Riflessioni sulle letture festive – Meditazione sulle letture della festa della Conversione di San Paolo Apostolo

È stato pubblicato sul canale Speaker dell’Ufficio Stampa della Real Commissione per l’Italia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, a cura del Referente per la Formazione della Delegazione di Roma e Città del Vaticano, il Prof. Enzo Cantarano, Cavaliere di Merito con Placca d'Argento, il podcast con la meditazione sulle letture della festa della Conversione di San Paolo Apostolo, di cui riportiamo di seguito l’audio e il testo. Uno dei più gloriosi trionfi della grazia divina é la Conversione di San Paolo Apostolo, che la Chiesa celebra oggi con festa particolare. Paolo, docile ai voleri di Dio, tanto crebbe nell'amore di Gesù, che arrivò a dire: «Chi mi separerà dalla carità del mio Gesù? Forse la persecuzione? La fame? I sacrifici o la morte? Ah, no, né la vita, né la morte, né il presente, né il futuro saranno capaci di separarmi da quel Gesù per cui vivo, per cui lavoro e col quale sono crocifisso. Egli sarà la mia corona perché non sono io che vivo ma è Gesù che vive in me». «Iddio permette nella Chiesa le persecuzioni affinché la sua vigna, potata, produca frutti più abbondanti» (Sant’Agostino).
Conversione di San Paolo

Podcast 2-44 – 25 gennaio 2025 – Meditazione sulle letture della festa della Conversione di San Paolo Apostolo

«Festa della Conversione di San Paolo Apostolo, al quale, mentre percorreva la via di Damasco spirando ancora minacce e stragi contro i discepoli del Signore, Gesù in persona si manifestò glorioso lungo la strada affinché, colmo di Spirito Santo, annunciasse il Vangelo della salvezza alle genti, patendo molto per il nome di Cristo» (Martirologio Romano).

Oggi, celebriamo la festa della Conversione di San Paolo Apostolo. La preghiera Colletta, propria della festa, ci fa invocare: “O Dio, che, con la predicazione dell’Apostolo San Paolo, portasti a tutti i popoli la conoscenza della verità, concedici, al celebrare oggi la sua conversione, che, seguendo il suo esempio, possiamo camminare verso di Te, quali testimoni della tua verità”. Una verità che Dio ci ha concesso di conoscere e che tante e tante anime desidererebbero possedere: abbiamo la responsabilità di trasmettere, fin dove ci sia possibile, questo meraviglioso patrimonio.

Il breve frammento del Vangelo secondo San Marco raccoglie una parte del discorso con riguardo alla missione che il Signore risuscitato conferisce ai suoi. L’esortazione a predicare in tutto il mondo è motivata da un dato oggettivo: la fede ed il battesimo sono requisiti necessari per la salvezza.  Cristo garantisce, inoltre, che ai missionari verrà data la facoltà di effettuare prodigi o miracoli con cui dovranno sostenere e confermare la loro testimonianza (Mc 17,18). La missione è grande: “Andate in tutto il mondo”, ma non mancherà l’appoggio del Signore che ci ha promesso “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20).

Il ricordo della Conversione di San Paolo offre l’occasione di meditare sulla trasformazione che lo Spirito del Risorto vuole compiere nella vita di ogni creatura battezzata nel suo nome. La grazia del Signore interviene nel futuro Apostolo delle genti attraverso una luce assai particolare, che, anziché spalancargli subito nuovi orizzonti, gli chiude quelli in cui si trova. Nessuno può entrare nel dinamismo della conversione se prima non abbandona i punti di riferimento a cui è attaccato, poiché il rovesciamento interiore suscitato dallo Spirito non è tanto il passaggio dal peccato alla grazia, ma l’accesso a una luce nuova nella quale riscopriamo finalmente il volto di Dio. La Conversione di San Paolo è un grande avvenimento: egli passa da persecutore a convertito; ossia a servitore e difensore della causa di Cristo.

Il battesimo di Paolo avviene dopo aver incontrato il Signore: At 22,3-16. La trasmissione della fede in Gesù avviene attraverso la narrazione di eventi personali che manifestano l’incontro con il Risorto. “Poiché non ci vedevo più a causa del fulgore di quella luce” (At 22,11) ci dice ad un certo punto Paolo. La luce del Signore provoca in chi non crede una cecità di tipo spirituale, conoscitiva, che si cura solo con un cammino interiore di conoscenza della Parola di Gesù. “Guidato per mano dai miei compagni giunsi a Damasco” (At 22,11): l’apertura al messaggio di Gesù ci toglie dalla nostra solitudine e ci apre all’amicizia di quanti ci aiutano nei passi per liberarci dalle nostre cecità. È impossibile incontrare il Signore, sentire il suo amore, percepire la sua libertà, la possibilità di uscire da una vita di cieca, anche se devota e fedele, servitù ad una tradizione superata e vivere finalmente come figli, e non sentire il desiderio di annunciare la sua Parola, il suo stile di vita alle persone che incontriamo nei diversi ambienti della vita in cui ci troviamo. La fede nel Signore, ce lo insegna Paolo, non è una questione individuale, non ci lascia chiusi nella nostra solitudine, ma ci libera, ci dà la forza di uscire da noi stessi, ci pone in cammino.

Papa Benedetto XVI, di venerata memoria, in una sua omelia del 2012 per la stessa festa di oggi, ebbe occasione di dire:

«Il significato di questa misteriosa trasformazione è mirabilmente mostrato nella vicenda personale di Paolo. In seguito all’evento straordinario accaduto lungo la via di Damasco, Saulo, che si distingueva per lo zelo con cui perseguitava la Chiesa nascente, fu trasformato in un infaticabile apostolo del Vangelo di Gesù Cristo. Nella vicenda di questo straordinario evangelizzatore appare chiaro che tale trasformazione non è il risultato di una lunga riflessione interiore e nemmeno il frutto di uno sforzo personale. Essa è innanzitutto opera della grazia di Dio che ha agito secondo le sue imperscrutabili vie. È per questo che Paolo, scrivendo alla comunità di Corinto alcuni anni dopo la sua conversione, afferma: “Per grazia di Dio… sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana” (1Cor 15,10). Inoltre, considerando con attenzione la vicenda di Paolo, si comprende come la trasformazione che egli ha sperimentato nella sua esistenza non si limita al piano etico – come conversione dalla immoralità alla moralità –, né al piano intellettuale – come cambiamento del proprio modo di comprendere la realtà –, ma si tratta piuttosto di un radicale rinnovamento del proprio essere, simile per molti aspetti ad una rinascita. Una tale trasformazione trova il suo fondamento nella partecipazione al mistero della Morte e Risurrezione di Gesù Cristo, e si delinea come un graduale cammino di conformazione a Lui. Alla luce di questa consapevolezza, Paolo, quando in seguito sarà chiamato a difendere la legittimità della sua vocazione apostolica e del Vangelo da lui annunziato, dirà: “Non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,20). L’esperienza personale vissuta dall’Apostolo gli permette di attendere, con fondata speranza, il compimento di questo mistero di trasformazione, che riguarderà tutti coloro che hanno creduto in Gesù Cristo ed anche tutta l’umanità ed il creato intero. Paolo stesso, in 1Cor 15, dopo avere sviluppato una lunga argomentazione destinata a rafforzare nei fedeli la speranza della risurrezione, utilizzando le immagini tradizionali della letteratura apocalittica a lui contemporanea, descrive in poche righe il grande giorno del giudizio finale, in cui si compie il destino dell’umanità: “In un istante, in un batter d’occhio, al suono dell’ultima tromba… i morti risorgeranno incorruttibili e noi saremo trasformati”. In quel giorno, tutti i credenti saranno resi conformi a Cristo e tutto ciò che è corruttibile sarà trasformato dalla sua gloria: “È necessario infatti – dice Paolo – che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta di immortalità”. Allora il trionfo di Cristo sarà finalmente completo, perché, ci dice ancora Paolo mostrando come le antiche profezie delle Scritture si realizzino, la morte sarà vinta definitivamente e, con essa, il peccato che l’ha fatta entrare nel mondo e la Legge che fissa il peccato senza dare la forza di vincerlo: “La morte è stata inghiottita nella vittoria. / Dov’è, o morte, la tua vittoria? / Dov’è, o morte, il tuo pungiglione? / Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la Legge”. Paolo ci dice, dunque, che ogni uomo, mediante il battesimo nella morte e risurrezione di Cristo, partecipa alla vittoria di Colui che per primo ha sconfitto la morte, cominciando un cammino di trasformazione che si manifesta sin da ora in una novità di vita e che raggiungerà la sua pienezza alla fine dei tempi. È molto significativo che il brano si concluda con un ringraziamento: “Siano rese grazie a Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo!”. Il canto di vittoria sulla morte si tramuta in canto di gratitudine innalzato al Vincitore. Anche noi vogliamo unire le nostre voci, le nostre menti e i nostri cuori a questo inno di ringraziamento per ciò che la grazia divina ha operato nell’Apostolo delle genti e per il mirabile disegno salvifico che Dio Padre compie in noi per mezzo del Signore Gesù Cristo. Mentre eleviamo la nostra preghiera, siamo fiduciosi di essere trasformati anche noi e conformati ad immagine di Cristo. Questo è particolarmente vero nella preghiera per l’unità dei cristiani. Quando infatti imploriamo il dono dell’unità dei discepoli di Cristo, facciamo nostro il desiderio espresso da Gesù stesso alla vigilia della sua passione e morte nella preghiera rivolta al Padre: “perché tutti siano una cosa sola” (Gv 17,21). Per questo motivo, la preghiera per l’unità dei cristiani non è altro che partecipazione alla realizzazione del progetto divino per la Chiesa, e l’impegno operoso per il ristabilimento dell’unità è un dovere e una grande responsabilità per tutti. Pur sperimentando ai nostri giorni la situazione dolorosa della divisione, noi cristiani possiamo e dobbiamo guardare al futuro con speranza, in quanto la vittoria di Cristo significa il superamento di tutto ciò che ci trattiene dal condividere la pienezza di vita con Lui e con gli altri. La risurrezione di Gesù Cristo conferma che la bontà di Dio vince il male, l’amore supera la morte. Egli ci accompagna nella lotta contro la forza distruttiva del peccato che danneggia l’umanità e l’intera creazione. La presenza di Cristo risorto chiama tutti noi cristiani ad agire insieme nella causa del bene. Uniti in Cristo, siamo chiamati a condividere la sua missione, che è quella di portare la speranza là dove dominano l’ingiustizia, l’odio e la disperazione. Le nostre divisioni rendono meno luminosa la nostra testimonianza a Cristo. Il traguardo della piena unità, che attendiamo in operosa speranza e per la quale con fiducia preghiamo, è una vittoria non secondaria, ma importante per il bene della famiglia umana. Nella cultura oggi dominante, l’idea di vittoria è spesso associata ad un successo immediato. Nell’ottica cristiana, invece, la vittoria è un lungo e, agli occhi di noi uomini, non sempre lineare, processo di trasformazione e di crescita nel bene. Essa avviene secondo i tempi di Dio, non i nostri, e richiede da noi profonda fede e paziente perseveranza. Sebbene il Regno di Dio irrompa definitivamente nella storia con la risurrezione di Gesù, esso non è ancora pienamente realizzato. La vittoria finale avverrà solo con la seconda venuta del Signore, che noi attendiamo con paziente speranza. Anche la nostra attesa per l’unità visibile della Chiesa deve essere paziente e fiduciosa. Solo in tale disposizione trovano il loro pieno significato la nostra preghiera ed il nostro impegno quotidiani per l’unità dei cristiani.
L’atteggiamento di attesa paziente non significa passività o rassegnazione, ma risposta pronta e attenta ad ogni possibilità di comunione e fratellanza, che il Signore ci dona… All’intercessione di san Paolo desidero affidare tutti coloro che, con la loro preghiera e il loro impegno, si adoperano per la causa dell’unità dei cristiani. Anche se a volte si può avere l’impressione che la strada verso il pieno ristabilimento della comunione sia ancora molto lunga e piena di ostacoli, invito tutti a rinnovare la propria determinazione a perseguire, con coraggio e generosità, l’unità che è volontà di Dio, seguendo l’esempio di San Paolo, il quale di fronte a difficoltà di ogni tipo ha conservato sempre ferma la fiducia in Dio che porta a compimento la sua opera.  Del resto, in questo cammino, non mancano i segni positivi di una ritrovata fraternità e di un condiviso senso di responsabilità di fronte alle grandi problematiche che affliggono il nostro mondo.
Tutto ciò è motivo di gioia e di grande speranza e deve incoraggiarci a proseguire il nostro impegno per giungere tutti insieme al traguardo finale, sapendo che la nostra fatica non è vana nel Signore (cfr 1Cor 15,58). Amen».

Indice dei podcast trasmessi [QUI]

Foto di copertina: Caravaggio, Conversione di San Paolo Apostolo, 1600-01 circa, olio su tela, 230×175 cm, cappella Cerasi, basilica di Santa Maria del Popolo, Roma.
Secondo gli Atti degli Apostoli, sulla strada per Damasco Saulo il fariseo (che presto sarebbe diventato Paolo l’apostolo) cadde a terra quando udì la voce di Cristo che gli diceva: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?” e perse temporaneamente la vista. Era ragionevole supporre che Saulo fosse caduto da cavallo. Caravaggio è vicino alla Bibbia. Il cavallo è lì, basato su Dürer, sembra bloccato, e, a sorreggerlo, uno stalliere, ma il dramma è interiorizzato nella mente di Saulo. Giace a terra stordito, con gli occhi chiusi come se fosse abbagliato dalla luminosità della luce di Dio che scorre lungo la parte bianca del cavallo pezzato, ma che la luce sia celeste è chiaro solo al credente, perché Saulo non ha aureola. Nello spirito di Luca, che all’epoca era considerato l’autore degli Atti, Caravaggio fa sembrare naturale l’esperienza religiosa. Vedere la scena come “completamente priva di azione” non coglie il punto. Come un compositore che apprezza il silenzio, Caravaggio rispetta l’immobilità.

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