasi come un simbolo della loro incredulità: Tommaso percepisce subito le difficoltà e i pericoli di un viaggio a Gerusalemme, ma non ne afferra il profondo significato (Gv 11,16); rimane perplesso di fronte alle prospettive del discorso del Signore nell’ultima Cena (Gv 14,1- 6).
E già prima, al capitolo 11, Giovanni ce lo mostra energico e risoluto, ma assolutamente pessimista. Gesù ha lasciato la Giudea, diventata troppo pericolosa: ma all’improvviso decide di ritornarci, andando a Betania, dove è morto il suo amico Lazzaro. I discepoli trovano che è rischioso, ma Gesù ha deciso: si va. E qui si fa sentire la voce di Tommaso, obbediente e pessimistica: “Andiamo anche noi a morire con lui”. È sicuro che la cosa finirà male. Tuttavia, non abbandona Gesù: preferisce condividere la sua disgrazia, pur valutandone pragmaticamente i rischi. Facciamo torto a Tommaso ricordando solo il suo momento famoso di incredulità dopo la Risurrezione. Lui è ben altro che un seguace tiepido. Ma è un realista pragmatico, credere non gli è facile e non vuol fingere che lo sia. Dice le sue difficoltà, si mostra com’è, ci somiglia, ed, almeno in questo, ci aiuta.
Eccolo all’ultima Cena (Giovanni 14), stavolta come interrogante un po’ disorientato. Gesù sta per andare al Getsemani e dice che va a preparare per tutti un posto nella casa del Padre, soggiungendo: “E del luogo dove io vado voi conoscete la via”. Obietta subito Tommaso, candido e confuso: “Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?”. Discepolo dubbioso, come tutti gli altri del resto, ma sempre schietto, quando non capisce una cosa lo dice e chiede, con coraggio e fiducia al Maestro. Proprio per questa domanda dobbiamo proprio a Tommaso anche una delle più sublimi sintesi del messaggio di salvezza e santificazione di Gesù che riassume per lui tutto il suo insegnamento: “Io sono la via, la verità e la vita”. Sempre in Giovanni, ma al capitolo 20, leggiamo la pericope che ha reso Tommaso “ingiustamente” famoso come testardo e miscredente: Gesù è risorto; è apparso ai discepoli, tra i quali però lui non c’era. E lui, sentendo parlare di Risurrezione “solo da loro”, esige di toccare con mano. Non crede a coloro, dei quali conosce l’inaffidabilità, ma crede a Gesù e lo ha già dimostrato. E Gesù viene, otto giorni dopo, lo invita a “controllare”… Ed ecco che Tommaso, proprio quello che poi diverrà per molti il simbolo del materialista incredulo tanto da restare icasticamente immortalato nel famoso modo di dire “fare come san Tommaso: se non vedo non credo”, emette, al versetto 28, evidentemente pieno di Spirito Santo, senza neppure avere ricevuto soffio di Gesù sugli altri apostoli cui si riferisce il versetto 22, la prima professione di pura fede nella divinità del Maestro come nessuno finora aveva mai fatto. Ed è proprio a questa professione di fede che dobbiamo la successiva promessa del Signore valida per tutti, in tutti i tempi: “Beati quelli che, pur non avendo visto, crederanno”.
La vita di Tommaso è un lungo itinerario che parte dal realismo umano e arriva alla conoscenza nello Spirito. Egli è ancora citato da Giovanni al capitolo 21 durante l’apparizione di Gesù al lago di Tiberiade e gli Atti (capitolo 1) lo nominano dopo l’Ascensione. Poi più nulla: ignoriamo quando e dove sia morto. Nulla ci è noto dell’opera dell’apostolo dopo la Pentecoste. La tradizione riferisce che avrebbe varcato le frontiere orientali dell’Impero romano spingendosi verso la Persia e addirittura l’India. Ma questa tradizione medioevale, che attribuisce ad ogni apostolo un settore geografico, non ha fondamenti storici accertati. Alcuni testi attribuiti a lui, tra cui anche un Vangelo, sono ritenuti apocrifi ancorché contengano interessanti spunti di valutazione critica. Comunque, a metà del VI secolo, il mercante egiziano Cosma Indicopleuste, che in greco sta per “colui che ha navigato fino in India”, scrive di aver trovato nell’India meridionale gruppi inaspettati di Cristiani e di aver saputo che il Vangelo fu portato ai loro avi da Tommaso apostolo. Sono i “Tommaso-Cristiani”, comunità ancora vive, ma di differenti appartenenze: al Cattolicesimo, a Chiese protestanti e a riti Cristiano-orientali.
In una ispirata omelia per la Festa di oggi, Papa Francesco, di venerata memoria, ebbe a dire: “Gesù, dopo la Resurrezione, appare agli apostoli, ma Tommaso non c’è: “Ha voluto che aspettasse una settimana e il Signore sa perché fa le cose. E a ciascuno di noi dà il tempo che lui crede che sia meglio per noi”. Gesù si rivela con le sue piaghe: “Tutto il suo corpo doveva essere certamente pulito, bellissimo, pieno di luce, ma le piaghe c’erano e ci sono ancora” e quando il Signore verrà, alla fine del mondo, “ci farà vedere le sue piaghe”. Tommaso per credere voleva mettere le sue dita in quelle piaghe: “Era un testardo. Ma, il Signore ha voluto proprio un testardo per farci capire una cosa più grande. Tommaso ha visto il Signore, è stato invitato a mettere il suo dito nella piaga dei chiodi, mettere la mano sul fianco e non ha detto: ‘È vero: il Signore è risorto!’. No! È andato più oltre. Ha detto: ‘Mio Dio!’ Il primo dei discepoli che fa la confessione della divinità di Cristo, dopo la Resurrezione. E ha adorato”. “E così, prosegue il Papa, si capisce qual era l’intenzione del Signore nel farlo aspettare: prendere anche la sua incredulità per portarla non all’affermazione della Resurrezione, ma a quella della sua divinità”. Il “cammino per l’incontro con Gesù-Dio, ha sottolineato, sono le sue piaghe. Non ce n’è un altro”. “Nella storia della Chiesa ci sono stati alcuni sbagli nel cammino verso Dio. Alcuni hanno creduto che il Dio vivente, il Dio dei cristiani, noi possiamo trovarlo per il cammino della meditazione, e andare più alto nella meditazione. Questo è pericoloso. Quanti si perdono in quel cammino e non arrivano. Arrivano sì, forse, alla conoscenza di Dio, ma non di Gesù Cristo, Figlio di Dio, seconda Persona della Trinità. A quello non ci arrivano. È il cammino degli gnostici, no? Sono buoni, lavorano, ma non è il cammino giusto. È molto complicato e non ti porta a buon porto”. “Altri, ha spiegato il Papa, hanno pensato che per arrivare a Dio dobbiamo essere noi mortificati, austeri, e hanno scelto la strada della penitenza, dell’ascesi e del digiuno. E neppure questi sono arrivati al Dio vivo, a Gesù Cristo, Dio vivo. Sono i pelagiani, che credono che con il loro sforzo possono arrivare”. Ma Gesù ci dice che il cammino per incontrarlo è quello di trovare le sue piaghe: “E le piaghe di Gesù tu le trovi facendo le opere di misericordia, al corpo e anche all’anima, ma al corpo, lo sottolineo, del tuo fratello piagato, perché ha fame, perché ha sete, perché è nudo, perché è umiliato, perché è schiavo, perché è in carcere, perché è in ospedale. Quelle sono le piaghe di Gesù oggi. E Gesù ci chiede di fare un atto di fede, a Lui, ma tramite queste piaghe. “Ah, benissimo! Facciamo una fondazione per aiutare tutti e facciamo tante cose buone per loro”. Questo è importante, ma se rimaniamo su questo piano, saremo soltanto dei filantropi. Dobbiamo toccare le piaghe di Gesù, dobbiamo carezzarne le piaghe, dobbiamo curare le sue piaghe con tenerezza, dobbiamo baciarle e questo letteralmente. Pensiamo, cosa è successo a San Francesco, quando ha abbracciato il lebbroso? Lo stesso che a Tommaso: la sua vita è cambiata!”. Per toccare il Dio vivo, ha affermato il Papa, non serve “fare un corso di aggiornamento” ma entrare nelle piaghe di Gesù e per questo “è sufficiente uscire per la strada”. Chiediamo a San Tommaso, ha concluso, la grazia di avere il coraggio di entrare nelle piaghe di Gesù con la nostra tenerezza e sicuramente avremo la grazia di adorare il Dio vivo”.
Mi ha molto colpito, leggendo le “Omelie sui Vangeli” (Om. 26,7-9) di un Papa tanto distante nel tempo, nello stile di vita e, soprattutto, nel pensiero e nell’insegnamento rispetto a Francesco, cioè Gregorio Magno, trovare analoghe considerazioni. “Attribuite forse a un puro caso che quel discepolo scelto dal Signore sia stato assente, e venendo poi abbia udito il fatto, e udendo abbia dubitato, e dubitando abbia toccato, e toccando abbia creduto? No, questo non avvenne a caso, ma per divina disposizione… L’incredulità di Tommaso ha giovato a noi molto più, riguardo alla fede, che non la fede degli altri discepoli… Toccò ed esclamò: “Mio Signore e mio Dio!”… Le cose che si vedono non richiedono più la fede, ma sono oggetto di conoscenza. Ma se Tommaso vide e toccò, come mai gli vien detto: “Perché mi hai veduto, ha creduto?” Altro però fu ciò che vide e altro ciò in cui credette. La divinità infatti non può essere vista da uomo mortale. Vide dunque un uomo e riconobbe Dio… Ci reca grande gioia quello che segue: “Beati quelli che pur non avendo visto crederanno!” (Gv 20,28).
Con queste parole senza dubbio veniamo indicati specialmente noi, che crediamo in colui che non abbiamo veduto con i nostri sensi. Siamo stati designati noi, se però alla nostra fede facciamo seguire le opere. Crede infatti davvero colui che mette in pratica con la vita la verità in cui crede. Dice invece san Paolo di coloro che hanno la fede soltanto a parole: “Dichiarano di conoscere Dio, ma lo rinnegano con i fatti” (Tt 1,16). E Giacomo scrive: “La fede senza le opere è morta” (Gc 2,26).
Indice dei podcast trasmessi [QUI]

Foto di copertina: Giuseppe Diotti, L’incredulità di Tommaso, 1832, affresco, 2,5×4,45 m, presbiterio della cattedrale Santa Maria dell’Assunta, Cremona.