Riflessioni sulle letture festive – Meditazione sulle letture della solennità dell’Epifania del Signore

È stato pubblicato sul canale Spreaker dell’Ufficio Stampa della Real Commissione per l’Italia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, a cura del Referente per la Formazione della Delegazione di Roma e Città del Vaticano, il Prof. Enzo Cantarano, Cavaliere di Merito con Placca d'Argento, il podcast con la meditazione sulle letture della solennità dell’Epifania del Signore, di cui riportiamo di seguito l’audio e il testo. Una stella ha guidato i Magi fino a Betlemme perché là scoprissero “il Re dei Giudei che è nato” e lo adorassero. “Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia”. Noi possiamo vedere la stella nella dottrina e nei sacramenti della Chiesa, nei segni dei tempi, nelle parole sagge e nei buoni consigli che, insieme, costituiscono la risposta alle nostre domande sulla salvezza e sul Salvatore. Rallegriamoci, anche noi, per il fatto che Dio, vegliando sempre, nella sua misericordia, su chi cammina guidato da una stella ci rivela in tanti modi la vera luce, il Cristo, il Re Salvatore.
Adorazione dei Re Magi

Podcast 2-39 – 6 gennaio 2025 – Meditazione sulle letture della solennità dell’Epifania del Signore

«Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono» (Cfr. Mt 2,9-11).

Solennità dell’Epifania del Signore, nella quale si venera la triplice manifestazione del grande Dio e Signore nostro Gesù Cristo: a Betlemme, Gesù bambino fu adorato dai magi; nel Giordano, battezzato da Giovanni, fu unto dallo Spirito Santo e chiamato Figlio da Dio Padre; a Cana di Galilea, alla festa di nozze, mutando l’acqua in vino nuovo, manifestò la sua gloria (Dal Martirologio). Prima lettura Is 60,1-6 – La gloria del Signore brilla sopra di te. Salmo responsoriale Sal 71 – Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra. Seconda lettura Ef 3,2-3.5-6 – Ora è stato rivelato che tutte le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità. Vangelo Mt 2,1-12 Siamo venuti dall’Oriente per adorare il Re.

Recita l’Orazione Colletta di oggi: “O Dio, che in questo giorno, con la guida della stella, hai rivelato alle genti il tuo Figlio unigenito, conduci benigno anche noi, che già ti abbiamo conosciuto per la fede, a contemplare la bellezza della tua gloria”.

Il grande teologo bizantino Nicola Cabasilas scriveva, che tra noi e Dio si ergevano tre muri di separazione: quello della essenza, quello del peccato, quello della morte. Il primo è stato abbattuto nell’Incarnazione, quando natura umana e natura divina si sono unite nella persona di Cristo, quello del peccato è stato abbattuto sulla croce e quello della morte nella Risurrezione.

Gesù Cristo è ormai il luogo definitivo dell’incontro glorioso tra Dio vivente e l’uomo vivente. In lui, il Dio lontano si è fatto vicino, è divenuto l’Emmanuele, il Dio-con-noi. È il bimbo descritto da Matteo nel suo Vangelo, Gesù, “nato a Betlemme di Giudea, al tempo del Re Erode”. Non è un Dio che si manifesta nei fenomeni celesti, cui dedicavano la loro vita di studio i Magi, quello che essi vennero a cercare “da Oriente a Gerusalemme e dicevano: “Dov’è colui che è nato, il Re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo”.

Il cammino di ricerca dei Magi è un po’ come quello descritto da San Bonaventura nel suo L’itinerario della mente a Dio. Come filosofo e teologo speculativo, egli individua diversi gradini per i quali l’anima ascende alla conoscenza di Dio, ma giunge alla conclusione che il mezzo definitivo, infallibile e sufficiente è la persona di Gesù Cristo. Il motivo di ciò è semplice: Gesù Cristo è “il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16). La Lettera agli Ebrei fonda su questo la novità del Nuovo Testamento: “Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo” (Ebr 1,1-2).

Il Dio vivente non ci parla più per interposta persona perché il Figlio “è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza” (Ebr 1,3). Dal punto di vista esistenziale, o soggettivo, la grande novità è che ora non è più l’uomo che, “a tentoni” (Atti 17,27), va alla ricerca del Dio vivente; è il Dio vivente che scende alla ricerca dell’uomo, fino a dimorare nel suo stesso cuore. È lì che d’ora in poi lo si può incontrare e adorare in spirito e verità: “Se uno mi ama, dice Gesù, osserva la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23). Ognuna di queste parole è capace, da sola, di portarci sull’orlo del mistero e farci affacciare su un orizzonte infinito.

Giovanni 1,18: “Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato”. Per comprendere il senso di queste parole, bisogna rifarsi a tutta la tradizione biblica sul Dio che non si può vedere senza morire. Basta leggere Esodo 33,18-20. Perciò Mosè (Es 3,69) e anche i serafini (Is 6,2) si velano la faccia davanti a Dio. Restando in vita, dopo aver visto Dio, si prova una sorpresa riconoscente (Gen 32,31). È un raro favore che Dio concede a Mosè (Es 33,11) ed Elia (1Re 19,11s.) che saranno significativamente ammessi a contemplare la gloria di Cristo sul Tabor.

Giovanni (10,30) ci scrive: “Io e il Padre siamo una cosa sola”. È l’affermazione forse più carica di mistero di tutto il Nuovo Testamento. Gesù Cristo non è solo il rivelatore del Dio vivente: è lui stesso il Dio vivente. Il Rivelatore e Rivelazione sono la stessa persona. In Giovanni 14,6 leggiamo: “Gli disse Gesù: Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”. Lette nel contesto attuale del dialogo interreligioso, queste parole pongono un interrogativo che non possiamo passare sotto silenzio. Che pensare di tutta quella parte dell’umanità che non conosce Cristo e il suo Vangelo? Nessuno di essi va al Padre? Sono essi esclusi dalla mediazione di Cristo e quindi dalla salvezza? Una cosa è certa e da essa deve partire ogni teologia Cristiana delle religioni: Cristo ha dato la sua vita “in riscatto” e per amore di tutti gli uomini, perché tutti sono creature del Padre suo e suoi fratelli. Non ha fatto distinzioni. La sua offerta di salvezza è universale. “Quando sarò innalzato da terra (sulla croce), attirerò tutti a me” (Gv 12,32); “Non c’è altro nome dato agli uomini in cui è stabilito che siano salvati”, proclama Pietro davanti al Sinedrio (Atti 4,12). Non è possibile partire dall’affermazione che “Cristo è la suprema, definitiva e normativa proposta di salvezza fatta da Dio al mondo”, senza con ciò stesso riconoscere a tutti gli uomini il diritto di beneficiare di questa salvezza.

“Ma è realistico continuare a credere in una misteriosa presenza e influenza di Cristo in religioni che esistono da prima di lui e che non sentono alcun bisogno, dopo venti secoli, di accogliere il suo Vangelo?” C’è, nella Bibbia, un dato che può aiutarci a dare una risposta a questa obiezione: l’umiltà di Dio, il nascondimento di Dio. “Tu sei un Dio nascosto, Dio d’Israele salvatore”. Quanto tempo ci è voluto perché l’uomo riconoscesse a chi doveva la sua stessa esistenza, chi aveva creato per lui il cielo e la terra? Quanto ce ne vorrà ancora prima che tutti arrivino a riconoscerlo? Cessa, per questo, Dio di essere lui il creatore di tutto? Più che della salvezza di coloro che non hanno conosciuto Cristo, ci sarebbe da preoccuparsi, credo, della salvezza di quelli che l’hanno conosciuto, se vivono come se non fosse mai esistito, dimentichi del tutto del loro battesimo. Quanto alla salvezza dei primi, la Scrittura ci assicura che “Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga” (At 10,34-35).

La solennità dell’Epifania ci ricorda l’intelligenza della nostra fede: “Epifania” vuol dire che il Signore si è fatto conoscere, si è manifestato. Il Signore invisibile si è fatto vedere da noi, noi lo abbiamo riconosciuto e questo riempie di gioia perché non lo ha fatto con terrificanti e grandiose teofanie lontane dalla nostra piccola umanità, ma in un modo assolutamente umile e nascosto attraverso la sua discesa nella nostra umanità. A ben vedere è questa la teofania, l’epifania, più grandiosa in assoluto, quella che solo il nostro Dio poteva immaginare, quella che ci rivela, come ha fatto con i Magi, semplicemente, naturalmente, umanamente, niente meno che Dio stesso.

Il profeta Isaia (60,1-6), nella Prima Lettura, si rivolge alla Città di Gerusalemme distrutta dai nemici, ridotta a un ammasso di rovine: sa vedere oltre le tenebre del momento presente e invita quel rudere ad alzarsi e a rivestirsi di luce, perché viene la luce vera che è il Signore. Gerusalemme è figura della comunità di Dio, che nel tempo della storia è spesso oppressa e si trova in situazioni difficili. A noi, adesso, nelle tenebre di questo tempo, il profeta a nome di Dio rivolge lo stesso invito: «Alzati, rivestiti di luce, accogli la luce del Signore che risplende sopra di te». Il Signore è la nostra luce, la nostra stella, il Signore è presente nella nostra vita, proprio nelle tenebre dei nostri giorni è lui che rivela il senso della nostra vita. L’antico profeta parla il linguaggio del suo tempo e immagina carovane di cammelli e di dromedari, carichi dei doni più preziosi che arriveranno a Gerusalemme. Quello che adesso è un borgo sperduto e fatiscente – dice il profeta – in futuro sarà il centro del mondo, perché di lì uscirà la luce. Questa profezia si è compiuta con la Rivelazione di Gesù Cristo.

Nella Seconda Lettura, tratta dalla Lettera agli Efesini (3,2-3;5-6), l’apostolo dà un grande rilievo al progetto salvifico di Dio, che consiste nell’unità di tutti gli esseri umani, al di là delle differenze di razza e di cultura. Egli mostra come solo eliminando le divisioni sia possibile trovare una pace vera. Il racconto dei Magi, narrato da Matteo nel Vangelo (2,1-12), ci indica che è fondamentale sulla via che porta a Dio lo stupore, la meraviglia, la gioia, per cui una stella non rimane immobile nel cielo ma si mette ad ammiccare e a tracciare un cammino.

Papa Benedetto XVI dice nell’Omelia del 6 gennaio 2011): «Il linguaggio del creato ci permette di percorrere un buon tratto di strada verso Dio, ma non ci dona la luce definitiva… È la Parola di Dio la vera stella, che, nell’incertezza dei discorsi umani, ci offre l’immenso splendore della verità divina». Il segno della natura collabora armoniosamente con quello della Scrittura e tutti e due si rivelano fondamentali nella preparazione per incontrare Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo.

Sono ambedue valide vie da tener presenti nella missione di evangelizzazione, le quali si aiutano e si arricchiscono a vicenda nel cammino dei popoli verso Gesù, la Via al Padre. Va ricordato a proposito che la stella era l’immagine del Re d’Israele alla fine dei tempi, di quel messia escatologico, che nella visione della tradizione giudaica dominerà nel nome di Dio tutti i Re delle nazioni, o nelle parole del Salmo Responsoriale di oggi, «da mare a mare, dal fiume sino ai confini della terra». Essa, in effetti, è stata intravista misticamente già nell’antichità da Balaam, un altro “mago” pagano come quelli del vangelo: «Io lo vedo, ma non ora, / io lo contemplo, ma non da vicino: / Una stella spunta da Giacobbe / e uno scettro sorge da Israele» (Nm 24,17). L’autore sacro del libro dell’Apocalisse poi fa sentire la dichiarazione dello stesso Signore Gesù glorioso: «Io sono la radice della stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino» (Ap 22,16). Essi videro il bambino, si inginocchiarono, adorarono, offrirono doni: oro, incenso, mirra, ma soprattutto la fatica ed il peso delle incognite della loro prolungata ed affannosa ricerca, gli ostacoli affrontati, i deserti attraversati, le distanze superate. Donavano il loro cammino di fede. Essi che erano studiosi sedentari per professione avrebbero potuto accontentarsi di credere e di adorare a distanza. Ma a questo modo come avrebbero potuto dimostrare la loro fede amante?

La fede non è qualcosa di diverso dall’amore e l’amore non è separabile dall’umiltà. Si comprende il gesto di donare e di prostrarsi. Per incontrare Dio bisogna incontrare Gesù. E per incontrare Gesù bisogna farsi piccoli come lui. «Il Natale, iniziato il 25 dicembre, raggiunge il suo apice oggi, nel giorno dell’Epifania: Cristo rivelato a tutte le genti», come spiega il Direttorio della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti (125). Perciò, «l’ascolto della proclamazione delle tre letture della Messa e la loro più profonda comprensione danno luogo alla celebrazione dell’Epifania. La Parola santa di Dio svela al mondo intero il significato fondamentale della nascita di Gesù Cristo».

La vera stella è Gesù, il Verbo del Padre fatto carne, la Parola di Dio incarnata, che riassume nella sua persona la luce della stella e quella della Parola di Dio nelle Sacre Scritture. E dopo l’incontro con Lui, non servirà più la guida per tornare a casa perché con Lui e in Lui conoscono ormai la Via! Così sarà per sempre. È una solennità tutta missionaria per natura, afferma, infatti, il Catechismo della Chiesa Cattolica: «In questi “Magi”, che rappresentano le religioni pagane circostanti, il Vangelo vede le primizie delle nazioni che nell’incarnazione accolgono la Buona Novella della salvezza» (528). Si tratta quindi del mistero della Manifestazione/Rivelazione di Cristo Signore ai “non-Israeliti” e al contempo del riconoscimento da parte di questi ultimi di Cristo come Signore, come espresso magnificamente da San Paolo nella Seconda Lettura: «[il mistero] che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità [di Israele]».

Indice dei podcast trasmessi [QUI]

L’Epifania del Signore

L’Epifania del Signore o Santa Teofania nell’Oriente Cristiano, è una solennità che si celebra il 6 gennaio di ogni anno per commemorare la manifestazione (teofania) di Gesù Cristo come Dio Figlio incarnato. Nel Cristianesimo occidentale, commemora principalmente la visita e l’adorazione dei Magi al Bambino Gesù, e quindi la manifestazione fisica di Gesù Cristo ai Gentili. Mentre in Oriente ricorda il battesimo di Gesù nel fiume Giordano e il miracolo delle nozze di Cana.
In molte Chiese occidentali, la vigilia della festa è celebrata come la dodicesima notte di Natale. L’Epifania è l’ultimo giorno del Tempo di Natale e una delle più antiche festività Cristiane (insieme a Pasqua e Pentecoste). A volte è chiamata il Giorno dei Re Magi e in alcune tradizioni viene celebrata come Piccolo Natale. Inoltre, la festa dell’Epifania, in alcune denominazioni, dà inizio ad un periodo dell’anno liturgico chiamato “Tempo dell’Epifania”.
Nelle Chiese orientali l’evento celebrato è il battesimo di Gesù, momento in cui Gesù adulto viene manifestato come Figlio di Dio dalla voce del Padre e dalla colomba dello Spirito Santo. La data della festa è il 6 gennaio per le Chiese che seguono il calendario gregoriano e il 19 gennaio per quelle che adottano il calendario giuliano.
Il termine “epifania” deriva dal greco antico, verbo epifàino (ἐπιφαίνω, che significa “mi rendo manifesto”), dal sostantivo femminile epifàneia (ἐπιφάνεια, traducibile con “manifestazione”, “apparizione”, “venuta”, “presenza divina”).
Sin dai tempi di Giovanni Crisostomo il termine assunse una valenza ulteriore, associata alla natività di Gesù. Nelle Chiese Cattolica, Ortodossa e Anglicana è una delle massime solennità dell’anno liturgico, come la Pasqua, il Natale e la Pentecoste. È l’ultima delle solennità del tempo di Natale.
Il termine ἐπιφάνεια veniva già utilizzato dagli antichi greci per indicare l’azione o la manifestazione di una qualsiasi divinità (mediante miracoli, visioni, segni, ecc.). È la manifestazione della luce, della Luce più grande di Dio che si manifesta attraverso una stella.
Il padre della Chiesa Tito Flavio Clemente d’Alessandria, che scrive alla fine del II secolo, attesta che le comunità Cristiane della sua grande città formate dallo gnostico Basilide (i “Basilidiani”) celebravano il battesimo di Gesù Cristo, e con esso anche l’Epifania come la “manifestazione del Signore al mondo”, il 15º giorno del mese di Tybi dell’antico calendario alessandrino, che corrisponderebbe al nostro 6 gennaio. Per l’interpretazione di questo passo occorre ricordare che il battesimo di Gesù, l’Epifania e l’annuncio degli angeli ai pastori in occasione della nascita erano festeggiati simultaneamente come manifestazioni della divinità di Gesù. Ciò era facilitato da alcune varianti del Vangelo di Luca, dalle quali il battesimo sembra aver avuto luogo nello stesso giorno della nascita. A partire dal III secolo circa, le comunità Cristiane del Vicino Oriente associarono il termine Epifania ai tre segni rivelatori di Gesù Cristo, e cioè: l’adorazione dei Magi, il battesimo di Gesù adulto nel fiume Giordano, e il primo miracolo di Gesù avvenuto a Cana.

Foto di copertina: Gentile da Fabriano, L’adorazione dei Magi (particolare), 1423, tempera su tavola, 300×282 cm, Galleria degli Uffizi, Firenze.
Al termine di un lungo viaggio, i Magi giungono al cospetto del Messia appena venuto al mondo guidati dalla stella cometa, e si prostrano ai piedi della Sacra Famiglia, offrendo doni preziosi. Abbigliati con vesti straordinariamente ricche e alla moda, i Magi sono accompagnati da un corteo multietnico, di cui fanno parte anche animali esotici, che sottintendono la loro provenienza dal lontano Oriente.
Il viaggio dei Magi, dall’avvistamento della stella cometa alla sosta al palazzo del Re Erode, fino al ritorno in patria, è narrato in tre distinti episodi sullo sfondo della composizione, armonizzati nel paesaggio montuoso dell’orizzonte ma separati visivamente dalle tre arcate della cornice.
La pala d’altare, dotata di una splendida carpenteria ornata nei pilastri laterali con fiori dipinti, è completata da una predella con storie dell’infanzia di Cristo: da sinistra la Natività, la Fuga in Egitto e la Presentazione al Tempio. Lo scomparto con la Presentazione al Tempio è una copia moderna dell’originale, conservato al Museo del Louvre a Parigi.
Il dipinto fu commissionato dal ricco banchiere e raffinato amante delle arti Palla Strozzi per la cappella di famiglia situata nella sacrestia della chiesa di Santa Trinità a Firenze.
La tavola, che reca la firma del maestro e la data 1423, costituisce il capolavoro di Gentile, il più importante esponente del gotico internazionale in Italia, che dimostra una straordinaria padronanza tecnica nell’impiego di particolari lavorazioni, come attesta la cospicua quantità di foglia metallica, sbalzata parzialmente a rilievo per conferire tridimensionalità ad oggetti come gli speroni del cavaliere o l’elsa della spada.
Nella predella, al posto del fondo oro di tradizione medievale, le scene presentano il cielo azzurro, indice dell’interesse per la natura e dell’incipiente affermazione dei canoni culturali ed estetici del Rinascimento.

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