Riflessioni sulle letture festive – II Domenica di Natale. Il Verbo si fece carne

È stato pubblicato sul canale Spreaker dell’Ufficio Stampa della Real Commissione per l’Italia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio il podcast con la meditazione per la II Domenica di Natale, a cura di Prof. Don Pietro Pisciotta, letta dalla Dott.ssa Valentina Villano, Dama di Ufficio, di cui riportiamo di seguito l’audio e il testo. "Oggi è nato per voi un Salvatore": Natale, il Verbo si fece davvero carne. «In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta. (…) E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità» (Gv 1,1-5;14).
Adorazione del Bambino

Podcast 2-38 – 5 gennaio 2025 – II Domenica di Natale. Il Verbo si fece carne

La Liturgia oggi ci invita a meditare il Natale dal Prologo del Vangelo di Giovanni (Gv 1,1-19): una descrizione altamente filosofica e teologica che fa gustare la grandezza del mistero della nascita di Gesù, vero Dio e vero uomo. “In principio era il Verbo”: il termine “Verbo” traduce in italiano la parola latina “Verbum”, in greco “Logos”.

Questo termine esprime sia la parola così come esce dalle labbra, sia il concetto che esso vuole significare. Ogni termine esprime un “concetto o Idea”. La grande “Parola” o Verbum divino esprime la “Sapienza eterna del Padre”, che è eterno. Il grande poeta Dante nella Divina Commedia sulla porta dell’Inferno evidenzia la scritta: “Fecimi la divina podestate [Padre], la somma papienza [Figlio] e ‘l primo amore [Spirito Santo]” [*].

Gesù é il Verbum o Sapienza eterna incarnatasi nel seno purissimo della vergine Maria. La creazione del mondo operata da Dio è opera della sapienza eterna: “Tutto è stato fatto per mezzo di Lui e senza di Lui nulla è stato fatto di ciò che esiste”. La nascita di Gesù è perciò la luce divina che è venuta per irradiare il cammino dell’uomo, che, a causa del peccato, viveva nelle tenebre, nell’oscurità più profonda perché lontano da Dio, fonte della luce vera.

Il prologo di questo Vangelo costituisce una sintesi mirabile di tutto il Vangelo di Giovanni. La nascita o incarnazione del Logos (o Sapienza eterna) fu preparata ed annunziata da Giovanni Battista, che non era la luce ma era nato per rendere testimonianza alla Luce vera. Quando qualcuno cominciò a scambiare Giovanni Battista per il Messia, Giovanni evidenziò: “Io non sono degno neppure di sciogliere i legacci dei suoi sandali… Io battezzo con acqua ma Gesù, il Messia, battezzerà con lo spirito santo e il fuoco!”.

La nascita di Gesù era stata preannunciata dai profeti, che parlavano in nome di Dio. Il popolo, purtroppo, che viveva spesso nelle tenebre trascurando l’insegnamento dei profeti, aveva con il tempo deformato la figura del Messia trasformandolo in un “guerriero”, un re alla maniera umana. Gesù, sapienza eterna, nato dalla vergine Maria a Betlemme, come predetto dai profeti, venne tra i suoi, ma questi non lo riconobbero, non si trovò posto per Lui nella città e fu costretto a nascere in una grotta. La sua nascita fu annunziata da una luce: ai pastori (gli angeli), ai magi (una stella cometa) e subito vennero ad adorarlo.

L’incarnazione del Verbo è perciò un evento, un fatto incontrovertibile di cui si può prendere atto e non scaturisce da una speculazione filosofica e scientifica, ma da un intervento particolare di Dio. Questo evento divino non si dimostra ma si accetta con fede viva e profonda, chi lo accetta sarà chiamato ad essere “figlio di Dio” innestandosi a Cristo Gesù con il battesimo.

L’evento dell’Incarnazione è avvenuto nel tempo ma non è legato al tempo: è un mistero dell’amore di Dio. Nella sua infinita misericordia, Dio ha voluto salvare l’uomo, ma nel rispetto della sua libertà: Dio vuole tutti salvi ma non costringe nessuno. Ciascuno di noi deve fare la sua scelta: accogliere o meno l’opera di Cristo Gesù, non con le parole ma con i fatti.

Una persona non si salva perché è giusta, osserva le leggi, ma si salva solo se accoglie Cristo e il suo messaggio di amore: “A quanti lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio”. Accogliere Cristo significa innestarsi a Lui con il battesimo e amare Dio e i fratelli in nome di Dio. Dio infatti è amore.

All’inizio del nuovo anno, amico che leggi o ascolti, ti invito a camminare con il piede giusto: ama e sarai dalla parte di Cristo Gesù. La preghiera, il riflettere sulla parola di Dio, partecipare alla Messa sono mezzi insostituibili per vivere ed accogliere l’evento dell’Incarnazione del Verbo eterno.

[*] Per me si va ne la città dolente,
per me si va ne l’etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.

Giustizia mosse il mio alto fattore:
fecemi la divina podestate,
la somma sapienza e ’l primo amore.

Dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate.

Queste parole di colore oscuro
vid’ïo scritte al sommo d’una porta;
per ch’io: «Maestro, il senso lor m’è duro»
(Inferno, III, 1-12).

Il terzo canto dell’Inferno è ambientato nella zona dell’Antinferno, che Virgilio e Dante devono attraversare per iniziare la discesa nei cerchi infernali. La prima tappa prevede due incontri molto importanti: il primo con la schiera dei “pusillanimi” – tra cui sembra di poter riconoscere Papa Celestino V – e il secondo con Caronte, mitologico traghettatore dell’Acheronte. Il canto, che vede Dante varcare la celebre porta dell’Inferno, è intessuto di reminiscenze virgiliane dal sesto canto dell’Eneide.
È qui raffigurata la Trinità: il Padre (la “divina podestate”), il Figlio (“la somma sapienza”) e lo Spirito Santo (il “primo amore”).
“se non etterne”: l’iscrizione intende che l’Inferno, originato dalla caduta di Lucifero sulla Terra, è stato creato immediatamente dopo le realtà eterne (ovvero i cieli, gli angeli di Dio, gli elementi), che sono per loro natura incorruttibili.
“m’è duro”: il termine, in rima con “oscuro” (v. 10) intende che l’uomo mortale – quale è Dante – fatica molto a comprendere il concetto di eternità, a lui del tutto estraneo. Occorre quindi l’intervento chiarificatore di Virgilio.
“Lasciate ogni speranza, voi ch’intrate”: l’Inferno è la fine di tutto, di ogni speranza. C’è l’Inferno perché abbiamo la libertà, perché noi siamo uomini. È per consentire la libertà che Dio ha creato l’Inferno. Dio ci ha creato liberi, liberi anche di rinnegarlo, di andargli contro. In questo Canto Dante ci insegna qualcosa sulla Giustizia di Dio: la corrispondenza del destino eterno all’uso della libertà che gli uomini hanno fatto sulla Terra. Tutti i giorni ognuno di noi scegliere se vivere l’Inferno o il Paradiso, se essere per l’altro inferno o paradiso. Nel proseguire la lettura della Divina Commedia continuiamo quindi a ricevere indicazioni per la nostra vita quotidiana sulla terra. Stampiamocelo bene in testa: non è un viaggio nell’Aldilà, è un viaggio per capire la vita che stiamo vivendo.

Indice dei podcast trasmessi [QUI]

Natale, il Verbo si fece davvero carne

Nella spoglia e fredda cornice di una grotta Maria partorisce Gesù. Il Figlio di Dio, manifestazione piena dell’amore del Padre, entra nella storia dell’umanità e l’Incarnazione inizia ad attuarsi.
L’Incarnazione significa che l’uomo Gesù, di cui si festeggia la nascita, è la persona divina del Figlio o il Verbo divino fattosi uomo. Questa verità di fede per i cristiani è nata molto presto nella stessa Chiesa Giudeo-Cristiana, quindi in un ambiente religioso, il Giudaismo, assolutamente contrario a tale affermazione. Era giudicata come bestemmia, perché nega la fondamentale verità dell’unicità di Dio (visto che l’incarnazione suppone che Dio in se stesso è comunione, quindi aperto all’alterità), e nega la Trascendenza divina. Israele, infatti, riconosce la condiscendenza divina, ma non una sua Incarnazione.
Ora la fede Cristiana riconosce che uno della Trinità si è fatto uomo. Cosa significa? Nella tradizione Cristiana del passato si capiva questa verità in chiave antropologica. Significa cioè che il Verbo di Dio è diventato vero uomo (pur rimanendo Dio), quindi che ha assunto un’anima unita ad un corpo passibile e mortale. Come ogni essere umano egli aveva la sua volontà, quindi libertà, e poteva fare delle scelte. Ma essendo anche Dio, Gesù come uomo aveva la visione beatifica e ovviamente sapeva di essere Dio, conosceva le leggi del cosmo, il suo destino. Era perfetto in ogni tappa della sua esistenza, non ha imparato da nessuno, neanche dai genitori.
Ma questa visione dell’Incarnazione corrisponde alla Rivelazione? In passato ci si fermava sul fatto che uno della Trinità si è fatto uomo, cioè ha assunto un corpo mortale come noi. Ora lo stesso Vangelo di Giovanni che insiste sulla divinità di Gesù, nel prologo al Vangelo non scrive «il Verbo si fece uomo», ma «il Verbo si fece carne». E “carne” non significa soltanto essere vero uomo “in carne ed ossa”, ma che il Verbo incarnato si è reso totalmente solidale con la nostra condizione umana di debolezza, di lontananza da Dio, una umanità sotto il dominio di quella potenza nemica che Paolo chiama il Peccato.
Il Figlio divino, fatto uomo, ha dunque vissuto una esistenza umana autentica, con tutti i suoi limiti, anche ignoranza e tentazioni, senza prerogative divine (tranne quelle legate alla sua missione). Egli ha bisogno degli altri per crescere in umanità, ha dovuto imparare, ricevere dai genitori e dalla sinagoga del posto la conoscenza delle Scritture, la conoscenza di JHWH, il Dio che ha fatto alleanza con Israele, e col quale Gesù sente crescere un rapporto filiale singolare. Ma come per ogni israelita, JHWH è l’unico Dio, il Trascendente. E Gesù si sente membro fedele e convinto del suo popolo. Mai gli sarebbe venuto in mente di essere Dio, tanto più che si sente Figlio totalmente dipendente dal Dio unico. Ricordiamo la sua reazione ad un rabbi che lo chiama “Maestro buono”.
Questa solidarietà del Figlio incarnato con la condizione umana è particolarmente sottolineata da Paolo. Ai Galati egli scrive: «Dio inviò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge» (Gal 4,4). Gesù non è presentato soltanto come vero uomo nato come tutti, ma come vero Giudeo vissuto sotto il sistema religioso della Legge di Mosè, e quindi non preparato ad aprirsi all’universale, ad annunciare il Vangelo al mondo degli uomini. Occorreva che la stessa Legge lo espellesse dal suo sistema di salvezza, perché la sua missione acquistasse la dimensione universale.
Paolo è esplicito: «Cristo ci ha riscattato dalla maledizione della Legge, divenuto per noi maledizione (come crocifisso), poiché è stato scritto maledetto ogni appeso al legno» (Gal 3,13). Gesù crocifisso, dichiarato maledetto dalla stessa Legge, si vede respinto dal suo sistema salvifico, e quindi respinto dal popolo dell’alleanza, quindi non più giudeo, ma solo uomo solidale fino in fondo con l’umanità lontana da Dio, cioè nella situazione non-escatologico di ogni essere umano dinanzi a Dio. Là, sulla croce, Gesù ha raggiunto il culmine dell’incarnazione. E là Dio lo risuscita «primogenito di molti fratelli» (Rm 8,29). Paolo è ancora più esplicito nella lettera ai Romani (8,3): «Dio inviò il suo Figlio in una carne conforme a carne di peccato».
L’incarnazione, dunque, porta il Figlio non solo ad essere carne, cioè solidale con la nostra condizione umana di limite creaturale, ma ad essere “carne di peccato”, partecipando dal di dentro alla nostra situazione di non-Dio dovuta al dominio del Peccato. Così egli vive in sé filialmente tale situazione aprendosi all’azione creatrice di Dio.
Natale. Quanto stupore suscita l’azione di Dio! Quel bambino che nasce, cresce e impara a conoscere le condizioni dell’umanità stando in mezzo a noi la dice lunga sull’amore salvifico di Dio per ogni persona (Gérard Rossé).

Foto di copertina: Gerrit van Honthorst, Adorazione del Bambino, 1619-20 circa, olio su tela, 95,5×131 cm, Galleria degli Uffizi, Firenze.
Questo dipinto è uno dei cinque dipinti delle Gallerie degli Uffizi che raccontano il Natale e l’Epifania di Gerrit van Honthorst. Era detto in Italia Gherardo delle Notti, per le caratteristiche ambientazioni “a lume di notte” delle sue composizioni, con gli straordinari giochi di luce dei suoi notturni, avendo subito l’influenza di Caravaggio, da lui conosciuto a Roma nei primi decenni del Seicento. Durante questo soggiorno italiano, l’artista entrò in contatto con il Granduca Cosimo II de’ Medici, che nel 1620 acquistò da lui alcune opere tra cui probabilmente questa Adorazione del Bambino.
La luce della luna è così riflessa nei volti tanto che Gesù bambino è la fonte della luce. Il soggetto del Bambino come fonte di luce è stato utilizzato nuovamente da van Honthorst in altri dipinti.
La luce divina che sprigiona il bambino rende ogni tratto più dolce e soffuso, accarezzando in particolare il volto della Vergine. Sulla parte destra in alto della tela, San Giuseppe si appoggia al suo bastone contemplando il Bambino con un’espressione mista di amore e gioia. Lo sguardo dei due angioletti a sinistra è colmo di umanissima commozione: il tenero rossore delle guance e la cascata di riccioli morbidi donano ancora più naturalezza ai loro volti fanciulleschi. I sorrisi sono spontanei come quelli di bambini ritratti dal vero, con tutta probabilità appartenenti ai garzoni di bottega che i pittori utilizzavano frequentemente come modelli. Come gli angioletti, anche il San Giuseppe sembra un ritratto dal vivo: il volto, su cui spicca una folta barba brizzolata, è segnato dalle rughe che tradiscono l’età più avanzata rispetto a quella della Vergine e la fatica del mestiere di artigiano.

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