Podcast 2-62 – 30 marzo 2025 – IV Domenica di Quaresima. Dio, Padre della misericordia
Prima Lettura: Gs 5,9-12 – Il popolo di Dio, entrato nella terra promessa, celebra la Pasqua. Salmo responsoriale: Sal 33 – Gustate e vedete com’è buono il Signore. Seconda Lettura: 2Cor 5,17-21 – Dio ci ha riconciliati con sé mediante Cristo. Vangelo: Lc 15,1-3.11-32 – Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita.
O Padre, che per mezzo del tuo Figlio
operi mirabilmente la redenzione del genere umano,
concedi al popolo cristiano di affrettarsi
con fede viva e generoso impegno
verso la Pasqua ormai vicina.
Questa è la domenica detta “Laetare”, domenica della gioia. In essa si scopre l’amore misericordioso di Dio, vero Padre che si prende cura di ciascuno di noi. Davanti a Dio non ci sono figli buoni e figli cattivi. Ci sono solo figli che Dio ama e, come ha liberato il popolo d’Israele dalla schiavitù e l’ha condotto nella terra promessa, così ama ciascuno di noi per i quali il Verbo eterno si è incarnato, ha accettato la passione e morte, ha istituto l‘Eucaristia, vero farmaco dell’immortalità.
La parabola del figlio prodigo è assai eloquente: Dio ha creato l’uomo libero e responsabile delle sue azioni. L’uomo ama la sua libertà e Dio la rispetta, ma il cuore di Dio è sempre pronto ad abbracciare il figlio che, disancorato dal Padre, si butta nell’ebbrezza della vita, dimentico che vivere è amare, e l’amore è giustizia e servizio.
Nella parabola, dove Gesù si rivolge agli scribi e ai farisei che mormoravano accusandolo di “accogliere i peccatori e mangiare con loro”, si evidenziano questi effetti fondamentali: emerge la figura del Padre sempre pronto a perdonare e che spera contro ogni speranza. Questo Padre ha due figli diversi, che ama di amore profondo. L’amore spinge il Padre ad attendere il figlio minore anche se volle andare via, sperperò tutto il patrimonio e si ridusse a guardiano di porci. Quando questo figlio pensò di ritornare pentito dal Padre, questi gli va incontro, lo abbraccia, lo invita ad entrare ed organizza una festa dicendo: “Questo figlio era morto ed è risuscitato; era perduto ed è stato ritrovato”.
Con queste parole Gesù chiarisce agli avversari cosa significa amare: amare è perdono, è dimenticare, è sapere voltare pagina. Lo stesso atteggiamento il Padre riserva al figlio maggiore, che era rimasto sempre in casa, ma ora si dimostra indignato per l’agire del Padre e non condivide l’amore paterno per il figlio che ha sbagliato. Il padre gli va incontro, lo invita ad entrare: “Quello che è mio è tuo; ma questi è tuo fratello, che era morto ed è risuscitato; era perduto ed è stato ritrovato”. Davanti a Dio siamo tutti uguali, tutti figli e il cuore del Padre è per tutti misericordia infinità.
La parabola, come vedi, vuole farci comprendere ciò che Dio si aspetta da noi: capire che credere in Dio non significa solo obbedire a norme e regole, ma ci rivela il volto misericordioso di Dio. La misericordia di Dio non è solo ricompensa per i meritevoli, ma è speranza per i perduti e pentiti. Davanti a Dio siamo tutti uguali, tutti figli e il cuore del Padre è per tutti misericordia infinita.
La parabola di Gesù è un invito a levarci ed andare da Lui chiedendo perdono dei peccati. “Padre, ho peccato contro il cielo e contro Te”. Lo stesso Padre ricorda al figlio maggiore di non essere superbo, orgoglioso ma di amare e perdonare: Entra in casa, questo è tuo fratello perduto e ritrovato, morto e risuscitato”. È il momento, amico che ascolti, di prendere vera coscienza dell’amore infinito di Dio, un amore che non si può misurare con la logica terrena, ma solo con la logica divina, perché Dio è amore. Da qui la Domenica della Gioia: il Signore è sempre vicino a chi lo cerca.
Ormai a metà dell’itinerario quaresimale nasce spontanea la domanda: vuoi guarire? Siamo disposti a lasciarci guarire da Gesù? O preferiamo rimanere affezionati alla nostra malattia, debolezza e fragilità? È necessario riscoprire che la Chiesa è una comunità, una grande famiglia dove non esiste una gerarchia ma la “diaconia” e se un membro soffre, tutto l’organismo ne risente. Il confessore non è un giudice ma il padre, il medico, l’amico dello sposo. In questa chiave prepariamoci alla Pasqua di Risurrezione. Allora “mi alzerò ed andrò da mio padre” come il figlio prodigo, perché il Signore è vicino a chi lo cerca.
La Vergine santa, la Madonna delle grazie ci accompagni e ci conduca all’abbraccio con Dio grande e misericordioso.
Indice dei podcast trasmessi [QUI]

Foto di copertina: Rembrandt Harmenszoon van Rijn, Il ritorno del figlio prodigo, 1668 circa, olio su telo, 262×205 cm, Museo dell’Hermitage, San Pietroburgo, Russia.
Il quadro si ispira alla parabola del figlio prodigo o del padre misericordioso Nel Vangelo di Luca (Lc 15,11-32). La scena raffigura la conclusione della vicenda, il perdono del padre nei confronti del figlio pentito della propria condotta. Il giovane, vestito di stracci logori, è in ginocchio dinnanzi al padre, di cui ha sperperato le sostanze. L’anziano lo accoglie con un gesto amorevole e quasi protettivo. Sulla destra, osserva la scena un personaggio identificato col figlio maggiore, mentre sullo sfondo si distinguono due figure non ben identificate. Al figlio maggiore non basta aver “servito” il padre, se non si rende conto di essere veramente “fratello” del peccatore (lo chiama “questo tuo figlio” nel dialogo col padre) e se non riesce a cogliere la conversione ed il perdono per quello che è: un’occasione di festa per il ritorno alla vera vita.
La testa del figlio è priva di capelli, come quella di un feto. La simbologia riporta al significato che il perdono del Padre rinnova il figlio fino a renderlo scevro da colpa alcuna come colui che non essendo ancora nato non può averne commesse.
La luce scivola dai personaggi secondari per soffermarsi sulla scena principale e catturare così l’attenzione dell’osservatore, che si trova con gli occhi alla stessa altezza del figlio pentito, come se il pittore volesse suggerire un’identificazione tra finzione e realtà.
Tuttavia, il particolare forse più importante di questo quadro, sono le mani del Padre misericordioso. Se le si osservano attentamente possiamo notare che non sono uguali, ma sono una maschile ed una femminile. Gli esegeti ritengono che in questa rappresentazione non sono presenti donne poiché Rembrandt presentava il Padre misericordioso come il Dio che accoglie tutti, specialmente i peccatori redenti. E quindi riteneva che non è solo il “nostro” Padre ma è anche la “nostra” Madre: Lui è il tutto.
Altro particolare notevole sono gli occhi del Padre, occhi di cieco. Il Padre, Dio che ama l’uomo, ha consumato gli occhi nel guardare l’orizzonte in attesa del ritorno del figlio.
Il Dio misericordioso, immaginato da Luca e mirabilmente rappresentato in questo capolavoro di Rembrandt, rappresenta un salto impressionante nella modernità. La loro visione mistica contempla un Dio che perdona chi ha il coraggio di chiedere perdono, invitando ad una visione più umana di religione. Al figlio maggiore, infatti, non basta aver “servito” il Padre, se non si rende conto di essere veramente “fratello” del peccatore (lo chiama “questo tuo figlio” nel dialogo col Padre) e se non riesce a cogliere la conversione ed il perdono per quello che è: un’occasione di festa per il ritorno alla vera vita.
Le luci e le ombre sono orchestrate, assieme al gioco dei colori (rossi e nero), in modo tale da guidare lo sguardo dello spettatore sempre al centro della scena, a quell’abbraccio che è vero protagonista della storia. Rembrandt dipinse questo quadro poco prima di morire, alla fine di una vita travagliata e segnata da lutti familiari, ristrettezze economiche, debiti, solitudine e abbandono. Pronto a farsi accogliere dalle braccia del Padre, probabilmente si identificò nella figura mendicante del figlio.
Sin dalla sua prima parola, con la preghiera del Padre Nostro, Cristo ci introduce in una nuova dimensione del rapporto con Dio. Egli non è più solo il nostro “Dominatore”, il nostro “Signore” o il nostro “Padrone”. È nostro Padre. E noi non sono solo servi, ma figli. Noi ci rivolgiamo dunque a Lui, Padre, con il rispetto dovuto a Colui che è anche quelle cose, ma con la libertà, la fiducia e l’intimità di figli, consapevoli di essere amati, fiduciosi anche nella disperazione e nel mezzo della schiavitù del mondo e del peccato. Lui, il Padre che ci chiama, in attesa del nostro ritorno, io figliol prodigi che torneranno a Lui pentiti.
È nostro Padre, Padre di tutti: del ricco e del povero, del santo e del peccatore, del colto e dell’illetterato, che tutti chiama instancabilmente a Lui, al pentimento, al Suo amore. “Nostro”, certamente, ma non confusamente di tutti: Dio ama tutti ed ognuno singolarmente; Egli è tutto per noi quando siamo nella prova e nel bisogno, è tutto nostro quando ci chiama a Sé con il pentimento, la vocazione, la consolazione. L’aggettivo non esprime un possesso, ma una relazione con Dio totalmente nuova; forma alla generosità, secondo gli insegnamenti di Cristo; indica Dio come comune a più persone: non c’è che un solo Dio ed è riconosciuto Padre da coloro che, mediante la fede nel Suo Figlio unigenito, da Lui siamo rinati mediante l’acqua e lo Spirito Santo. È la Chiesa questa nuova comunione di Dio e degli uomini (CCC, 2786, 2790).